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La nave delle donne a pezzi

Pau Coll, La Vanguardia - 30 gennaio 2018

Photo credit: Pau Coll / Ruido

Lo scorso 4 novembre è stato localizzato un barcone con a bordo 319 migranti eritrei a 27 miglia dalla città libica di Al Kiums (Homs). Nella stiva dell’imbarcazione viaggiava una quantità di donne più alta del solito. 69 donne. Quasi tutte ammalate. Quasi tutte viaggiavano da sole. Quasi tutte erano state violentate.

Al mattino picchiavano i ragazzi e di notte avevano rapporti sessuali con le ragazze”, racconta Merekel Mehretab, 19 anni, una delle passeggere eritree che si trovavano a bordo della piccola imbarcazione recuperata da Proactiva Open Arms.

La maggior parte dei migranti che si avventurano nel Mar Mediterraneo sono stati per diversi mesi oggetto di sequestri ed estorsioni da parte delle mafie libiche, finché loro stessi o i loro parenti non pagano il loro viaggio in Europa. Per una donna tutto ciò comporta quasi sempre maltrattamenti o abusi sessuali, per quanto il suo vissuto resti invisibile in una rotta a predominanza maschile.

Dalla costa della Libia
Tre giorni da incubo

Alle 4 del mattino dello scorso 4 novembre è partita dalle coste libiche una piccola imbarcazione di legno – “wooden boat” nel gergo dei soccorsi. A bordo c’erano 319 migranti, per lo più eritrei. Questo tipo di imbarcazioni impiegano circa tre giorni ad attraversare il Mediterraneo per raggiungere il territorio europeo, eppure non sempre portano con sé carburante a sufficienza. Molte delle persone tratte in salvo non mangiavano da tre giorni.

Photo credit: Pau Coll / Ruido
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Eritrei sequestrati
In condizioni disumane

Tutti gli eritrei tratti in salvo sono stati sequestrati in Libia da miliziani o organizzazioni criminali e trattenuti in prigionia per un periodo che va dai 3 ai 9 mesi. Per spingere i loro familiari a pagare, i migranti hanno subito maltrattamenti e torture e sono stati costretti al lavoro forzato. Si stima che tra i 400mila e i 700mila migranti vivano prigionieri in Libia in condizioni disumane.

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69 donne e 6 bambini

La stiva del supplizio

La stiva della patera nella quale viaggiavano 69 donne e 6 bambini aveva una sola via d’uscita e nessun sistema di ventilazione. A causa delle condizioni insalubri vissute durante il loro sequestro in Libia, la maggior parte delle donne e dei bambini erano malati di scabbia e disidratati.

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L’Unione Europea

Il flusso migratorio

Quest’anno l’Unione Europea ha destinato 120 milioni del Fondo Fiduciario per migliorare l’operatività dei guardacoste libici e fermare, così, il flusso migratorio che parte dalle coste africane. Gli accordi siglati hanno funzionato: in Europa arrivano meno persone, ma per contro le condizioni per i migranti in Libia sono peggiorate. Dinanzi all’ostilità dei guardacoste libici la maggior parte delle ONG hanno smesso di operare nel Mediterraneo centrale.

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Sotto shock

Violenza indiscriminata

Una volta salve, molte delle donne crollano ed entrano in uno stato di shock. Quasi tutte le donne migranti sequestrate in Libia sono state sistematicamente violentate, come ‘premio’ per i loro aguzzini e per sollecitare il pagamento del loro riscatto. Alcune sono così deboli da non riuscire a camminare. Anche molti dei ragazzini tratti in salvo presentano segni delle violenze subite come strumento di tortura.

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Assistenza sanitaria
Le gravidanze indesiderate

Fireus, 21 anni, dopo aver perso i sensi ha ricevuto assistenza medica dal personale medico volontario di Proactiva Open Arms. Dopo esser stata violentata in Libia durante la prigionia, era incinta di 5 mesi. Delle 69 donne a bordo della piccola imbarcazione, 6 erano in stato di gravidanza.

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Sulla nave di Proactiva Open Arms
Riposo a poppa

Sulla nave della Proactiva Open Arms donne e bambini dormono a poppa, separati dagli uomini. Nella missione successiva hanno salvato Lula, una giovane eritrea di 28 anni incinta di 6 mesi che ha abortito giusto prima di imbarcarsi sulla nave che avrebbe dovuto portarla in Europa. Lula è morta poco prima di arrivare in Italia.

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I volontari

Il soccorso medico

Elsa Melake, 21 anni e all’ottavo mese di gravidanza dopo esser stata stuprata, sulla nave ha dovuto essere assistita da Alba, una giovane infermiera di Ibiza, volontaria di Open Arms. A causa del suo fragile stato di salute, Elsa ha dovuto essere trasferita con urgenza dalla nave verso un ospedale di Malta. Elsa e il suo bambino – non ancora nato – sono ora stabilmente accolti sull’isola in un centro di accoglienza per famiglie.

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Lo sbarco

In Italia

I migranti che erano a bordo della Proactiva Open Arms sono sbarcati nel porto di Crotone, in Italia. Una volta che i migranti raggiungono l’Europa, le autorità del Paese fanno loro dei colloqui per decidere se concedergli o meno lo status di rifugiato. Perché questo accada, il migrante deve dimostrare che nel suo paese d’origine la sua vita corre un serio pericolo, altrimenti viene rimpatriato velocemente.

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Crotone

Il cimitero dei barconi

Il porto di Crotone, in Italia, si è trasformato in un cimitero di barconi. La maggior parte di questi, secondo l’autorità portuale italiana, vengono dalla Libia. Le imbarcazioni che partono dalle coste africane non sono equipaggiate a sufficienza né portano con sé il carburante necessario ad affrontare un viaggio marittimo di tre giorni. Nel 2017, secondo l’IOM, a fronte delle 118mila persone arrivate in Italia, 2.832 hanno perso la vita nel Mediterraneo centrale (il 2,5%).

Photo credit: Pau Coll / Ruido
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