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Riconoscimento dello status di apolide a rifugiato proveniente dal Kuwait di etnia Bedoon

Tribunale di Roma, ordinanza del 24 gennaio 2018

Il caso riguarda un cittadino con status di rifugiato che documenta di essere nato in Kuwait, ma di non avere la cittadinanza di quel paese e di non poterla ottenere in ragione delle proprie origini etniche, in quanto appartenente alla minoranza Bedoon, conosciuta anche come “bidun jinsiiya”, letteralmente senza nazionalità. 1.
Il suo atto di nascita, rilasciato dalle autorità kuwaitiane, reca alla voce “nazionalità” la dicitura “non Kuwait”, e la medesima dicitura risulta in corrispondenza dei nominativi del padre e della madre nel medesimo atto.
Tali circostanze sono peraltro confermate dalle notizie reperibili da fonti di sicura affidabilità (https://coi.easo.europa.eu/administration/unitedkingdom/PLib/CIG_-_Kuwait_-_Bidoons_-_v20_July_2016.pdf), peraltro segnalate dalla stessa difesa.

L’Italia ha ratificato e dato esecuzione, con legge n. 306/62, alla Convenzione di New York del 28.9.1954, relativa allo statuto degli apolidi, così accogliendo nel proprio ordinamento i principi elaborati in materia in seno alla Organizzazione delle Nazioni Unite.
Ai sensi dell’art. 1 della suddetta Convenzione, deve considerarsi apolide la persona che nessuno Stato, sulla base del proprio ordinamento giuridico, considera come suo cittadino.

Il richiedente lo status di apolide non deve anche dimostrare “con riferimento alla normativa attualmente in vigore nei paesi con cui egli stesso dichiara di avere legami di appartenenza, di non essere in possesso e di non poter acquistare la cittadinanza di quegli Stati”, altrimenti si introdurrebbe un regime probatorio particolarmente gravoso per una persona che, da tempo, non ha più legami con il paese di origine e che richiede il riconoscimento dello status di apolide in ragione di eventi quali la successione, lo smembramento o la scissione dello Stato di originaria
appartenenza. Osserva anzi la giurisprudenza di legittimità (Cass, n. 4262/2015) che “i molteplici indici di assimilazione alle misure di protezione internazionale .. e la natura dei diritti da proteggere inducono a condividere la prospettazione .. secondo la quale l’onere della prova a carico del richiedente lo status di apolide deve ritenersi attenuato nel senso che eventuali lacune o necessità di integrazione istruttoria possono essere colmante con l’esercizio di poteri /doveri istruttori officiosi da parte del alle Autorità pubbliche competenti dello Stato italiano o dello stato di origine o dello Stato verso il quale può ravvisarsi un collegamento significativo con il richiedente la condizione di apolide“.

In sostanza, proprio in ragione delle tipologie di procedimenti concernenti l’accertamento di status personali per il riconoscimento di diritti civili e politici (come quello in oggetto), il regime probatorio richiesto non deve essere particolarmente gravoso ed oneroso, sì da poter rendere più agevole ed accessibile lo strumento di tutela.

In concreto, l’onere della prova deve ritenersi circoscritto alla allegazione e conseguente prova della residenza nel territorio dello stato cui si inoltra l’istanza (prova che nel caso concreto dalla lettura del provvedimento della Commissione , da cui risulta che l’attore risieda in Italia dal marzo 2015), ed alle circostanze di fatto che hanno comportato la perdita della prima cittadinanza od il suo mancato acquisto, la cui dimostrazione, in ragione di quanto sin qui evidenziato, deve ritenersi raggiunta tanto attraverso la documentazione prodotta che grazie alla consultazione delle fonti sopra indicate.

– Scarica l’ordinanza
Tribunale di Roma, ordinanza del 24 gennaio 2018

  1. http://nena-news.it/kuwait-bedoon-il-popolo-che-non-esiste/