La Commissione territoriale e poi il Tribunale, in sede di opposizione, avevano ritenuto poco circostanziata e priva di riscontri la storia narrata da una donna fuggita dal Tibet per sottrarsi alla minaccia di repressione del dissenso, quale attivista di movimenti per i diritti civili, e per avere affisso pubblicamente volantini di propaganda. Le era stata negata ogni forma di protezione internazionale anche alla luce delle condizioni socio-politiche del paese di provenienza.
La Corte d’Appello le ha invece riconosciuto il diritto alla protezione sussidiaria, ritenendo che la narrazione della donna – esposta, in caso di rientro in patria, al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti – soddisfi i requisiti di credibilità indicati dall’art. 3/5° comma d.lgs. 251/2007 e trovi riscontro nelle più attendibili fonti internazionali di informazione sulla repressione dei movimenti separatisti tibetani e sulla sistematica strategia di annientamento della cultura tibetana da parte delle autorità cinesi perfino attraverso la progressiva riduzione e deterioramento della lingua scritta e parlata, nel contesto di un sistema giudiziario e penitenziario iniquo e asservito all’indirizzo politico governativo.
– Scarica la sentenza
Corte d’Appello di Napoli, sentenza n. 193 del 16 gennaio 2018