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Afghanistan, sopravvivere ma soprattutto resistere

Di ritorno da un viaggio a Kabul

Foto: Linda Bergamo

Sopravvivere. Forse è la principale attività degli afgani che guardano le macchine passare, seduti ai bordi delle polverose strade di Kabul. È il pensiero dei bambini che giocano con i rifiuti o che fanno volare altissimi gli aquiloni sopra i muri coperti di filo spinato.
E’ forse anche il pensiero delle donne dai mille veli di ogni tipo colore che a volte guardano la città mercanteggiare dietro la griglia del loro burka azzurro.

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In Afghanistan bisogna sopravvivere a un sacco di cose. Agli attacchi terroristici, questo lo si sa anche da noi. Bisogna sperare di non ritrovarsi al momento sbagliato nel posto sbagliato. Per esempio quando un uomo di uno dei gruppi fondamentalisti, affiliato al Daesh afgano o a una fazione di Taliban, si fa esplodere in mezzo alla strada, per una dimostrazione di forza e di presenza, per una questione di rivalità tra fazioni.

Bisogna sopravvivere alla mancanza d’acqua e di elettricità, alla fame che soffrono anche gli animali scheletrici che trainano carretti in mezzo al traffico. Bisogna sopravvivere nel traffico di auto impazzite che sorpassano da ogni lato, in contromano, con a bordo qualsiasi numero di passeggeri. Bisogna sopravvivere all’inquinamento delle Toyota Corolla e dei vecchi Pick Up che rendono l’aria spessa, come una nebbia strana che copre il sole anche quando c’è.

Quando si è donne, bisogna sopravvivere il doppio perché a volte si è considerate la metà di un uomo. Confinate in un angolo della cucina tra un matrimonio combinato e una media di cinque figli, senza poter andare a scuola e imparare a leggere e a scrivere, farsi torturare quando si prova a contestare il sistema patriarcale tenuto in piedi da pretese dottrine religiose fondamentaliste. Sopravvivere in una gabbia di casa, in una gabbia di stoffa per uscirne e in una coltre di ignoranza, per il solo fatto di essere nata donna.

Quando vedo una bambina in Afghanistan mi viene male” mi disse una sera una compagna di viaggio.
Si sopravvive nella vita quotidiana declinata secondo la propria appartenenza etnica pashtun, uzbeca, tajika, hazara… Si sopravvive in un paese che subisce una guerra e una violenza quotidiana, dove il governo è estremamente corrotto e manovrato dagli Stati Uniti, che lo supporta finanziando allo stesso tempo i Taliban e partecipando al mantenimento di una situazione fumosa per sfruttarla secondo i propri interessi. Sopravvivere all’occupazione militare americana, quindi, e sopravvivere ai Signori della Guerra con le loro milizie private, che controllano intere provincie e possiedono poltrone in parlamento.

In questo panorama, in cui il popolo afgano sembra “troppo impegnato a sopravvivere” per preoccuparsi di politica, ci sono alcune figure che propongono un’alternativa. Sono parlamentari indipendenti come Belquis Roshan, e i giovani membri e attivisti del partito Hambastagi (Partito della solidarietà) che nel loro sito internet e sui social, quando organizzano manifestazioni ed eventi, denunciano i criminali al governo, l’occupazione americana e il fondamentalismo islamico come i veri responsabili della situazione in cui riversa il loro paese.
Il partito promuove ideali di democrazia al di là di ogni differenza etnica, fattore strumentalizzato da ogni fazione per indebolire la popolazione mettendo gli uni contro gli altri, di rispetto dei diritti umani e soprattutto di uguaglianza tra uomo e donna.

Selay, portavoce del Partito della Solidarietà - Hambastagi alla manifestazione dell’8 marzo per Festa della Donna
Selay, portavoce del Partito della Solidarietà – Hambastagi alla manifestazione dell’8 marzo per Festa della Donna

La popolazione afgana è diffidente rispetto alle parole “politica” o “partito”: ha visto Signori della Guerra cambiare bandiera, una volta al governo, facendo propaganda per i diritti umani e per i diritti delle donne dopo aver promosso lapidazioni, umiliazioni e stupri per anni. È un popolo che ha visto i governi cambiare, l’occupazione crescere e diminuire, i soldi pubblici passare direttamente nelle mani di politici corrotti, e la situazione, la vita quotidiana, le strade, le scuole, rimanere sempre uguali, impolverate. La gente sa chi sono i colpevoli, ma si ritrova ad appoggiarli per paura che il futuro possa essere addirittura peggiore.

Per questo i rappresentanti di Hambastagi vanno nei villaggi, nelle provincie più lontane da Kabul e parlano con la gente ascoltandone i bisogni (come quelli di base, acqua, sanità e educazione), e cercando di sensibilizzarla a una partecipazione attiva, a una consapevolezza della situazione e a riconoscere chi sono i veri criminali. Giustizia sarà fatta, dicono, quando questi criminali saranno denunciati e condannati di fronte ad una corte nazionale che riconoscerà le loro responsabilità verso la condizione del paese, e di fronte ad una Corte di Giustizia internazionale che porterà alla luce i crimini di guerra che hanno commesso.

Intanto, le persone li stanno denunciando nelle loro menti, ma per continuare questo processo ed ampliare il dibattito e la partecipazione è necessario puntare sull’educazione dei giovani e delle donne, perché è dell’ignoranza che si serve il fondamentalismo islamico per mantenere lo status quo. Inoltre, è altrettanto necessario un processo di laicizzazione del paese perché si arrivi ad ottenere l’uguaglianza tra uomini e donne che è fondamentale per una democrazia stabile e duratura.

Belquis Roshan sfila per il parlamento esibendo il cartello “Trattare con l’America significa vendere la madrepatria”
Belquis Roshan sfila per il parlamento esibendo il cartello “Trattare con l’America significa vendere la madrepatria”

Una democrazia afgana è irrealizzabile finché le truppe americane non saranno ritirate, finché l’Afghanistan non sarà libero dalla manipolazione e dagli interessi delle potenze limitrofe come Pakistan e Iran. Hambastagi non è contro le relazioni internazionali con gli altri paesi, ma sostiene che esse debbano andare a vantaggio del popolo e non dei paesi capitalisti o dei loro burattini locali.

Sopravvivere sì, ma per Hambastagi vivere significa anche resistere ad ogni costo, lottare e sognare che una rivoluzione sia possibile, che il potere in Afghanistan ritorni nelle mani degli afgani.

Linda Bergamo

Linda Bergamo

Una grande passione per l’Afghanistan mi ha portato a far parte dell'Associazione Cisda ONLUS in sostegno alla Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (RAWA).
In parallelo a un Dottorato di ricerca all’Università di Grenoble, lavoro come operatrice sociale con le vittime di tratta degli esseri umani per sfruttamento sessuale.