Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

L’applicazione della definizione di “paese terzo sicuro” nel contesto messicano

Le tante incongruenze sulla base del diritto internazionale dei rifugiati

Messico – Come parte della rinegoziazione NAFTA tra gli USA, Messico e Canada, le ultime dichiarazioni del governo messicano e di quello statunitense, fanno pensare all’inclusione di una clausola che dichiari il Messico come “paese terzo sicuro”.

Esperti in diritto internazionale, in diritti umani e diritto dei rifugiati hanno ripetutamente mostrato dubbi sull’effettività di queste dichiarazioni, generalmente correlate da dubbiosi accordi di riammissione. Già nel 2008 i ricercatori Hyndman e Mountz hanno introdotto il concetto di “neo-refoulement”, che si riferisce (d’accordo a quella che è l’opinione degli autori) a quelle strategie basate sulla gestione geografica che si centrano sullo sviluppo di meccanismi di ritorno capaci di bypassare il principio di non refoulement (quello che poi Betts nel 2009 ha definito “cross-persuasion”).

Le strategie del presidente Trump in materia di accoglienza di migranti e rifugiati sono drammatiche ed evidenti allo stesso tempo: la costruzione del muro, la sospensione del Temporary Protected Status o T.P.S. per persone beneficiarie di protezione di differenti nazionalità, il re-finanziamento del Plan Frontera Sur e del Plan Mérida, la creazione di una forza di sicurezza congiunta per frenare la migrazione irregolare in collaborazione con il governo di Panama e, in ultimo, l’inserimento di una “clausola migratoria” nei processi di rinegoziato del trattato di libero commercio.

Senza dubbio, qualsiasi definizione dell’istituto dell’accordo di riammissione (e la stessa “dichiarazione” di uno Stato come “terzo e sicuro”) implica una volontà politica di firmare un mutuo accordo di remissione e ricezione di persone richiedenti asilo. In poche parole, la responsabilità del governo messicano non è da ignorare (così come lo fu con il Plan Mérida e il Plan Frontera Sur).

Perchè il Messico non può essere considerato un “paese terzo sicuro”?

Le ultime statistiche dell’autorità competente in materia di rifugiati in Messico, la Comisión Mexicana de Ayuda a Refugiado (COMAR) 1, descrivono come nel 2017 siano state ricevute 14.596 richieste d’asilo, con un incremento approssimativo del 66% dal 2016 (8.796); del 326% dal 2015 (3.424); del 583% dal 2014 (2.137); e del 1025% dal 2013 (1.296).

C’è stato perciò un incremento nella crisi? No.
Il primo punto da sottolineare sulla questione protezione dei richiedenti asilo in Messico è che la COMAR è completamente impreparata per garantire un sistema minimamente capace di fornire una parvenza di protezione effettiva.
La Commissione conta con solo tre delegazioni in tutto il paese: Tapachula (Chiapas), Acayucan (Veracruz) e Città del Messico. La delegazione di Città del Messico è incaricata di tutte le entità federative in cui non è presente una delegazione ufficiale.

Nel caso in cui non ci sia, appunto, una delegazione nell’entità federativa in cui la persona decide far domanda di protezione internazionale, l’incarico di fungere da collegamento tra la COMAR e il richiedente asilo è svolto dall’Instituto Nacional de Migración (INM). Durante il primo quadrimestre del 2018, 44.327 persone sono state detenute dall’INM, delle quali 35.875 deportate nei propri paesi di origine. In comparazione con il 2017, si identifica un aumento del 65% negli eventi di privazione della libertà e un aumento del 68% sul numero di deportazioni. Lo scorso anno, l’INM ha detenuto 94.000 persone, delle quali 82.000 deportate nei rispettivi Paesi di origine (87%).

Considerando che l’AILA (American Immigration Lawyer Association) ha affermato che il 90% di persone proveniente dai Paesi del Nord dell’America Centrale hanno un “fondato timore di persecuzione”2; che, secondo quanto riportato da Mulrine (2011) 3 questi Paesi sono tra quelli con l’indice di morti violente più alto al mondo (dato corroborato dalle statistiche dell’UNODC, 2014 4); e che dati statistici dell’ACNUR (2015) 5 hanno evidenziato un aumento esponenziale nel numero di richieste provenienti da questi Paesi, è evidente come l’INM non sia (o non voglia essere), se prendiamo in considerazione l’ultimo report, in grado di identificare profili di persone con necessità di protezione internazionale.

L’ultimo report sulla situazione nei Centri di Detenzione Migratoria del Consejo Ciudadano del INM 6 ha identificato che le condizioni di detenzione in questi centri rasentano l’inumano 7, con violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani, tra cui casi evidenti di violazione al principio del non refoulement 8.

Secondo le statistiche precedentemente menzionate, il 21% dei procedimenti di asilo conclusi non hanno riconosciuto alcuna forma di protezione. Tuttavia, la statistica maggiormente rilevante mostra che solo 4.475 persone (il 30%) richiedenti asilo hanno concluso il procedimento.

Tra le ragioni più frequenti, sicuramente c’è il cambio di entità federativa “ingiustificato”, generalmente per ragioni familiari, o per la scarsa presenza di mezzi di sussistenza, oppure per persecuzione e insicurezza.
È importante porre l’attenzione sul fatto che, secondo la Ley sobre Refugiados, Protección Complementaria y Asilo Politico, un richiedente asilo deve presentare la propria richiesta entro 30 giorni dall’ingresso nel Paese (i casi di “estemporanea” raramente vengono presi in considerazione) e, una volta iniziato il procedimento, devono permanere nella stessa entità federativa dall’inizio fino alla sua conclusione, o altrimenti chiedere un’autorizzazione giustificata per il trasferimento.

Sempre riferendosi alle statistiche, la maggior parte delle richieste avviene in Chiapas, Tabasco e Veracruz, Stati che presentano un panorama di insicurezza estremamente alto: non solo la fortissima presenza di gruppi del crimine organizzato e di piccole bande criminali espongono le persone in viaggio a essere vittime di qualsiasi tipo di reato (dal furto, al sequestro e allo stupro), ma anche l’alto tasso di corruzione tra i pubblici ufficiali, la presenza di forze armate con funzioni di ordine pubblico, forze parastatali e di sicurezza privata, rendono la permanenza dal punto di vista della sicurezza particolarmente instabile 9.

Considerando l’alta permeabilità della frontiera sud messicana, la presenza degli agenti persecutori tipici (maras e pandillas) è comune nel centro-sud del Paese, cosa che rappresenta un problema maggiore per i richiedenti asilo, che si vedono obbligati a ricorrere a misure alternative di re-ubicazione verso il nord.

In aggiunta, la zona sud del Messico si caratterizza per una presenza maggioritaria di attività agricole, senza grandi possibilità lavorative per le persone richiedenti asilo; nello specifico, riguardo la possibilità di lavorare legalmente, le incongruenze tra la Ley sobre Refugiados e la Ley de Migración spesso impediscono ai richiedenti asilo di poter accedere a un lavoro formale, al servizio di sanità di base, o a un’istruzione 10.

Queste due limitanti ratione loci e ratione temporis sono solo alcune delle incongruenze proprie della legislazione messicana rispetto alle persone richiedenti protezione internazionale, la quale contiene numerose lacune e punti dubbiosi in relazione ai principi dei diritti umani e del diritto dei rifugiati.

Un’ulteriore statistica allarmante fa riferimento al fatto che in aggiunta alle 2.400 persone che hanno abbandonato il procedimento, un altro numero altissimo (7.719, pari, suppergiú, al 52%) racchiude richiedenti con procedimento aperto.

Considerando che il procedimento dovrebbe ritardare un massimo di 90 giorni, in nessuna circostanza è possibile giustificare un numero così alto.
Senza dubbio, una grossa responsabilità è da attribuire all’implementazione dell’accordo di sospensione dei termini amministrativi di procedimento pubblicato nel Diario Oficial de la Federación (la Gazzetta Ufficiale messicana, per intenderci) il 30 ottobre 2017, come conseguenza dell’inagibilità della sede centrale della COMAR di Città del Messico dopo gli eventi tragici del sisma.

L’accordo, considerato anticostituzionale dal Nono Giudice del Distretto di Protezione in Materia Amministrativa della Città del Messico, è stato parzialmente derogato con un ulteriore avviso pubblicato nel DOF l’8 giugno del 2018, con il quale (probabilmente ancora una volta non rispettando i principi relativi alla sospensione dell’esercizio di un diritto) vengono ristabiliti in parte i termini di legge sospesi dall’accordo anteriore.

Il recente report di revisione del Brazil Action Plan pubblicato dalla società civile messicana, mostra una situazione allarmante, con carenze strutturali generalizzate dovute a un’assenza cronica di risorse, e un contesto legale che vede gravi incongruenze nel quadro giuridico; tutte questioni che impediscono un accesso effettivo a diritti civili ed ESCA per richiedenti asilo e persone rifugiate 11.
La COMAR di Città del Messico, responsabile come abbiamo detto di tutti i procedimenti presentati nelle entità federative in cui non è presente nessuna delegazione, funziona completamente a singhiozzo e, se solo guardiamo alla parte procedimentale, non è assolutamente in grado di procurare un servizio accettabile ai sensi della legge.

Un’altra statistica: nel 2017, ICE ha operato più o meno 140.000 arresti in operazioni ERO (Enforcement and Removal Operations), e per marzo del 2018, la Asylum Division del DHS aveva approssimativamente 320.000 casi aperti di richiedenti asilo: facendo una stima (ottimistica) che il 70% di queste persone siano le uniche persone che sarebbero colpite da un eventuale accordo di riammissione (considerando che tra queste ci sono persone che non sono passate r per il “corridoio centroamericano”), la domanda sorge spontanea: è in grado il sistema messicano di gestire un sovraccarico quantitativo esponenziale?

Se Amnesty International ha richiesto al governo canadese, in un documento di 58 pagine, che gli Stati Uniti non siano considerati come “Paese Sicuro”, meno si può pensare che il Messico sia in condizione di garantire un contesto sicuro per persone richiedenti asilo. Considerando le incongruenze di fondo generate da possibili interpretazioni viziose dei principi di diritto dei rifugiati, questa strategia rappresenterebbe il corollario della politica statunitense di allontanamento fisico di persone migranti e richiedenti asilo dal territorio nazionale.

Il Messico non è un Paese sicuro: ne per gli stessi messicani, né tantomeno per persone straniere. Scegliere di vivere in Messico dovrebbe rappresentare una decisione cosciente, non un obbligo derivato da accordi che evidentemente non percepiscono la realtà dei fatti.

  1. https://www.gob.mx/cms/uploads/attachment/file/290340/ESTADISTICAS_2013_A_4TO_TRIMESTRE_2017.pdf
  2. http://www.aila.org/File/DownloadEmbeddedFile/68331
  3. https://www.csmonitor.com/USA/Military/2011/0411/Pentagon-Central-America-deadliest-non-war-zone-in-the-world
  4. https://www.unodc.org/documents/gsh/pdfs/2014_GLOBAL_HOMICIDE_BOOK_web.pdf.
  5. http://www.acnur.org/t3/fileadmin/Documentos/Publicaciones/2015/10228.pdf.
  6. http://docs.wixstatic.com/ugd/5e9036_a54740482c0c4d44896b0da8fc817244.pdf
  7. È importante menzionare che non esiste un sistema alternativo alla detenzione applicabile uniformemente nel Paese. Ci sono alcune entità federative che hanno sviluppato prassi virtuose, ma moltissime persone richiedenti asilo trascorrono l’intero periodo del proprio procedimento in detenzione.
  8. Recentemente, parte della società civile messicana si è riunita in un gruppo multidisciplinare composto da esperti in diritto dell’immigrazione e dei rifugiati, psicologi esperti in tortura, antropologi e sociologi, con il fine concreto di identificare il sostanziarsi del crimine di tortura in questi centri, pubblicando un primo pamphlet politico che serve da introduzione a un report più corposo che si verrà realizzato per la fine dell’anno.
  9. In una ricerca condotta nel 2017 da diverse organizzazioni della società civile in Messico, si è riportato il dato del 99% di impunità per crimini commessi a discapito di persone migranti. Cfr. Suarez, H., Díaz, A., Knippen, J., Meyer, M. (201). El acceso a la justicia para personas migrantes en México. Un derecho que existe solo en el papel. WOLA
  10. Recentemente la Casa del Migrante de Saltillo con la Clinica Juridica “Alaide Foppa” dell’Università Iberoamericana de la Ciudad de México, hanno pubblicato un report specifico sulla ratio e l’interpretazione dell’istituto della Condición de Visitante por Razones Humanitaria, che rappresenta il permesso di residenza di cui i richiedenti asilo hanno diritto secondo l’ordinamento messicano, fino al termine del proprio processo di regolarizzazione.
    Disponibile su: http://cdmsaltillo.wixsite.com/cdmsaltillo
  11. http://www.humanrightsfirst.org/sites/default/files/HRF-Mexico-Asylum-System-rep.pdf