Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Se il migrante è ciò che di lui racconti: la narrazione genera realtà

Rinunciateci, il colonialismo è innegabile, gli orrori del fascismo pure, e le torture in Libia altrettanto. Salvini la raggiunge e visita lo scheletro di quelle che – dice con convinzione – saranno nuove strutture all’avanguardia per migranti, con centri sportivi e presidi sanitari. Quella della tortura sistematica, del sequestro, dell’estorsione, dell’abuso sessuale e della riduzione in schiavitù a mezzo “vendita all’asta”, in Libia, una retorica, una menzogna. Conte solca l’Europa ripetendo la formula ipnotica a doppio canale delle esternalizzazioni nei Paesi Terzi, e una migliore ripartizione tra i Paesi primi e secondi: modifica di Dublino.

Mica possiamo analizzare le domande solo noi? Quindi ecco, sul discorso del primo porto sicuro il diritto internazionale forse effettivamente da torto a chi si arroga il potere della chiusura, ma agli obblighi di sbarco non possono seguire anche quelli di prima accoglienza e valutazione delle richieste di protezione e asilo. Di Maio, che dal canto suo qualcosa doveva pur dire, insiste sulle ONG rimarcando il fatto che sicuramente, complici dirette o no delle partenze clandestine nel Mediterraneo, hanno indotto i trafficanti, con la loro stessa limitrofa presenza, a dar per scontato di poter fare un viaggio più breve, e quindi a pensare di poter imbarcare più persone e meno acqua e cibo per la traversata, producendo così un aumento delle morti.

Minniti, che ancora gode di qualche rimanenza d’attenzione, si rammarica del fatto che il vero successo sulla riduzione dei flussi è stato il suo con un meno 80%, ma che pare sia passato inosservato, forse, ipotizza, perché non ha avuto spazio per dirlo!
Intanto, mentre il dibattito politico sprofonda nel completo ridicolo, quello pubblico della società civile tiene svelto il passo della medesima degenerazione, e anche le menti migliori, sentendosi in dovere di opporre un contraddittorio a discorsi idioti, finiscono a loro volta, ma dalla prospettiva opposta, ad argomentare di idiozie e populismi. Si rincorrono articoli di giornale che raccontano del Ministro dell’Interno nonché frontman dei facinorosi che scova il like di una ONG ad un post sui social in cui era scritto “Salvini sei una merda”, migliaia di condivisioni di Saviano che gli da del buffone per la questione della scorta, riedizioni plurime della foto in cui gli fa da sfondo una barca su cui rassicura: “non trasporta clandestini”; su tutti i TG ancora lui che arringa apostrofando la Ministra francese “ignorante”. Poi, tra il serio e il faceto, come in un bel film di Totò, aggiunge che è ignorante nel senso che ignora. Una foto del bacino di S.Marco a Venezia pieno di spettatori per il concerto dei Pink Floyd dell’89, viene condivisa 9 milioni di volte con una didascalia che la descrive come porto libico con partenze in corso!
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Continua la predilezione italiana per i barzellettieri, quelli del peggior sermo familiaris sdoganato da Berlusconi in sostituzione dell’ostico e distaccato “politichese” di una classe dirigente che aveva “perso il contatto con la base”. Lo stesso che dopo i governi tecnici post berlusconiani ha usato Renzi per tornare a parlare a quel popolo italiano che proprio non sa resistere ai simpaticoni. L’italiano è spiritoso, lo sappiamo.

E infatti Salvini è oberatissimo nel postar selfie vignettati e freddure, veri ingredienti segreti della dialettica 2.0. Se Macron pensa di trasformare l’Italia nel campo profughi d’Europa “ha sbagliato a capire” dice, facendo dovuto onore alla sua terra di poeti!

Di Maio fa eco dicendo che “Noi scriviamo la parola fine al business dei migranti”, chiedendo con forza centri nei paesi di origine e transito, non in Italia. Certo del business dell’accoglienza ormai si deve parlare, considerando tutte le denunce, le inchieste, gli arresti, considerando l’emersione inequivocabile del malaffare. La narrazione trova dunque forme e sostanze: il business è opera di quella stessa sinistra delle cooperative “rosse” che con la scusa della solidarietà e l’obbiettivo del profitto ne ha fatti entrare quanti più ha potuto, e ha accolto non solo i profughi, ma anche tutti i migranti economici non aventi diritto, a spese nostre. Di Maio non dice se negli altri paesi europei sono accadute cose analoghe. Sono accadute? Si sono verificati in Belgio, Germania o Svezia casi di maltrattamenti o violazione dei diritti umani in suddetti centri, casi di appalti per servizi da 35 euro ed erogazioni da 2,50? Il business inteso come circoscritto alle lucrose truffe sugli “appalti dell’accoglienza”, temo si qualifichi come fenomeno squisitamente italiano. Avrei piacere d’essere smentita, ma credo che quanto accaduto sia tristemente tipico del pensiero “mafioso” italiano, radicato ben oltre l’appartenenza a destre e sinistre o dimostrate affiliazioni a clan criminali e assassini. Lo scivolamento truffaldino della italica capacità individuale d’impresa ha avuto manifestazioni innumerevoli. Si è lucrato sulle migrazioni come sui terremoti, con la stessa immorale insensibilità e strafottenza. Ogni genere di finanziamento europeo o fondo pubblico viene riconvertito in occasione di guadagno illecito, che si tratti di sanità, scuola, pensioni di invalidità, e così via.

E mentre l’Italia quisquilia, il vertice europeo nonostante i gagliardi proclami sembra concludersi con l’ottenimento di aria fritta, anche se al contempo viene diramata una circolare INMARSAT che dispone il sollevamento dell’Italia dal ruolo di primo porto sicuro, e lo affida alla Libia, seguita da Malta e Tunisia.
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La prima operazione libica di soccorso produce oltre cento vittime annegate, poi altre 69, poi altre 114, ma il successo di averla avuta “vinta” contro la pretesa delle ONG di sbarcarli tutti in Italia riempie di soddisfazione. Le immagini dei corpi di tre bambini di circa un anno recuperati in mare è presa a simbolo della disumanizzazione che incombe, anche se non mancano commentatori che fanno osservazioni sulla “coerenza della foto” che a loro dire mostra bambini su cui sono assenti segni tangibili d’annegamento! Col drammatico tempismo che gli è consueto, Salvini nelle stesse ore si esprime dicendo che da oggi in poi l’Italia “la vedranno in cartolina”, riferendosi a quelli soccorsi in mare dalle ONG, come nel giorno dell’ultima tragedia a largo di Kerkhenna in Tunisia, disse dei tunisini che erano tutti galeotti.

Un certo gusto “macabro” diviene il leit motiv del dibattito, e tra diffamazioni, felicitazioni e indignazioni, la morte violenta del migrante si normalizza come ogni altro evento a cadenza quotidiana. Qualcuno suggerisce che dovremmo informarli meglio sul rischio di morte che corrono in mare, perché magari così non partirebbero, ed altri rispondono che è ridicolo dire a chi rischia la morte là dove si trova, che la rischierebbe cercando di arrivare altrove. La morte sembra esser diventata l’elemento imprescindibile del tema migrazione, si migra per sfuggire alla morte e migrando si va incontro alla morte. Il migrante e l’inesorabilità della morte!

E su questa morte si argomenta: è una tragedia, no è la vita, era evitabile, no non lo era, se la sono cercata, no non potevano immaginarlo, è disumano, no è danno collaterale, è un incidente, no è logica conseguenza. Di incoscienza. No, di disperazione. No, di speranza. È un problema loro, oppure no, è un problema nostro, o ancora no, non è un problema. La morte è il destino del sud del mondo sottosviluppato e precario, in cui si muore di stenti o violenze, di parto o malaria, di sete o abbandono, di magia o febbre gialla.

Qui a nord invece la morte è lontana e la vecchiaia longeva, ad ogni male c’è rimedio e l’attaccamento alla vita viscerale. Qui la morte è il demonio da esorcizzare, ed è quasi “inaccettabile” perfino quella dei centenari. Qui la corsa all’eternità è la più partecipata ed entusiasta, il diritto alla vita è di ogni creatura, ma che gli africani possano morire come mosche appare quasi il naturale e necessario opposto. Qualcuno ironizza che tanto si riproducono come conigli, e che a conti fatti la proporzione è uguale! Più che disumani direi che alcuni sono disgustosi. Ma se lo dico, qualcuno mi fa notare che al di là dei cinismi e delle indignazioni facili, è caratteristica buona e giusta dell’umano nord-occidentale, non riprodursi in condizioni avverse, e che potrebbero davvero fare anche loro altrettanto.

Il dibattito è lontanissimo dal riuscire ad ipotizzare il rispetto del diritto sancito di ogni essere umano alla libertà di movimento, la concessione ad ognuno di un passaporto con cui entrare e uscire da ogni Stato Nazione. Se così fosse, come una nuvola di fumo si dissolverebbero le tragedie di confine, le dispersioni, le morti in mare, e tutta questa indegna pantomima di un’accoglienza verticalista e pietista che impone una solidarietà fondata in ultima analisi sulla disparità “intrinseca” tra “diseredati della terra” e “civilissime persone gentili”. Si dissolverebbero le contese sulle competenze del soccorso in mare, sull’esternalizzazione delle frontiere, sui regolamenti di Dublino. E invece, questo aspetto sembra non interessare a nessuno, e sembra legge mosaica scalfita sulla pietra la condizione per cui i cittadini del sud del mondo debbano essere confinati in questa grande “riserva” le cui vie di vie d’uscita sono percorribili solo dalle risorse naturali che con flusso sicuro e costante viaggiano verso nord. Che le persone debbano invece percorrere clandestinamente il deserto e il mare, rischiare la vita, e rimettersi alla benevolenza di “noi” che, eventualmente, possiamo scegliere di prestargli soccorso ma anche in fondo di rifiutarglielo, perché mica possiamo o dobbiamo sempre star lì a far gli angeli custodi! Si continua a dar battaglia su ONG si e ONG no, competenze alla Libia o all’Italia, obbligatorietà o volontarietà di presa in carico dei rifugiati, sanzioni si o sanzioni no a Malta che fa quel che vuole, e perfino sugli articoli comma per comma del diritto del mare. Ci si continua ad autoconvincere che in queste faccende risieda il nocciolo del problema e la possibilità di rinvenire soluzioni, anche se tutto questo è già effetto e non causa, e non mi pare sia difficile poterlo conoscere o comprendere.

Discutiamo di particolarismi e vacuità per simulare la messa in atto di un cambiamento che però in fondo in fondo, punta solo a lasciar le cose esattamente come stanno. Centinaia di migliaia di chiacchiere da un lato, e di morti dall’altro, preferibilmente quanto più a sud si possa.

Quando si parla di libertà di movimento qualcuno immagina individui dalle più varie e non felici intenzioni entrare e uscire da ogni luogo senza doversi identificare, senza possibilità che li si possa tracciare e rintracciare, se necessario braccare. Immagina la non perseguibilità e l’anarchia, fantasticando dell’esatto opposto di ciò che sarebbe in realtà. Libertà di movimento significa regolarità e trasparenza, che ognuno ha un passaporto e le proprie impronte depositate, che i viaggi sono tracciabili, le entrate e le uscite registrate, video sorvegliate, vidimate e timbrate.

Ogni presenza conosciuta e ben localizzata. La clandestinità intesa come identità sconosciuta, impunità, irreperibilità, sarebbe impossibilitata. Il sotterfugio che richiama l’inganno e inibisce la fiducia sarebbe non necessario. Il sospetto sarebbe immotivato. Sulla convivenza si nutrirebbero migliori auspici, o comunque nascerebbe senz’altro sotto una stella migliore. Lo straniero sarebbe meno incognito e inquietante.

Ma se parli di questo ti si dice che è utopia, come il disarmo globale e la pace nel mondo. Ne resto colpita! Rispondo che utopia lo sono state molte cose nella storia dell’umanità. La non perfezione della volta celeste, le macchine volanti di Leonardo, lo sbarco sulla luna, il trapianto d’organi, la parità dei sessi, l’alfabetizzazione diffusa, la mobilità sociale, le macchine che affrancano l’uomo dalle fatiche. Utopia era il ritratto perfetto in una frazione di secondo, poi accadde e sconvolse i pittori di fine ‘800; oggi siamo all’era del selfie. É stato utopia pensare di poter comunicare in tempo reale con l’altro capo del mondo. Utopia prevedere il tempo meteorologico, e ancora utopia la progressiva procrastinazione della morte. Evidentemente l’utopia è condizione transitoria, e sempre evidentemente il genere umano si divide anche tra chi percepisce e persegue la meraviglia del “possibile”, e chi ha il suo focus nel perenne “impossibile”, vivendo schiavo dei suoi dati di fatto e irretito dalla presunta immutabilità del divenire. Non ci ha condotto dalla preistoria ad oggi l’arrendevolezza di chi si è rassegnato al presente, ma l’audacia visionaria di chi ha sognato di poter essere artefice di un futuro migliore. L’evoluzione non è utopia, ma il frutto della straordinaria interazione di fantasia e concretezza, e questo è un fatto.

Ma già il discorso a questo punto lo sto facendo da sola, e tante chiacchiere se le porta il vento. Sono troppi, basta, ruspa. Con rosario alla mano si galvanizzano le folle verdi alla promessa di 30 anni di governo. L’italiano assapora il gusto adrenalinico della riscossa che avanza, e acclama Salvini che ne è l’artefice e glie la concede. Adesso ci pensa Salvini ripetono in coro e contenti. Salvini che è Premier di fatto, Ministro dell’Interno, e pure della fede, meglio di questo Papa che si è messo pure lui a fare ramanzine catto-comuniste sull’accoglienza invece di tifare il Cristo e pascolare le anime nel terreno della guerra per il crocefisso di questo terzo millennio.

L’antifascismo e l’antirazzismo sono ormai in decadimento, una retorica melensa e buonista per radical-chic benestanti che frequentano situazioni e territori elitari, affrancati dal degrado che invece incombe tutto intorno.

Se per esser buoni bisogna dare, ma da dare non si ha più nulla, allora si può anche esser letti cattivi, e non importa. E dunque agli italiani non importa, il messaggio è passato, non è attacco ma autodifesa. Si salvi chi può.