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Francia – Situazione esplosiva nei Centri di detenzione

Una nota stampa dell'associazione La Cimade*

Photo credit: © Yann Castanier / Hans Lucas (Centro di detenzione amministrativa di Mesnil-Amelot, novembre 2017)

Il moltiplicarsi delle violenze e delle tensioni nei centri di detenzione amministrativa (CRA) è il risultato di una politica di confinamento dei migranti. Il governo ha la responsabilità delle gravi conseguenze di queste decisioni.

27 settembre 2018 – La Francia, primo paese europeo per numero di detenzioni e tentativi di espulsione di migranti, sta perseguendo una politica sempre più repressiva che pone in serio pericolo le persone sottoposte a questa privazione di libertà. Avendo constatato fatti estremamente gravi, la Cimade chiede al governo di adottare con urgenza misure forti.

Essere privati ​​della libertà e minacciati di espulsione costituisce già di per sé un trauma che segna ogni anno in Francia 50.000 donne, uomini e bambini. Ciò nonostante, da circa un anno, il governo ha deciso di ricorrere a questi luoghi di detenzione in maniera più intensa e risoluta.

Oggi i centri di detenzione amministrativa (CRA) sono al collasso. Innanzitutto perché vengono utilizzati al massimo della loro capacità, tanto da farli esplodere a causa della loro promiscuità e dell’aumento delle tensioni.

Così, rispetto al 2017 1 , dall’inizio del 2018 il numero di persone recluse è aumentato del 55% a Rennes, del 41% a Tolosa, del 20% a Bordeaux e del 30% a Cayenne e in Guadalupa.

La situazione è aggravata dalla scarsa considerazione della vulnerabilità delle persone, di una loro possibile patologia psichiatrica o di loro precedenti, sia a monte della decisione del prefetto di “porli” sotto detenzione, sia nel corso dei 45 giorni di questa privazione di libertà .

Le unità mediche rimediano come possono a questa mancanza, essendo esse stesse soggette a una tendenziale riduzione dei loro effettivi, mentre si moltiplicano le necessità sanitarie. La politica perseguita è quella del confinamento e della detenzione, evitando a tutti i costi i rilasci. Il numero di persone la cui condizione è chiaramente incompatibile con la reclusione sta aumentando drammaticamente.

Allo stesso tempo, le unità di polizia, già in numero insufficiente, non sono state rafforzate. Alcuni sindacati di polizia affermano che la sicurezza di questi luoghi è compromessa. Non possono essere garantiti nemmeno i servizi di scorta in tribunale dove queste persone possono tentare di far valere i loro diritti. Tale contesto è tra le cause degli atti di violenza registrati da parte della polizia.

La violenza di un universo carcerario

Le tensioni quotidiane provocate dal confinamento in un ambiente carcerario difficile, producono sulle persone reazioni di autodifesa, risvegliano traumi e angosce profonde. Così, aggressioni, insulti e atti autolesionistici diventano sempre più frequenti.

Questi gesti di disperazione, atti ultimi di resistenza oppure segni di gravi patologie psichiatriche, conducono all’autolesionismo tramite l’uso di lame da rasoio o di oggetti appuntiti. Seppur ripetuti, questi gesti estremi sono raramente oggetto di cure psichiatriche. Alcune persone fanno lo sciopero della fame, come quest’uomo, la cui figlia disabile vive in Francia, che ha smesso di mangiare per 45 giorni per protesta contro la sua deportazione. Un altro uomo si è cucito la bocca ad agosto dopo aver detto “Sto morendo dentro“.

In questo contesto, in meno di un anno due persone si sono tolte la vita. La prima a Marsiglia nel dicembre 2017, dopo diversi tentativi suicidari. Dopo a Tolosa, venerdì 21 settembre, dove un giovane di 30 anni si è impiccato nella sua stanza. I casi di decesso sarebbero potuti essere ancora più numerosi dato l’aumento dei tentativi di suicidio. Alcune persone sono state salvate dai loro compagni di stanza o dagli agenti di polizia.

Alla luce di questi eventi la reclusione mirata alle espulsioni, molte delle quali abusive o illegali, che ha provocato diverse tragedie, deve essere rimessa profondamente in discussione.

Altre manifestazioni inusuali riflettono il grado di violenza raggiunto all’interno dei centri di detenzione amministrativa. A Bordeaux, il 6 settembre, alcune persone hanno provocato una rivolta nel CRA situato nel seminterrato di una stazione di polizia. Sono state distrutte delle porte, così come servizi igienici, distributori automatici, telefoni e apparecchiature informatiche. Ci sono stati tentativi di incendio in una rivolta simile a Rennes.

Condizioni materiali indecenti

Oltretutto, molti CRA presentano condizioni materiali indecenti, in particolare ambienti estremamente sudici a causa della carenza di personale che ne garantisca la pulizia. Rifiuti, sporcizia incrostata sui pavimenti, sanitari molto sporchi caratterizzano inoltre la vita quotidiana di migliaia di persone detenute.

Anche la mancanza di considerazione dei più vulnerabili è sintomatica di questa macchina che calpesta la loro dignità. Persino i soggetti più fragili non sono protetti.

Le vittime di tratta di esseri umani possono incontrare grandi difficoltà nel far valere il loro diritto a una protezione. Nel 2017 è esploso il numero di bambini detenuti, e il 2018 continua sullo stesso trend; nemmeno i neonati e i loro genitori vengono risparmiati. Negli ultimi mesi, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), che ha già condannato la Francia sei volte in passato, ha dovuto urgentemente dare ordine a un governo indifferente alle associazioni e alle autorità amministrative indipendenti, di rimettere in libertà le famiglie.

Infine, questi eventi particolarmente gravi sono alimentati o provocati da ripetute violazioni dei diritti, sempre più perpetrate dalle autorità pubbliche. La Cimade li ha già ampiamente denunciati e quantificati.

Ma le ultime osservazioni rivelano alcune pratiche che vanno sempre più oltre, come il caso di persone espulse dalla Guadalupa o da altri dipartimenti dopo 10-20 anni di residenza in Francia. Casi di minori isolati, come quello di Nakachia di 14 anni, la cui età è messa in discussione dall’amministrazione, che vengono detenuti quando la legge invece lo proibisce.

Ci sono persone rimandate verso paesi a rischio direttamente o attraverso paesi europei che se ne prendono carico, in particolare in Afghanistan, nonostante la situazione interna del paese. Persone che sfiorano l’espulsione e riescono, a forza di lottare, a ottenere lo status di rifugiato mentre si trovano in stato di detenzione dopo aver attraversato le aree di attesa negli aeroporti. Sono state eseguite delle espulsioni, vietate in pendenza di un ricorso prima della decisione di un giudice.

Vengono detenuti padri e madri costretti a lasciare temporaneamente i loro figli a una terza persona per evitare loro questa reclusione, con il rischio di separarsi per sempre. Persone sgombrate dagli accampamenti, come quello di Grande-Synthe, e detenute con l’obiettivo di allontanarle più dal loro ambiente precario che dal territorio francese.

In questo contesto, che ricorda quello del giugno 2008, periodo segnato dalla morte di un uomo nel CRA di Vincennes a causa di un incendio che lo ha distrutto, il passaggio a un periodo massimo di detenzione da 45 a 90 giorni porterà indubbiamente ad un peggioramento della situazione.

Cimade invita il governo, responsabile della gravità della situazione, ad adottare misure urgenti e porre fine a questa politica deleteria.

  1. Leggi il rapporto 2017 sui centri di detenzione amministrativa in Francia