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Grecia – La situazione nell’hotspot di Moria sull’isola di Lesvos è sempre più allarmante. Aumentano i casi di suicidio

Una sintesi del rapporto di International Rescue Committee sulla salute mentale dei richiedenti asilo

Lo stress psicologico subito dai richiedenti asilo all’interno del centro di identificazione (RIC) di Moria sull’isola di Lesbo diventa sempre più allarmante.


La totale mancanza di libertà e la costrizione a sopravvivere in condizioni precarie ed inaccettabili ha comportato un aumento vertiginoso dei suicidi all’interno del centro: il 30% ha tentato il suicidio, il 16% l’ha seriamente preso in considerazione.

La maggior parte di loro sono rifugiati provenienti dalla Siria, dall’Iraq e dall’Afghanistan con alle spalle un passato traumatico di atroci guerre e fughe per raggiungere l’Europa che riaffiora ed esplode a Moria.


Si stima che all’interno del centro siano “costipate” più di 8.500 persone a fronte di una capienza di 3.100, in 84 devono dividersi una doccia e in 72 un bagno, tutti quanti bisognosi di supporto sanitario piuttosto che legale e in attesa che la loro richiesta di asilo venga ascoltata. L’alto tasso di licenziamenti rispecchia le condizioni lavorative dello staff che spesso deve fronteggiare numerose risse e rivolte che insorgono all’interno del centro.

Bisogna però considerare diversi fattori esterni che hanno contribuito a portare all’estremo questa situazione disumana: al primo posto le politiche miopi messe in atto a seguito dell’accordo tra Unione Europea e Turchia nel marzo 2016; al secondo la mancanza di un sistema di condivisione; al terzo l’incapacità da parte dello Stato greco di utilizzare adeguatamente i fondi ricevuti a sostegno di una strategia a lungo termine che potesse gestire la risposta nazionale.

In questo contesto, da sei mesi a questa parte, il Comitato di Soccorso Internazionale (IRC) sta raccogliendo le testimonianze dei richiedenti asilo di Moria che frequentano il centro di sanità mentale e supporto psicosociale nella capitale Metylene affinché possano essere assicurate le giuste condizioni di vita e l’adeguato sostegno psicologico per superare traumi silenti ed irrisolti.

Grazie ad un team composto da psicologi, interpreti ed altre figure professionali sono emersi dati sconcertanti riguardanti casi di affetti da disturbo post-traumatico da stress (41%), di depressione (64%), di violenza di genere e sessuale subita da parte di entrambi i sessi (50%).

Sfortunatamente spesso i progressi raggiunti da coloro che sono seguiti e supportati si vanificano al rientro al centro, in particolare i fattori più impattanti sulla salute e lo stato mentale si sono rivelati essere: la mancanza di protezione, la mancanza di supporto e la mancanza di certezze sul futuro.

“Diverse volte ho tentato il suicidio. L’unico motivo per cui sono contento di non aver avuto successo sono i bambini.”
Ahmad (35) padre single iracheno con 4 figli che vivono nell’uliveto, a Moria, a Lesbo.

Nel primo caso un ambiente sovraffollato, senza privacy o un riparo sicuro, animato da quotidiane risse non fa che aggravare lo condizioni psicologiche già labili di molti di loro che preferiscono fuggire dal centro incorrendo purtroppo in altrettanti pericoli. L’11 giugno di quest’anno un sedicenne siriano scappando dalle violenze di Moria si è imbattuto in un contadino greco che gli ha sparato in testa.

Inoltre la totale assenza di polizia all’interno del centro e l’impunità dei malfattori ha comportato l’instaurarsi di una progressiva giustizia privata che molti richiedenti asilo temono richiedendo l’intensificazione delle forze armate.

D’altro canto però il contesto militarizzato di Moria con tanto di filo spinato, armi e violenza non fa che rievocare i ricordi delle guerre da cui sono fuggiti.
Tra i più vulnerabili ritroviamo donne e bambine vittime di molestie sessuali e costrette, a causa del sovraffollamento, a condividere la tenda con sconosciuti e ad evitare giorno e notte i bagni se non accompagnate. Molte donne single vengono inserite nella sezione dei minori accompagnati con la speranza di non incorrere in ulteriori violenze, purtroppo in alcuni casi neanche questo si è dimostrato sufficiente.

Lo stesso trattamento seppur con minor frequenza è riservato anche a uomini e bambini.
A Moria si lotta per la sopravvivenza tutti i giorni, per assicurarsi un pasto bisogna essere fra i primi anche a costo di fare a botte.

Molti per evitare le risse che si scatenano durante l’attesa in coda preferiscono arrangiarsi con fornelli e bombole precarie rischiando di provocare incendi mortali, ne ricordiamo uno avvenuto nel 2016 in cui l’esplosione di una bombola a gas ha causato la morte di una donna e della nipote.

A seguito dell’accordo EU-TK vivere a Moira è inevitabile per la maggior parte dei richiedenti asilo, persino gli individui e le famiglie più vulnerabili non possono raggiungere il continente greco.

Ulteriore fatto sconcertante è la decisione presa dal Consiglio Municipale di Lesbo di non accettare nessuna donna richiedente asilo o rifugiata all’interno del “Rifugio Sicuro per le Donne Vittime di Violenza di Genere” se non in circostanze estreme e per un massimo di due giorni.

Dai cambiamenti nella gestione del fenomeno migratorio i centri di identificazione (RICs) presenti nelle cinque isole elleniche dispensano servizi scadenti e inadatti a coprire le reali necessità.

Dal 2017 ad oggi l’agenzia statale KEELPNO (Hellenic Centre for Disease Control and Prevention) si ritrova a corto di personale con uno staff composto solamente da due medici uomini affiancati, nella migliore delle ipotesi, da interpreti proveniente da agenzia esterne o addirittura da paesani che aiutano come possono.

Ciò che manca, oltre ad una squadra professionale e competente, è lo spazio fisico in cui operare: all’incirca 40 staff di operatori sociali, psicologi ed infermieri si alternano all’interno di un unico container.

Per necessità molti di loro sono costretti a dispensare il servizio a cielo aperto nella totale assenza di privacy ed esposti alle intemperie.

Diverse organizzazioni mediche umanitarie sono accorse per arginare questa situazione ma le numerose richieste di aiuto non consentono loro di operare nelle modalità e nelle tempistiche adeguate.

La crisi economica in cui versa lo Stato greco fa da cornice ad un contesto tanto drammatico in cui i richiedenti asilo, impotenti ed estenuati, si rassegnano a vivere in un limbo di incertezze e paure sul loro futuro.

Solo al conseguimento dello status di rifugiato o, nel caso dei più vulnerabili (sempre meno sulla carta), dopo il primo colloquio dell’iter previsto, è consentito lasciare l’isola.

In una recente visita in Grecia Duna Mijatović, commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, ha sollecitato affinché siano rispettati i diritti delle persone ritenute vulnerabili e velocizzate e migliorate le rispettive procedure di assistenza.
Le raccomandazioni per risanare questa inaccettabile situazione di sofferenza fisica e psicologica sono di dovere ed estese a molti: dall’amministrazione del centro di Moria alla municipalità di Lesbo, dal corpo della polizia al governo greco, per concludere con gli stati membri dell’Unione Europea sino ad oggi incuranti di mettere in pratica un modello equo di condivisione ed incrementare corridoi umanitari regolari e sicuri.

Ulteriore appello è rivolto all’UNHCR affinché siano sollecitate le pratiche di prevenzione, protezione, cura e sistemazione delle vittime di violenza sessuale e di genere. Si chiede inoltre maggior trasparenza ed un’esplicita presa di posizione contro le politiche disumanizzanti messe in atto.

Donatori e sostenitori d’altro canto sono incentivati a supportare come possono le organizzazioni che si impegnano ad offrire formazione ed assistenza sanitaria e psicologica laddove è carente.

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