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Mali, protezione umanitaria: è rilevante il periodo di “detenzione” in Libia

Tribunale di Venezia, ordinanza dell'11 settembre 2018

Il Tribunale di Venezia chiamato a verificare la sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione internazionale in capo a un ricorrente del Mali, nonostante il giudice condivida il rilievo della Commissione Territoriale in ordine alla incoerenza e genericità della vicenda descritta dal richiedente asilo caduto in contraddizione e scarsamente credibile, lo ha ritenuto meritevole della protezione umanitaria.

Il Giudice veneziano ha osservato come nella zona di provenienza del ricorrente (nato e cresciuto nella regione di Kayes) se “non può ritenersi interessata da violenza derivante da conflitto armato […], le COI di maggiore affidabilità descrivono per la Regione in questione una situazione di diffusa violazione dei diritti umani fondamentali e di mancanza di tutela da parte degli organi statuali. Tanto consente di ritenere probabile che un eventuale rimpatrio esporrebbe in concreto il ricorrente al rischio di grave compromissione dei suoi diritti fondamentali”.

Secondo il Giudice assumono inoltre rilevanza ai fini della decisione le condizioni di vulnerabilità del ricorrente citando tra esse “ il periodo di carcerazione subito sia in Algeria – per due mesi – che, soprattutto, in Libia – per tre mesi ”. A quest’ultimo proposito, scrive il giudice, “occorre rilevare che l’art. 8 comma 3, D.Lgs 25/2008, disponendo che l’esame della domanda di protezione internazionale debba essere fatto alla luce di informazioni precise ed aggiornate riguardanti la situazione del paese in origine, ma anche nei paesi ove lo stesso abbia transitato prima di arrivare in Italia, che hanno determinato una condizione di vulnerabilità tale da giustificare l’eventuale protezione umanitaria”.

E’ noto aggiunge il giudice che “ trattamenti violenti, inumani e degradanti sono altresì subiti dagli stranieri in transito in Libia, che imprigionati in campi di detenzione subiscono violenza fisica e verbale, tortura, maltrattamenti, malnutrizione, scarsa igiene, che inevitabilmente si ripercuotono sulla salute fisica e psichica del migrante che già solo per questo si trova in una condizione di particolare vulnerabilità […] Sebbene queste strutture dipendessero ufficialmente dal ministero dell’Interno erano spesso gestite dai gruppi armati che operavano fuori da un effettivo controllo. In queste strutture erano tenuti in condizioni squallide e sottoposti a tortura e altri maltrattamenti da parte delle guardie compresi pestaggi, sparatorie, sfruttamento e violenza sessuale. Ciò trova recentissima conferma anche nelle dichiarazioni rese dal Procuratore della Corte penale internazionale dell’ONU dell’8 maggio 2017 ”.

La decisione è di particolare interesse perché da rilievo al periodo trascorso dal richiedente asilo nei paesi di transito prima di arrivare in Italia riconoscendogli una condizione di particolare vulnerabilità determinata dalle violenze subite in Libia concludendo con il riconoscimento della protezione umanitaria per il ricorrente.

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Tribunale di Venezia, ordinanza dell’11 settembre 2018