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Asmara mi piace perché…

di Diletta Bufo*

Una favela di Asmara (Photo credit: Diletta Bufo)
Una favela di Asmara (Photo credit: Diletta Bufo)
Una favela di Asmara (Photo credit: Diletta Bufo)

La televisione è ancora un rito collettivo. Quando torno a casa, dopo la scuola, sulla porta mi aspettano i figli dei vicini: Sham, Sinit, Henok e Lulya, la più grande, di 12 anni, che tiene sulle spalle la sorellina, ultima arrivata, legata con un lenzuolo alla sua schiena.

Mi chiedono se possono guardare le “bambula”, così chiamano i cartoni animati, perché loro non hanno la TV. Passo il pomeriggio ad osservarli, mentre sono rapiti dallo schermo, con gli occhi sbarrati, grandi come nocciole. Sono curiosi, provano stupore, si divertono.

Sembra di tornare indietro nel tempo, negli anni Cinquanta, quando la televisione in Italia era un lusso, ma anche un momento per stare insieme, diverso anni luce da oggi. Quando è stata l’ultima volta che avete seguito un programma, senza distrarvi con il telefono, il tablet o Facebook?

Sorgendo su un altopiano a 2.300 metri sul livello del mare, le nuvole si possono toccare. Sembrano vicinissime, così come le stelle che, nonostante l’inquinamento cittadino, si vedono bene quasi ogni sera. La luce ad Asmara è solo quella del Sole, che sorge presto e mi butta giù dal letto. Quella elettrica, invece, è ad intermittenza, ma si impara presto ad attrezzarsi con candele e torce. Qui capisco che nulla è indispensabile e che un po’ di creatività, a volte, aiuta!

Inizio la giornata, bevendo un ottimo latte, al cinema Roma, che fa anche da bar. Qui sono circondata da locandine dei grandi film del passato, da Metropolis di Fritz Lang alla Dolce vita di Federico Fellini. E’ come trovarsi su un set cinematografico, perché non manca neppure un proiettore vintage in mezzo all’ingresso.

Una donna può uscire la sera, fare due passi in centro, senza la paura di tornare a casa da sola. E’ molto raro fare incontri spiacevoli, fatta eccezione nelle zone delle bidonville dove, tuttavia, si può incappare al massimo in qualche giovane che ha bevuto un bicchiere di troppo. Rispetto al resto dell’Africa, Asmara è una città sicura, dove le violenze sono rare. A proposito di bidonville, non si può andare via da Asmara, senza visitarle. Qui si respira la vera Afrique!

La città di Asmara (Photo credit: Diletta Bufo)
La città di Asmara (Photo credit: Diletta Bufo)

Si trova ad un centinaio di chilometri dal mar Rosso, il paradiso dell’Eritrea. Ho scoperto le isole Dahlak, ancora selvagge ed incontaminate, dove approfitto per passare qualche fine settimana, quando non c’è scuola. La vacanza alle Dahlak, per me, comincia non quando metto i piedi, anzi, le pinne, in acqua, ma nel momento in cui salgo in auto per raggiungere Massawa, porto da cui ci si imbarca. Il viaggio è un’avventura: dico ironicamente che è doveroso ascoltare musica in tigrino, per entrare nella giusta atmosfera. Ed è una meraviglia la strada alpina, perché attraversa villaggi, innumerevoli tornanti e paesaggi unici. Si incontrano carovane di cammelli, bambini che guidano caprette e mucche, scimmie avvinghiate sui pendii, alveari da cui si ricava un ottimo miele.

Nonostante abbia una storia minata da continue dominazioni straniere, Asmara ha sviluppato una sua identità. Le tradizioni resistono anche tra le nuove generazioni: il rituale del caffè, ad esempio, dura più un’ora, dunque non pensate che farsene offrire uno possa essere semplice! Si comincia con la tostatura dei chicchi, si procede eliminando quelli che renderebbero il caffè troppo amaro, infine lo si serve, sciacquando ogni tazzina con le prime gocce. Si fa un primo giro, più concentrato, poi un secondo, un terzo, insomma, anche un quarto giro di caffè, più annacquato e leggero. Anche il matrimonio richiede altrettanto tempo: si mette su in mezzo alla strada un tendone, chiamato das, dove famiglia e ospiti si riuniscono per una settimana. Si brinda, si pranza, si festeggia per giorni senza sosta, ascoltando musica tipica e sacrificando qualche capretto, il piatto prelibato.

Le isole Dahlak (Photo credit: Diletta Bufo)
Le isole Dahlak (Photo credit: Diletta Bufo)

Non esiste Internet. O meglio, esiste, ma soltanto negli Internet café. A casa nessuno è continuamente connesso alla wi fi. Qui, pagando 15 nakfa, cioè poco meno di un euro, si naviga per un’ora. Nonostante possa essere scomodo dover uscire di casa per postare l’ultima foto scattata con gli amici, i ragazzi hanno profili Facebook, Instagram, anche se preferiscono scambiarsi ricordi con sistemi di messaggistica istantanea, come WhatsApp, Messenger e Imo, più veloci rispetto ai primi. Quando dico che l’inventiva, spesso, aiuta, penso anche alla nuova piattaforma informatica Asmara 2.0, ideata da Pietro Campanile, che vede l’informatizzazione della scuola italiana. Grazie a questo sistema, gli studenti posso usufruire su smartphone o tablet del materiale didattico che i docenti caricano sulla pagina (libri, musica, video). Il tutto senza connessione Internet, sfruttando semplicemente una intranet.

Qui ho scoperto, grazie a Giuseppe, italo-eritreo (secondo me, nelle sue vene scorre più sangue eritreo, che non italiano, lo dico con ammirazione), quella che chiama easy life: apprezzare ciò che abbiamo, anche se minimo, smettendo di desiderare sempre qualcosa di più. Il che non significa non avere ambizioni, ma saper vivere. Non appena sono arrivata ad Asmara, ero amareggiata. Senza acqua corrente in casa, senza elettricità per molte ore della giornata, l’assenza totale delle comodità a cui siamo abituati mi hanno messa in crisi. Soltanto vedere bambini per strada che fanno l’elemosina, che dormono per terra, che giocano a piedi nudi nelle pozzanghere fangose, così come la mancanza di lampioni nella maggior parte delle strade, le mosche che svolazzano sulle carni delle macellerie, il capretto sgozzato portato a mo’ di zaino… ero sicura di non riuscire a concludere il mio tirocinio. E invece sono ancora qui, felice per questa esperienza in un Paese unico al mondo, che non pensavo potesse esistere, nel 2018. Provo già un pizzico di malinconia al pensiero di dover, entro pochi giorni, prenotare il biglietto aereo per il ritorno a casa. Sento una voce che mi dice: tu in Eritrea tornerai. E, se non lo facessi, nel mio cuore resterebbe un buco a forma di nocciola come gli occhi dei miei bambini.

Diletta Bufo