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L'esodo centroamericano si fa strada attraverso il Messico

Con il nord ben chiaro

Eliana Gilet, Brecha - 9 novembre 2018

Photo credit: Afp, Guillermo Arias

Di fronte alla pressione delle autorità per fermarla, la prima carovana che arriva a Città del Messico discute su come continuare. La situazione ha smascherato la lunga crisi che sta attraversando l’Honduras, dove la violenza, la povertà e l’autoritarismo spingono le persone a partire, e la migrazione è il vero sostegno dell’economia nazionale.

Sono già cinque i gruppi di migranti che attraversano il Messico in Carovana verso gli Stati Uniti. Vanno a piedi, facendo l’autostop coi camion sulla strada o, quando possono permetterselo, con l’autobus. La polizia federale dice che ci sono 17 mila persone; 4 mila sono già nella capitale messicana. È un esodo.

Il gran numero di persone ci permette di intuire la profondità della crisi honduregna che ha devastato i servizi pubblici, ha reso i salari ridicoli e un presidente impopolare, che simboleggia un sistema oppressivo con ogni forma di dissenso.
Vattene!” Gridano i migranti mentre marciano, in riferimento al presidente dell’Honduras, Juan Orlando Hernández.

In questo esodo viaggiano persone provenienti dalle due principali città di quel paese, Tegucigalpa e San Pedro Sula, ma anche contadini guatemaltechi. Ci sono anche i salvadoregni: si sono uniti con gruppi più piccoli e hanno la loro Carovana. Ci sono famiglie intere che sono state minacciate nei loro paesi di origine. Quando i genitori si sentono in pericolo, non lasciano indietro i figli.

Altri erano già in Messico, ma visto che la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato non procedeva, le Carovane sono diventate il modo migliore per avanzare verso nord in un Paese così pericoloso, senza dover pagare i costi di “contrabbandiere” o le estorsione da parte della polizia.

In diverse occasioni durante l’attuale serie di marce migratorie, il governo federale si è mostrato aggressivo, attraverso atti di repressione o costringendo a ritardi sulla rotta durante le ore più calde del sole mesoamericano. Anche se alcuni governi locali hanno offerto aiuti umanitari, la solidarietà dimostrata dalle persone che hanno accolto i centroamericani ha superato quella delle autorità, in una dimostrazione di reti di sostegno e di auto-organizzazione come avvenne dopo il terremoto del 19 settembre 2017. I messicani hanno il migrare nel sangue e le risposte xenofobe rimangono confinate dai movimenti sociali.

Prima che la prima carovana lasciasse il Chiapas, il presidente messicano Enrique Peña Nieto annunciò il piano di contenimento “Sei a casa tua”. Secondo il coordinatore dei migranti centroamericani in Messico, la misura non offre nulla di diverso da ciò che è già garantito dalla legislazione attuale, mentre riduce la possibilità di cercare rifugio negli stati del Chiapas e di Oaxaca. La risposta dell’esodo è stata quella di continuare a camminare.

I primi membri di queste carovane che hanno cercato rifugio in territorio messicano sono stati detenuti dall’Istituto Nazionale di Migrazione (Inm) nella Feria Mesoamericana di Tapachula per più di due settimane. Secondo quanto è stato denunciato dalla missione di osservazione dell’Esodo centrale in Chiapas, composta da varie organizzazioni sociali, il confinamento è durato fino al 5 novembre, quando hanno annunciato la chiusura del sito e circa 2 mila persone sono state sfrattato senza preavviso né un programma di ricollocazione.

Ora il grande campo profughi si trova a Città del Messico. L’ente locale ha messo insieme quello che lui chiama un “ponte umanitario” per coordinare gli aiuti, che sono concentrati in un unico punto: lo stadio Jesus Martinez, “Palillo”, situato nella città sportiva Magdalena Mixhuca, nella capitale messicana.

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Terra per tutti

Mentre l’esodo si muove attraverso il Messico, un piccolo gruppo di donne centroamericani entrato nel Paese attraverso la frontiera nella zona di Talisman e il villaggio di El Carmen, nel dipartimento guatemalteco di San Marcos.

Formano la quattordicesima carovana delle madri centroamericane dei migranti scomparsi in Messico e fanno ciò di cui le autorità non si occupano: li cercano. In questo anno, tre donne (una nicaraguense e due honduregne) si sono incontrate di nuovo con i loro figli, con i quali non avevano contatti da un decennio.

È il risultato dell’alleanza del Movimento Migrante Mesoamericano (un’organizzazione messicana) con i comitati dei famigliari di migranti scomparsi di Honduras, Guatemala, El Salvador e Nicaragua.

Arrivando a Città del Messico, durante il Forum Mondiale sulla Migrazione, le donne di questa carovana hanno partecipato come delegazione centroamericana al Vertice Mondiale delle Madri di Migranti Scomparsi, incontrandosi con l’altro polo migratorio, che corre tra Africa ed Europa.

Le donne che cercano i figli originari di Tunisia, Algeria, Senegal e in Mauritania scomparsi nel viaggio verso l’Italia e la Spagna, hanno espresso il loro riconoscimento ai progressi centroamericani nel far pressione sulla “pigrizia” delle istituzioni ufficiali.

Nei 14 anni trascorsi, Carovana delle Madri ha trovato 301 persone che erano scomparse in Messico. Ogni anno le donne cercano delle tracce con un metodo semplice: espongono le immagini delle migliaia di dispersi lungo diverse rotte migratorie del paese, e chiedono alla gente delle città di avvicinarsi e vedere se riconoscono qualcuno. Così, molto semplicemente.

Quindi seguono questi indizi e li consegnano all’autorità per le loro ricerche ufficiali. Chiedono anche a coloro che vivono qui e se sono in contatto con le loro famiglie o se vogliono che li cerchino.

Con le donne come Fatma Kasraoui, alla ricerca di suo figlio Ramzi Walhasi dal 2011 – scomparso mentre migrava insieme ad altri nove giovani del suo quartiere tunisino – e Souad Ben Sassi, madre di Bader Msalmi – anche lui scomparso dal 2011, quando si recò in Italia – c’è Imed Soltani.

Soltani non trova due fratelli, Slim e Bethesen, che erano 31 e 27 anni e che sono scomparsi nel marzo 2011. Lui è il presiede dell’organizzazione tunisina “La Terre Pour Tous”. Formalmente, lo Stato riconosce 504 persone scomparse, ma le madri ne contano 2 mila.

Grazie alla traduzione di Yu, una volontaria del vertice, Soltani ha raccontato a Brecha che sono le madri quelle che effettivamente gestiscono l’organizzazione, mentre lui occupa una posizione formale.

Il nostro lavoro è contro le politiche dell’Unione Europea e il sistema attuale, in cui i governi funzionano come un coyote. Allo stesso tempo, spingono questi giovani a superare le barriere. Sono politiche che hanno costruito muri contro persone che si muovono“, ha detto.

Soltani ha detto che queste organizzazioni di madri di scomparsi, che si sono formalizzate nel corso dell’anno passato, sono un modo per rivendicare ai governi la loro responsabilità nella scomparsa dei migranti, “mostrare loro quello che hanno fatto con le loro politiche.”

La sua preoccupazione e quella delle madri della sua organizzazione sono i campi profughi in Libia, dove i migranti sono concentrati in condizioni precarie e dove viene loro impedita la partenza per l’Europa.

Il problema con la Libia è che il governo non funziona come dovrebbe, ma che ci sono molte mafie in carica. Il governo italiano e quello dell’Unione Europea hanno collaborato con queste mafie dando loro fondi per bloccare il transito di persone“, ha detto Soltani.

Lo scopo di La Terre Pour Tous è di creare una carovana che parta dalla Tunisia per andare a cercare in questi campi profughi libici. Sarebbe un modo per pronunciarsi contro queste politiche, ha spiegato il militante.

Con questo summit mondiale abbiamo capito che le madri possono contare l’una sull’altra, che la voce della Tunisia può essere ascoltata in Messico e quella del Messico in Tunisia. La solidarietà e la reciprocità sono la cosa più importante che porto via con me“, ha aggiunto.