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Con l’arrivo dell’inverno, migliaia di migranti rimangono intrappolati in Bosnia

Andrew Higgins, The New York Times - 8 dicembre 2018

Photo credit: Laura Boushnak per The New York Times

Bihac, Bosnia ed Erzegovina – Il suo braccio destro era gonfio e gravemente ferito. Non camminava, trascinava i piedi a causa delle ferite alle gambe che, come quelle in altre parti del suo corpo, ha detto essergli state inflitte dai manganelli della polizia croata.

In una smorfia di dolore e sfinimento, dopo essere tornato, barcollando, nuovamente in Bosnia a seguito dell’ennesimo, infruttuoso, tentativo di oltrepassare il confine con la Croazia ed entrare così nell’Unione europea, Aman Mutani, un ventitreenne indiano, mormora le parole che i leader europei in questi giorni desiderano fortemente sentire.

Non c’è speranza“, dice, mentre lacrime di disperazione e vergogna gli sgorgano dagli occhi. “Ritorno a casa“.

Con i populisti anti-immigrazione in aumento in tutta Europa – e perfino il dietro-front della cancelliera tedesca Angela Merkel rispetto alla sua linea politica di porte aperte per i rifugiati – la lunga lotta dell’Europa per cercare di conciliare la realtà politica con la compassione umana per gente disperata, è giunta al termine qui, nelle boscose colline lungo il confine nord-occidentale della Bosnia con la Croazia.

La Croazia ha negato le denunce di brutalità avanzate dai gruppi di difesa dei diritti umani e dagli operatori umanitari.

Il Sig.Mutani e migliaia di altri migranti sono giunti in Bosnia perlopiù dalla Serbia, paese che esenta dal visto di ingresso i cittadini di nazionalità indiana e, fino a poco tempo fa, anche quelli iraniani. La Serbia è stata il varco di accesso principale verso l’Europa per migranti e rifugiati in viaggio lungo la cosiddetta rotta balcanica attraverso la Grecia e l’ex Jugoslavia.

Con il confine settentrionale tra Serbia e Ungheria sigillato dalla costruzione di una recinzione nel 2015, e il confine con la Croazia ormai chiuso, il flusso migratorio si è spostato in Bosnia.

Il paese è povero e disfunzionale ma, al contrario dei suoi vicini, è stato in un primo momento relativamente accogliente dato che molti dei suoi stessi abitanti sono stati, a loro volta, rifugiati durante la guerra dei Balcani nei primi anni Novanta.

Per quest’anno la Bosnia, che come la Serbia non fa parte dell’Unione europea, ha registrato l’ingresso di più di 23.000 rifugiati e migranti – in maggioranza uomini soli dal Pakistan e dall’Afghanistan – rispetto ai 758 dell’anno scorso. Molti hanno passato mesi, a volte anni, per arrivare fin lì, ritrovandosi ora a dover decidere se rischiare tentando di entrare in territorio croato, sostare nella città di Bihac o in un’altra città lungo il confine, oppure rinunciare e tornare a casa.

Con un insolito clima caldo che lascia il posto ad un inverno freddo e nevoso, gli operatori umanitari avvertono che i migranti intrappolati in Bosnia rischiano l’assideramento e perfino la morte. La Federazione Internazionale delle società di Croce Rossa dà notizia del rapido peggioramento delle condizioni che aggiungono, così, pressione sui migranti.

La Croce Rossa ha dichiarato di essere “estremamente preoccupata dalle segnalazioni di violenza nei confronti delle persone che cercano di raggiungere la Croazia”, precisando, inoltre, che le squadre di primo soccorso a Bihac si sono ritrovate a curare 70 persone al giorno, molte delle quali per ferite procuratesi durante i tentativi di attraversamento del confine.

Circa 800 migranti ora dormono nell'orfanotrofio distrutto, per lo più su pavimenti di cemento sporchi (Photo credit: Laura Boushnak per The New York Times)
Circa 800 migranti ora dormono nell’orfanotrofio distrutto, per lo più su pavimenti di cemento sporchi (Photo credit: Laura Boushnak per The New York Times)
Julie Meya, 33 anni, della Repubblica Democratica del Congo, era l'unica donna dell'ex orfanotrofio. Sta cercando di arrivare in Francia (Photo credit: Laura Boushnak per The New York Times)
Julie Meya, 33 anni, della Repubblica Democratica del Congo, era l’unica donna dell’ex orfanotrofio. Sta cercando di arrivare in Francia (Photo credit: Laura Boushnak per The New York Times)

Almeno 700 persone hanno riferito di “violenze e furti da parte degli agenti di polizia” in occasione delle espulsioni sommarie dalla Croazia, ha recentemente dichiarato il Commissario per i diritti umani al Consiglio europeo, esprimendo inquietudine riguardo alle “accuse di violenza sistematica”.

Peter Van der Auweraert – capo missione dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni in Bosnia che si sta adoperando per sfamare e dare rifugio a migliaia di migranti intrappolati a Bihac e nell’area circostante – ha sostenuto di non essere a conoscenza dell’entità di alcun atto di violenza da parte della polizia croata. Tuttavia, “ci sono certamente abbastanza immagini e segnalazioni da giustificare un’indagine internazionale“, ha dichiarato.

Il Ministro dell’Interno croato ha dichiarato di rigettare fermamente le accuse avanzate da persone che, attraversando i confini illegalmente, “violano tutta una serie di regole nazionali ed europee.” Ha affermato che i controlli effettuati su tutte le accuse “verificabili” hanno “dimostrato l’infondatezza di queste ultime” e il loro essere parte di una campagna finalizzata a screditare la Croazia.

La Commissione Europea, l’organo esecutivo del blocco a Bruxelles, ha rifiutato di rilasciare commenti in merito all’eventuale presa in esame dei resoconti sugli atti di violenza e sulla possibilità che questi ultimi siano, in parte, il risultato delle sue richieste a Stati membri come la Croazia.

Seppur negando l’uso della forza da parte degli ufficiali di polizia al confine, il Ministro dell’Interno croato, Davor Bozinovic, ha affermato, in una lettera inviata a Ottobre al Consiglio Europeo, che l’Unione europea, nel mese di giugno, ha dato istruzioni agli Stati membri di “adottare tutte le necessarie misure interne legislative e amministrative per contrastare tali movimenti.

Ha aggiunto: “nella maggior parte dei casi, queste persone non sono rifugiati bisognosi di protezione internazionale, ma migranti economici.”

Nessuno in Europa, ad eccezione di alcuni estremisti di destra, esorta apertamente all’uso della violenza come soluzione per la crisi migratoria che sta interessando il continente. I funzionari dell’Unione europea, pur richiedendo controlli più severi alle frontiere, sottolineano che migranti e rifugiati devono essere trattati con umanità.

Ma l’obiettivo principale dell’Europa, in questi giorni, è ridurre i numeri. L’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, Frontex, ha riferito, lo scorso mese, che “il 2018 è sulla buona strada per essere considerato l’anno con il più basso numero di attraversamenti illegali delle frontiere dal 2013.”

Parte della risposta a come l’Europa sia riuscita a rallentare quello che nel 2015 sembrava essere un’ondata inarrestabile di rifugiati e migranti, si trova nella quasi impenetrabile barriera di confine costruita dall’Ungheria. Il paese è stato uno dei primi sostenitori della linea favorevole alla chiusura delle porte a stranieri disperati e all’aumento dei controlli lungo i confini.
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Ma la risposta va ricercata anche negli spiriti avviliti e nei corpi ricoperti di lividi di persone come il Sig.Mutani.

Sconfitto dalla stanchezza e dal dolore, privato dei suoi ultimi soldi e del suo cellulare dalla polizia di frontiera croata, derubato del suo passaporto da un contrabbandiere che lo ha abbandonato nei boschi, il sig. Mutani dice di aver deciso di chiedere all’ufficio bosniaco delle Nazioni Unite di aiutarlo a tornare a casa nel suo villaggio a Kashipur, una zona colpita dalla povertà nell’India orientale.

Mi arrendo,” dice gemendo. “Non c’è umanità qui”.

Come la maggior parte delle migliaia di persone inzaccherate che si stanno ora rifugiando a Bihac – città teatro di orrendi combattimenti durante la guerra che travolse l’ex Jugoslavia nei primi anni ’90 – il signor Mutani, in realtà, non ha mai avuto alcuna speranza di poter ottenere asilo in Europa.

Non è un rifugiato in fuga dalla guerra, ma un migrante in fuga dalla povertà in India. E con lo spirito di solidarietà in calo in tutta Europa perfino per i veri rifugiati, che godono di ampia protezione in base al diritto internazionale, spalancare le porte a migranti economici come il signor Mutani non è un’opzione per qualsivoglia governo eletto che intende rimanere al potere.

Quando il treno arriva a Bihac dopo un viaggio di otto ore e mezza dalla capitale, Sarajevo, gli agenti di polizia sono lì per fermare i migranti e radunarli per fargli prendere gli autobus. (Photo credit: Laura Boushnak per The New York Times)
Quando il treno arriva a Bihac dopo un viaggio di otto ore e mezza dalla capitale, Sarajevo, gli agenti di polizia sono lì per fermare i migranti e radunarli per fargli prendere gli autobus. (Photo credit: Laura Boushnak per The New York Times)

Gli sforzi compiuti dal blocco europeo per scoraggiare l’arrivo dei migranti economici – come il rafforzamento dei suoi “confini esterni” – hanno per lo più solo spostato, non fermato, il flusso.

Le promesse di ulteriori aiuti allo sviluppo per aiutare i paesi poveri a migliorare le prospettive future dei propri abitanti, e dissuaderli dal partire per l’Europa, impiegheranno decenni per dare i loro frutti. Di conseguenza, ogni paese europeo ha campo libero per trovare le proprie forme di dissuasione.

La Croazia, un paese democratico e per lo più cattolico, è stato governato fin dal 2015 da un partito nazionalista che onora i criminali di guerra coinvolti nella pulizia etnica perpetrata durante il conflitto degli anni ’90 nell’ex Jugoslavia, e che minimizza i molteplici crimini commessi dal regime fantoccio nazista croato durante la Seconda Guerra Mondiale.

La Croazia sta anche spingendo per essere ammessa all’area Schengen dell’Unione europea trovandosi, quindi, a dover dimostrare a Bruxelles di poter mantenere sicure le proprie frontiere. Dunque, lo scoraggiare gli ingressi illegali, i migranti e i gruppi che li aiutano a rimanere, si è spesso tradotto in violenza.

Nessuno è soddisfatto di come stanno le cose in Europa“, ha affermato Bozinovic, Ministro dell’Interno.

Sempre di più, questo include le persone di Bihac.

Non li voglio qui, e nemmeno loro vogliono essere qui“, ha detto Suhret Fazlic, il sindaco della città, maledicendo il leader ungherese, Viktor Orban, e definendolo un “fascista” le cui politiche anti-immigrazione hanno lasciato la Bosnia a lottare contro le conseguenze.

Remira Gorinijac, volontaria di Bihac con un gruppo di beneficenza chiamato Solidarnost, che fornisce beni donati dai residenti nel principale centro di permanenza dei migranti. (Photo credit: Laura Boushnak per The New York Times)
Remira Gorinijac, volontaria di Bihac con un gruppo di beneficenza chiamato Solidarnost, che fornisce beni donati dai residenti nel principale centro di permanenza dei migranti. (Photo credit: Laura Boushnak per The New York Times)
L'ondata di migrazione verso Bihac, ha detto il sindaco, ha
L’ondata di migrazione verso Bihac, ha detto il sindaco, ha

L’improvvisa ondata migratoria, sostiene il sindaco, ha distrutto il settore turistico della pittoresca città di Bihac, che fa affidamento sui visitatori del mondo arabo e che, ora, sono preoccupati di essere scambiati per migranti illegali. Un visitatore, afferma il sindaco, è stato preso per sbaglio dalla polizia municipale e scaricato in un ricovero per rifugiati decrepito e maleodorante.

Recentemente, le forze di polizia di Bihac hanno iniziato ad inviare ogni notte dozzine di ufficiali alla stazione ferroviaria per intercettare i migranti che scendevano dal treno dopo le otto ore e mezza di viaggio da Sarajevo – questo, non per accoglierli, ma per condurli con gentilezza ma fermezza sugli autobus che li riporteranno, dopo un lungo e faticoso viaggio, fino alla capitale bosniaca.

Uno ad uno, i paesi della regione hanno chiuso le loro frontiere cosicché i migranti si ritrovano ora ad essere incanalati in Bosnia, praticamente uno stato fallito“, ha dichiarato John Farebrother, un operatore umanitario britannico e autore di “The Damned Balkans: A Refugee Road Trip”.

Remira Gorinijac, volontaria di Bihac per un’associazione di beneficenza chiamata Solidarnost, ha affermato che gli attivisti anti-immigrati e i media locali hanno lavorato instancabilmente per mettere i residenti, che sono per lo più musulmani e spesso ex rifugiati, contro i migranti, diffondendo storie false di stupri e altri crimini. .

La maggior parte delle persone vuole aiutare, ma ha paura“, ha detto.

L’atmosfera sempre più ostile in Bosnia e il timore di essere picchiati lungo il confine con la Croazia hanno finora fatto ben poco per fermare quello che i migranti a Bihac chiamano “il gioco“, un’impresa quotidiana e sempre più pericolosa verso la Croazia, attraverso montagne ad appena un miglio circa dal centro della città.

Avendo speso migliaia di dollari per pagare i contrabbandieri e avendo intrapreso il difficile viaggio per arrivare così lontano, molti migranti dicono che tornare indietro non è un’opzione, a prescindere dai rischi.

Sappiamo di essere illegali“, dice Faraz Khan, un ventiseienne pakistano che ha dichiarato di aver tentato quattro volte di introdursi in Croazia e di essere stato picchiato e derubato due volte da agenti di polizia. “Lo sappiamo tutti. Quando attraversiamo il confine, nella foresta, sappiamo che questo non è giusto. Questo non è umano. Lasciamo perdere se sei cristiano o musulmano, ma perché farlo?“.

Fino a quest'anno la Bosnia, al di fuori dell'Unione europea, ha registrato l'ingresso di oltre 23.000 rifugiati e migranti, molti dei quali uomini provenienti dal Pakistan e dall'Afghanistan, rispetto ai soli 758 dell'anno scorso. (Photo credit: Laura Boushnak per The New York Times)
Fino a quest’anno la Bosnia, al di fuori dell’Unione europea, ha registrato l’ingresso di oltre 23.000 rifugiati e migranti, molti dei quali uomini provenienti dal Pakistan e dall’Afghanistan, rispetto ai soli 758 dell’anno scorso. (Photo credit: Laura Boushnak per The New York Times)
Un migrante nell'ex orfanotrofio lavorava come barbiere per gli altri suoi compagni (Photo credit: Laura Boushnak per The New York Times)
Un migrante nell’ex orfanotrofio lavorava come barbiere per gli altri suoi compagni (Photo credit: Laura Boushnak per The New York Times)

A differenza del signor Mutani, dice che continuerà a provare. “Questa è la mia ultima possibilità“.

L’Organizzazione internazionale per le migrazioni ha aperto tre strutture per ospitare i migranti, una delle quali in un orfanotrofio abbandonato. Tra i circa 800 migranti che ora dormono per lo più su pavimenti di cemento sudici in questo orfanotrofio diroccato, c’è solo una donna, Julie Meya, una trentatreenne proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo. Vuole andare in Francia.

È venuta a Bihac con tre sorelle che, però, di recente, hanno rinunciato e se ne sono andate.
Tutti noi qui abbiamo lo stesso obiettivo: vivere meglio. Perché ci trattano come animali? “, ha detto la signora Meya, riferendosi alle guardie di frontiera croate.

Riconosce di non avere alcun diritto per richiedere protezione come rifugiata, ma afferma di non avere avuto nessuna prospettiva futura nelle baraccopoli di Kinshasa, la capitale del suo paese d’origine, e di aver dunque dovuto rischiare e tentare di raggiungere l’Europa.

Perché i ricchi dovrebbero rimanere ricchi e i poveri, invece, più poveri?” domanda.

Gli operatori umanitari hanno avvertito che i migranti intrappolati in Bosnia rischiano persino la morte con l'aumentare dei giorni. (Photo credit: Laura Boushnak per The New York Times)
Gli operatori umanitari hanno avvertito che i migranti intrappolati in Bosnia rischiano persino la morte con l’aumentare dei giorni. (Photo credit: Laura Boushnak per The New York Times)