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‘Il colore della tua pelle era un reato’: storie di migranti africani in Algeria

Giacomo Zandonini, Al Jazeera - 24 dicembre 2018

Photo credit: Francesco Bellina/Al Jazeera

Quando Michael George Johnson nel 1991 lasciò il suo paese per la prima volta, aveva soltanto 11 anni.

Alcuni mesi prima i suoi genitori morirono durante uno dei più violenti spargimenti di sangue dell’Africa dopo l’indipendenza, la guerra civile liberiana.

Per 27 anni Johnson ha cercato di trovare un luogo sicuro dove potersi stabilire e lasciarsi indietro i fantasmi del passato. Un giorno, all’inizio di ottobre, arrivò in Nigeria, dopo esser sopravvissuto ad una traversata forzata per il deserto algerino di una settimana.

Venimmo chiusi su un bus per viaggiare di Paese in Paese, senza cibo, obbligati a camminare per 30km nel Sahara con una pistola puntata verso le nostre teste, impacchettati come animali su di un camion per raggiungere Agadez,” ricorda.

Eravamo Camerunensi, Ivoriani, Guineani, Nigeriani, donne, bambini, c’era di tutto” aggiunge.

La deportazione forzata di Johnson è stata una tra le espulsioni di massa di migranti organizzate dalle autorità algerine del 2018 che ha ricevuto più critiche per il trattamento riservato ai cittadini sub-sahariani, spesso abbandonati al loro destino nel deserto, a volte lontani anche ore dal confine nigeriano più vicino.

“Un anno terribile”

L’attivista dei diritti umani Fouad Hassam ha detto ad Al Jazeera: “Il 2018 è stato un anno terribile per i lavoratori migranti dell’Algeria, l’anno col numero più elevato di arresti e deportazioni“.

Hassam, membro della Lega Algerina per la Difesa dei Diritti Umani, ha assistito alcuni lavoratori della città di Oran, sua città natale; ma per la sua attività ha ricevuto anche delle minacce.

Le organizzazioni no-profit sono state attaccate per aver difeso i migranti,” ha detto al telefono.

Ciò rientra nella paranoia collettiva che governa il nostro paese: attivisti, bloggers, giornalisti, sindacalisti e artisti sono ormai visti come una minaccia così come i migranti.”

Una delle prime espulsioni dei migranti, spiega, scoppiò da una lotta tra alcuni lavoratori sub-sahariani e alcuni locali due anni fa alla periferia di Algeri. Le forze di sicurezza arrestarono 1500 sub-sahariani e alcune centinaia vennero deportate al confine con il Niger.

Da quel momento in poi le cose non fecero altro che peggiorare: il colore della tua pelle era un reato,” dice Hassam. “Non importa il tuo stato giuridico, tu potresti essere imprigionato e deportato in qualunque momento, soltanto per il fatto di essere nero.
Photo credit: Francesco Bellina/Al Jazeera
Johnson dice di aver sperimentato in prima persona quella persecuzione.
Racconta: “Sapevo che l’Algeria non fosse sicura, ma dopo viaggi infiniti potevo finalmente lavorare legalmente in dei cantieri edili e guadagnare qualcosa per compiere il mio sogno, raggiungere la Francia.”

“Un viaggio attraverso l’inferno”

Prima Johnson viveva in Mauritania, Costa d’Avorio e Sudan, dove provò, senza successo, ad attraversare il Mar Rosso per raggiungere l’Arabia Saudita. Arrivò in Algeria dopo una pericolosa traversata per la Libia, dove venne detenuto e torturato da uomini armati.

In Algeria dovevo nascondermi ma almeno c’era lavoro“, dice. Improvvisamente il suo sogno europeo venne interrotto una notte ad Algeri.

Mentre tornavamo da lavoro la polizia deportò tutti i neri in caserma. Non controllarono i nostri documenti e il mattino seguente ci buttarono su di un pullman. Ma chi chiedeva di tornare a casa per raccogliere le sue cose veniva picchiato duramente.”

Per Johnson era un viaggio attraverso l’inferno. A ogni fermata lui e i suoi compagni venivano insultati e percossi. “Dicevano che era una punizione per l’esser stati nel loro paese e che non dovevamo più permetterci di ritornare“, dice.

Aggiunge che, durante una di queste sanguinose fermate, una donna liberiana “venne stuprata a turno da tre agenti in una caserma e costretta a ballare nuda davanti a loro“. Un uomo “morì per emorragia, dopo esser stato percosso in ogni parte del suo corpo“.

Lo seppellimmo nel deserto con le nostre mani,” ricorda con voce tremante.
George Oldman Harris, un altro liberiano che fece la stessa traversata poche settimane prima di lui, scuote la testa mentre parla Johnson.

So molto bene di cosa stai parlando“, dice. “Da quando entrai nel paese nel 2013 gli algerini mi hanno deportato per cinque volte.

I due si incontrarono ad Agadez e decisero di raggiungere Niamey con un solo scopo: guadagnare dei soldi per non ritornare in Liberia a “mani vuote“.

Come centinaia di altri refoules (“gli scartati” in francese) appena arrivati in Nigeria passarono i loro giorni a perlustrare i mercati affollati della città per cercare lavoro e un posto dove appoggiare le loro teste.

Gli attivisti denunciano “discriminazione razziali”

I centri di transito offerti dalla International Organization for Migration (IOM) sono pieni di persone che chiedono di ritornare ai loro paesi d’origine attraverso i programmi volontari dell’agenzia UN.

Più continuano le tensioni e più siamo sommersi di richieste, ma non possiamo aprire un nuovo centro soltanto in una notte sola,” dice un ufficiale della IOM ad Al Jazeera.

Queste espulsioni di massa possono essere giustificate dall’accordo del 2004 tra l’Algeria e il Niger ma in realtà abbiamo a che fare con serie violazioni di norme internazionali e diritti umani,” ha detto la ricercatrice Debora Del Pistoia della Amnesty International.

Secondo una nota mandata ad Al Jazeera dal ministro dell’interno del Niger, Mohamed Bazoum, il documento del 2014 non era un patto formale bensì una “dichiarazione d’intenti“. Secondo la nota il suo scopo era quello di limitare le spinte verso il Niger dei Nigeriani, che invece erano costretti a chiedere di andare in Algeria.

Ma tra i deportati ci sono rifugiati e richiedenti asilo registrati in Algeria e persone da tutta l’Africa Occidentale detenute e deportate illegalmente,” dice Del Pistoia.

La campagna della Amnesty InternationalForced to leave“, lanciata il 20 Dicembre, si rivolge alle autorità nigeriane per fermare immediatamente queste pratiche e per evitare qualsiasi forma di trattamento basato sulla razza.

Al Jazeera ha chiesto un commento al ministro dell’interno algerino, che però non ha risposto.

In una conferenza sulla migrazione globale avuta luogo all’inizio di questo mese in Marocco, il Ministro dell’interno Noureddine Bedoui ha detto che l’Algeria rispetta i diritti e la dignità dei migranti ma che però ha attraversato “un flusso enorme e continuo di migranti che non ha saputo contenere“.

Secondo Del Pistoia le dichiarazioni di un ufficiale così importante come il primo ministro Ahmed Ouyahia’s del Luglio 2017 riguardo ai migranti visti come “fonte di criminalità, droga e altre piaghe“, non fa che aumentare “la xenofobia, a causa della quale i neri diventano il capro espiatorio di tutti i problemi interni dell’Algeria“.
Photo credit: Francesco Bellina/Al Jazeera
I dati raccolti dalla Amnesty International mostrano un netto aumento delle espulsioni di massa dall’Algeria al Niger: da 1.340 persone nel 2014 e 9.300 nel 2017 a 26.000 persone nel 2018, il 40% dei quali sono stati abbandonati nel Sahara e costretti a camminare per ore per raggiungere Assamaka, il primo luogo di confine con il Niger.

Tra tutte le persone espulse verso il Niger nel 2018, UNHCR ne indica 77 che erano registrati come rifugiati in Algeria e, come tali, avrebbero dovuto ricevere una protezione speciale. Inoltre almeno 3.100 persone sono state mandate verso il Mali e abbandonate nel deserto sotto il controllo di gruppi armati.

Nella piazza di Niamey’s Wadata, per il Grand Marche o nell’affollato mercato di Katako , i migranti che portano tutti i loro averi nei loro zaini sono molto frequenti.
Molti di loro hanno problemi fisici e mentali ma dopotutto ce l’hanno fatta,” dice Johnson, che spera di guadagnare qualcosa dall’aumento di costruzioni edili nelle città previsto nel 2019 per il summit dell’Unione Africana.

Ritornare a casa sembra essere l’unica possibilità rimasta, sperando che “George Weah, il nostro nuovo presidente, manterrà le sue promesse e salverà la Liberia dalla guerra“.