Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

In direzione ostinata e contraria. Parere sull’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo alla luce del Decreto Salvini

di Emilio Santoro *, tratto dal Centro di Documentazione "L'altro diritto"

Foto di Vanna D'Ambrosio

La Circolare N.0083774 del 18/12/2018 [Circolare Ministero dell’Interno – Gabinetto del Ministro – N.0083774 del 18/12/2018 avente ad oggetto: Decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, convertito con modificazioni dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132.] del Ministero dell’Interno a pagina 6 recita: “ai richiedenti asilo – che, peraltro non saranno più iscritti nell’anagrafe dei residenti (articolo 13) – vengono dedicate le strutture di prima accoglienza (CARA e CAS), all’interno delle quali permangono, come nel passato, fino alla definizione del loro status” (grassetto nella circolare).

Dall’inciso che fa riferimento all’articolo 13 del decreto sembra che il Ministero ritenga che una tale disposizione impedisca l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo ospitati presso i CARA e i CAS. Questo inciso riprende e ribadisce quanto già affermato dalla Circolare 15/2018 Ministero dell’Interno Dipartimento degli affari interi e territoriali – Direzione centrale per i servizi demografici inviata il 18 ottobre 2018, quindi poco dopo la pubblicazione del decreto. In questa circolare il divieto di iscrizione anagrafica era affermato in modo più esplicito e presentato come logica derivazione delle previsioni contenute nell’art. 13 del decreto stesso. La circolare, infatti, dopo aver riportato le disposizioni dell’art. 13 conclude affermando:

Pertanto, dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni il permesso di soggiorno per richiesta di protezione internazionale di cui all’art. 4, comma 1 del citato D.lgs. n. 142/2015, non potrà consentire l’iscrizione anagrafica.

E’ evidente che l’abolizione del diritto dei richiedenti asilo di iscriversi all’anagrafe della popolazione residente rappresenti la volontà del Ministero dell’Interno, del Ministro Salvini, proponente del decreto. Ma nel nostro sistema costituzionale questa volontà non ha un peso decisivo, essa deve fare i conti l’art. 101 comma 2 della Costituzione secondo cui «I giudici sono soggetti soltanto alla legge». Il “soltanto” inserito in questa frase sta a ricordarci che il giudice, per il principio della separazione dei poteri, è soggetto alla legge, non a un qualche potere, e sicuramente non a quello esecutivo. Ciò che deve guidare (anche i funzionari pubblici, per evitare inutili ricorsi e processi sulle loro decisioni) nella lettura dei testi normativi è in primo luogo il contesto costituzionale e il sistema di tutela multilivello dei diritti e poi il quadro sistematico rappresentato dall’ordinamento giuridico. Le interpretazioni fornite dalle circolari ministeriali sono rilevanti solo quando sono compatibili con questo quadro.

Se questo è vero si pone il problema se effettivamente l’art. 13 del decreto Salvini, letto in maniera sistematica e costituzionalmente orientata, impedisce l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo che si trovano nelle strutture di accoglienza.

A un’attenta analisi delle disposizioni, per la verità scritte da un legislatore che non sembra avere il dono della chiarezza, appare difficile attribuire loro il senso che le circolari si sforzano di indicare. Una lettura corretta del testo normativo porta a concludere che esso abolisce non il diritto all’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, ma semplicemente la procedura semplificata per tale iscrizione prevista in fase di conversione in legge del decreto Minniti attraverso l’introduzione dell’articolo 5-bis del D.lgs. 142/2015.

Cominciamo dall’art. 13 del Decreto Salvini che, data la sua importanza, riportiamo per esteso:

Art. 13 Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica

1. Al decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 4: 1) al comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il permesso di soggiorno costituisce documento di riconoscimento ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.»; 2) dopo il comma 1, è inserito il seguente: «1-bis. Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell’articolo 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.»; b) all’articolo 5: 1) il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. L’accesso ai servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti è assicurato nel luogo di domicilio individuato ai sensi dei commi 1 e 2.»; 2) al comma 4, le parole «un luogo di residenza» sono sostituite dalle seguenti: «un luogo di domicilio»; c) l’articolo 5-bis è abrogato.

La prima disposizione rilevante di questo articolo è quella del punto 2 della lettera a). In base ad essa il testo novellato dell’art. 4, comma 1 e 1-bis del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, recita così:

Art. 4 Documentazione

1. Al richiedente è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta asilo valido nel territorio nazionale per sei mesi, rinnovabile fino alla decisione della domanda o comunque per il tempo in cui è autorizzato a rimanere nel territorio nazionale ai sensi dell’art. 35-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25. Il permesso di soggiorno costituisce documento di riconoscimento ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

1-bis. Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell’art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

Il contenuto del nuovo comma 1 bis non è affatto chiaro, e comunque, anche alla luce del primo comma dello stesso articolo 4, appare da escludere che contenga un divieto di conferire la residenza ai richiedenti asilo.

Il comma 1-bis afferma che il permesso di soggiorno rilasciato ai richiedenti asilo non costituisce titolo di iscrizione anagrafica ai sensi di due disposizioni contenute, una, nel Nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente e, l’altra, nel Testo Unico Immigrazione. Nessuna di queste due disposizioni fa menzione di “titoli per l’iscrizione anagrafica”.

Per quanto riguarda la disposizione del regolamento, la prima considerazione da fare è che in tutto il Nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente (Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, così come modificato dal D.P.R. 17 luglio 2015, n. 126) non viene mai menzionata la dicitura “titolo per l’iscrizione anagrafica”. In particolare l’articolo 7, rubricato Iscrizioni anagrafiche non fa menzione di un qualche “titolo” necessario per procedervi. L’articolo 14, che regola l’iscrizione di persone trasferitesi dall’estero, tali sono gli stranieri compresi i richiedenti asilo, reca nella rubrica l’espressione “Documentazione per l’iscrizione”: essa, quindi, non parla di un qualche “titolo” specifico previsto per l’iscrizione degli stranieri e, leggendo il testo del primo comma, si desume che la documentazione a cui fa riferimento la rubrica sono “il passaporto o altro documento” quindi una documentazione che riguarda non il soggiorno ma l’identità personale ed, eventualmente, lo stato di famiglia. Di “titoli per l’iscrizione anagrafica” non si faceva menzione neppure all’art. 8 del regolamento che regolava i casi in cui non si doveva procedere all’iscrizione stessa.

Per inquadrare bene il problema dell’iscrizione anagrafica è opportuno ricordare che essa è un atto meramente ricognitivo nel quale l’autorità amministrativa che vi provvede non ha alcuna sfera di discrezionalità, ma solo compiti di mero accertamento. Il nostro ordinamento configura un diritto soggettivo all’iscrizione anagrafica [Su questo punto la giurisprudenza è ampiamente consolidata (Cass. 14 marzo 1986 n. 1738, fasc. 3, Cass. 1972 n. 126, Cass. 6 luglio 1983 n. 4525, Cass. 1081/68, per citare le sentenze più importanti). Questa giurisprudenza è sintetizzata nella sentenza n. 499/2000 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che ribadisce che “le controversie in materia di iscrizione e cancellazione nei registri anagrafici della popolazione coinvolgono situazioni di diritto soggettivo”. Il carattere di diritto soggettivo dell’iscrizione anagrafica è inoltre pacificamente riconosciuto da numerose Circolari Ministero dell’Interno e dalle Circolari ISTAT in merito alla gestione delle liste anagrafiche.] in forza del quale chi ne faccia richiesta non deve far altro che manifestare all’ufficiale d’anagrafe l’intenzione di fissare la propria residenza nel territorio di quel comune. Questo quadro emerge con chiarezza dall’art. 1 del Regolamento anagrafico della popolazione residente:

Art. 1. Anagrafe della popolazione residente

1. L’anagrafe della popolazione residente è la raccolta sistematica dell’insieme delle posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze che hanno fissato nel comune la residenza, nonché delle posizioni relative alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel comune il proprio domicilio.

2. L’anagrafe è costituita da schede individuali, di famiglia e di convivenza.

3. Nelle schede di cui al comma 2 sono registrate le posizioni anagrafiche desunte dalle dichiarazioni degli interessati, dagli accertamenti d’ufficio e dalle comunicazioni degli uffici di stato civile.

Quindi l’iscrizione anagrafica non avviene in base a “titoli” ma a “dichiarazioni degli interessati” (art. 13 Dichiarazioni anagrafiche), “accertamenti d’ufficio” (Art. 15. Accertamenti di ufficio in caso di omessa dichiarazione delle parti; Art. 18-bis Accertamenti sulle dichiarazioni rese e ripristino delle posizioni anagrafiche precedenti e Art. 19. Accertamenti richiesti dall’ufficiale di anagrafe) e “comunicazioni degli uffici di stato civile”. In generale l’iscrizione anagrafica registra la volontà delle persone che, avendo una dimora, hanno fissato in un determinato comune la residenza oppure, non avendo una dimora, hanno stabilito nello stesso comune il proprio domicilio (secondo l’art. 43 primo comma del Codice Civile “Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi”).

Per questi motivi non è chiaro il significato del riferimento al Regolamento anagrafico della popolazione residente del nuovo comma 1-bis dell’art. 4, D.lgs. 142/2015.

Lo stesso si deve dire per quanto riguarda il richiamo all’art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che, anzi, sembra escludere la possibilità che si possa negare l’iscrizione anagrafica a uno straniero regolarmente soggiornante ospitato in un centro di accoglienza. Questo comma, infatti, recita:

Le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione. In ogni caso la dimora dello straniero si considera abituale anche in caso di documentata ospitalità da più di tre mesi presso un centro di accoglienza. Dell’avvenuta iscrizione o variazione l’ufficio dà comunicazione alla questura territorialmente competente.

Il regolamento di attuazione all’art. 15, a sua volta, modifica il già ricordato art. 7 del Regolamento anagrafico della popolazione residente inserendovi le previsioni relative all’iscrizione anagrafica degli stranieri.

Da questa disposizione, che pure non prevede assolutamente che qualcosa debba essere considerato un “titolo valido per l’iscrizione anagrafica”, si ricava chiaramente che la regolarità del soggiorno costituisce un presupposto per l’iscrizione anagrafica.

Sforzandosi di dare all’art. 13 del decreto convertito il senso suggerito dalle Circolari del Ministero dell’Interno, si dovrebbe dire che esso opera implicitamente i seguenti passaggi: 1) la regolarità di soggiorno deriva dal titolo di soggiorno, 2) quindi il permesso di soggiorno è presupposto per l’iscrizione anagrafica 3) per traslazione il titolo di soggiorno viene definito “titolo per iscrizione anagrafica”. Ma sembra insostenibile pensare che, scrivendo “Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 – cioè quello per richiesta asilo – non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica ai sensi […] dell’art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”, il legislatore abbia voluto dare avvio a un domino interpretativo che porti alla conclusione paradossale per cui il titolare di un permesso di soggiorno per richiesta asilo non è uno straniero regolarmente soggiornante.

Appare giuridicamente arduo far derivare dall’invenzione di un’entità legale non prevista da alcuna altra disposizione di legge, quale è “il titolo per l’iscrizione anagrafica”, il fatto che, contrariamente al principio generale fissato dal comma 6 dell’art. 7 del T.U.I., uno straniero regolarmente soggiornante sia escluso dagli aventi diritto all’iscrizione anagrafica. Non sembra plausibile l’idea che si possa variare in modo implicito, contorto, di faticosa e dubbia ricostruzione una previsione generale che fissa un principio di parità di trattamento non solo tra cittadini italiani e stranieri regolarmente soggiornanti, ma anche tra diversi tipi di stranieri regolarmente soggiornanti, com’è la disposizione che stabilisce che “Le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione”.

Tanto più che, data la previsione del comma 2 dello stesso articolo 6 del T.U.I., il permesso di soggiorno è, nell’accezione suggerita dalle circolari, “titolo” per conseguire ogni tipo di “licenze, autorizzazioni, iscrizioni” e per il conseguimento di tutti gli altri “provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati”, fatta eccezione per quelli relativi alle attività sportive e ricreative, all’istruzione obbligatoria e all’accesso alle prestazioni sanitarie ex art. 35 T.U.I. Il comma 7 dell’articolo 6 non fa altro che applicare il principio generale, già enunciato al comma 2, all’iscrizione anagrafica, stabilendo inoltre una parità procedurale tra stranieri regolarmente residenti e cittadini italiani, come vuole la giurisprudenza della Corte EDU.

Sembra lecito sostenere che per ottenere l’effetto, auspicato dalle circolari del Ministero, non potendo certo qualificare il titolare del permesso di soggiorno per richiesta asilo come irregolare, il testo del decreto avrebbe dovuto molto semplicemente modificare il comma 7 dell’art. 6 T.U.I., prevedendo un esplicita eccezione per i richiedenti asilo del tipo: “Le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante, escluse quelle del titolare di un permesso di soggiorno per richiesta asilo, sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione” [Merita di essere sottolineato che questa è la strada che il legislatore ha seguito quando ha redatto il primo comma dell’art. 5 della legge 80/2014 che recita: “Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge”. Se applichiamo i canoni del decreto Salvini questa disposizione sarebbe stata scritta così: “L’occupazione abusiva di un immobile senta titolo non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica….”.]. Lasciando poi al Presidente della Repubblica, in fase di emanazione, alla Corte Costituzionale e alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo stabilire se una tale differenziazione sia ragionevole o discriminatoria (come a noi appare).

Inoltre, probabilmente, il testo avrebbe dovuto proseguire dicendo che i richiedenti asilo fanno eccezione anche alla previsione, che sembra scritta principalmente per loro, secondo cui si considera “dimora abituale” di uno straniero il centro di accoglienza presso cui è “documentato” che egli sia ospitato da più di tre mesi. Infatti, ribadendo la previsione del secondo comma dell’art. 43 del Codice Civile, secondo cui “La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”, il primo comma dell’art. 3 del Regolamento anagrafico della popolazione residente recita

Art. 3 Popolazione residente

Per persone residenti nel comune s’intendono quelle aventi la propria dimora abituale nel comune.

Logica deduzione: se dopo 3 mesi un Centro di accoglienza deve essere considerato, per legge, dimora abituale, dopo 3 mesi il richiedente asilo accolto nel Centro ha diritto all’iscrizione anagrafica in quanto persona residente. Il decreto Salvini non ha toccato questa disposizione, che continua a regolare l’iscrizione anagrafica degli stranieri regolarmente residenti “dimoranti” presso i centri di accoglienza.

L’esclusione della possibilità di iscrizione anagrafica appare poi scontrarsi in modo eclatante con il combinato disposto dei primi tre commi dell’art. 5 del D.lgs. 142/2015, così come modificato dal Decreto Salvini, e dei già ricordati art. 6, comma 7 T.U.I. e art. 1, comma 1 del Regolamento anagrafico della popolazione residente.

Partiamo dalla riformulazione dei primi tre commi dell’art. 5 del D.lgs. 142/2015 operata dal Decreto:

Art. 5 Domicilio. – 1. Salvo quanto previsto al comma 2, l’obbligo di comunicare alla questura il proprio domicilio o residenza è assolto dal richiedente tramite dichiarazione da riportare nella domanda di protezione internazionale. Ogni eventuale successivo mutamento del domicilio o residenza è comunicato dal richiedente alla medesima questura e alla questura competente per il nuovo domicilio o residenza ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno di cui all’art. 4, comma 1.

2. Per il richiedente trattenuto o accolto nei centri o strutture di cui agli articoli 6, 9 e 11, l’indirizzo del centro costituisce il luogo di domicilio valevole agli effetti della notifica e delle comunicazioni degli atti relativi al procedimento di esame della domanda, nonché di ogni altro atto relativo alle procedure di trattenimento o di accoglienza di cui al presente decreto. L’indirizzo del centro ovvero il diverso domicilio di cui al comma 1 è comunicato dalla questura alla Commissione territoriale.

3. L’accesso ai servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti è assicurato nel luogo di domicilio individuato ai sensi dei commi 1 e 2.

Da questi tre commi appare evidente che il Centro di accoglienza costituisce, nei primi tre mesi, prima di diventare luogo di dimora abituale, il domicilio del titolare del permesso di soggiorno per richiesta asilo. Questo dato va connesso con la previsione dell’art. 1, comma 1, del Regolamento anagrafico della popolazione residente secondo cui, come ricordato, “L’anagrafe della popolazione residente è la raccolta sistematica dell’insieme delle posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze che hanno fissato nel comune la residenza, nonché delle posizioni relative alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel comune il proprio domicilio”, tenendo presente che, in forza dell’art. 7 comma 6 del T.U.I., esso vale anche per gli stranieri regolarmente soggiornanti. Dal quadro di queste disposizione consegue che:

1) il titolare di un permesso come richiedente asilo ha diritto all’immediata iscrizione anagrafica come senza fissa dimora, dato che il D.P.R. 142/2015, ribadiamo, così come modificato dal decreto Salvini, gli attribuisce il domicilio presso il centro;

2) trascorsi tre mesi al centro, in virtù della seconda parte dello stesso comma 6 dell’art. 7 T.U.I, che, come detto, prosegue prevedendo che “In ogni caso la dimora dello straniero si considera abitualmente anche in caso di documentata ospitalità da più di tre mesi presso un centro di accoglienza”, la situazione del richiedente asilo cambia;

3) a questo punto, dato che l’art. 3, rubricato Popolazione residente, del Regolamento anagrafico prevede al primo comma che “Per persone residenti nel comune s’intendono quelle aventi la propria dimora abituale nel comune”, il richiedente asilo ha diritto all’iscrizione come “dimorante” presso il centro.

Una tale ricostruzione appare coerente con le Linee guida sul diritto alla residenza dei richiedenti e beneficiari di protezione internazionale, emanate nel 2014 dallo stesso Ministero dell’Interno in collaborazione con UNHCR, ASGI, ANUSCA e Servizio Centrale SPRAR. Esse sottolineano che “i titolari dello status di rifugiato, dello status di protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari possono circolare e soggiornare liberamente sul territorio nazionale” (art. 29, comma 1 del D. Lg. 251/2007) e pertanto sono titolari del diritto ad essere iscritti nelle liste anagrafiche di un comune al pari degli italiani e degli altri stranieri regolarmente soggiornanti, con alcune particolarità connesse con la loro peculiare condizione”.

Le citate Linee guida ricordano che la residenza è oggetto di uno specifico articolo, il 26, rubricato “Libertà di circolazione” della convenzione relativa allo status dei rifugiati firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, ratificata e resa esecutiva con L. 722/1954. Questo articolo prevede che “ciascuno Stato contraente concede ai rifugiati che soggiornano regolarmente sul territorio il diritto di scegliervi il loro luogo di residenza”. Inoltre l’art. 27, rubricato “Documenti di identità”, della stessa Convenzione, stabilisce: “Gli Stati contraenti rilasceranno dei documenti di identità a tutti i rifugiati che si trovano sul loro territorio e che non possiedono un documento di viaggio valido”. Dato che, come ricordano le Linee guida, l’iscrizione anagrafica è prerequisito necessario al rilascio della carta d’identità, deriva dalla Convenzione di Ginevra un diritto alla residenza. Diritto che, spetta anche ai richiedenti asilo: “i richiedenti asilo sia in attesa di audizione presso la Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale sia nella fase dell’eventuale ricorso giurisdizionale, hanno diritto all’iscrizione anagrafica in quanto titolari di un permesso di soggiorno” (Linee guida p. 10).

Questa conclusione appare corretta allo luce del fatto che la parità di trattamento ai fini dell’iscrizione anagrafica tra cittadini italiani e stranieri regolarmente soggiornanti, tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti, prevista dal comma 6 dell’art. 7 T.U.I. non è che un’applicazione specifica del principio sancito dal comma 2 dell’art. 2 dello stesso T.U. secondo cui “lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, salvo che le convenzioni internazionali in vigore per l’Italia e il presente testo unico dispongano diversamente”. Il dato rilevante non è tanto quello formalistico per cui in questo caso la diversità di trattamento tra stranieri regolarmente soggiornanti, sarebbe prevista, in violazione delle riserve disposte dal comma appena ricordato, dal D.lgs. 142/2015 (e non dallo stresso Testo Unico) senza essere giustificata dal dover dare attuazione a una convenzione internazionale, quanto quello sostanziale. La parità di trattamento tra stranieri regolarmente soggiornanti e cittadini è infatti considerata fondamentale dalla Corte Costituzionale la quale ha affermato (C. cost. 306/2008, § 10) che: “una volta che il diritto a soggiornare (…) non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini“.

Del resto dato che, come ricordato, quello all’iscrizione anagrafica è un diritto soggettivo, la sua negazione ai richiedenti asilo sarebbe di dubbia costituzionalità anche ex art. 117 Costituzione, perché in contrasto con l’art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che per costante giurisprudenza della Corte EDU fissa il principio dell’inammissibilità di ogni discriminazione tra cittadini degli stati membri e stranieri regolarmente soggiornanti.

Nella relazione illustrativa al decreto si cerca di giustificare la legittimità della differenza di trattamento con la precarietà del permesso di soggiorno per richiesta asilo: una tale precarietà renderebbe ragionevole prevedere il rinvio dell’iscrizione stessa alla definizione della condizione giuridica del richiedente. La pretestuosità di questa giustificazione è evidente. Essa finisce per esaltare il contenuto discriminatorio dell’interpretazione suggerita dalle circolari rendendo manifesto che lo stesso Ministero è consapevole della forzatura che l’interpretazione da esso sostenuta comporta.

Gli uffici anagrafici, da oltre dieci anni, confortati anche dalle circolari dello stesso Ministero dell’Interno, operano l’iscrizione anche quando il permesso di soggiorno è in fase di rinnovo o di rilascio. Appare difficile sostenere che in fase di rinnovo del permesso il soggiorno, che dovrebbe durare venti giorni, la situazione dello straniero sia più stabile di quella di un richiedente asilo, la cui condizione dovrebbe essere definita, secondo i termini previsti dalla normativa, in circa tredici mesi, ma che nella realtà soggiorna regolarmente, in attesa della definizione del suo status, nella media per almeno per due anni.

Lo stesso Ministero dell’Interno è intervenuto con circolari specifiche per precisare non solo che, nel caso in cui si disponga solo della ricevuta rilasciata in seguito alla richiesta di rinnovo del titolo, l’iscrizione anagrafica è parimenti ammessa, a condizione, però, che la domanda di rinnovo sia stata presentata prima o entro 60 giorni dalla scadenza del permesso (Circ. Min. Interno n. 42 del 2006), ma anche che è consentita l’iscrizione anagrafica del cittadino straniero che ha fatto richiesta di rilascio del permesso per motivi di lavoro subordinato (Circ. Min. Interno n. 16 2007) e del familiare che si ricongiunge, in presenza della sola ricevuta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari (Circ. Min. Interno n. 43 del 2007). In questi ultimi due casi, l’iscrizione anagrafica è ammessa previa esibizione, nel caso di richiesta del permesso di soggiorno per lavoro, della ricevuta rilasciata dall’ufficio postale attestante l’avvenuta presentazione della domanda di permesso e della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato presentata presso lo Sportello Unico, e, nel caso del permesso per motivi familiari, della ricevuta rilasciata dall’ufficio postale attestante l’avvenuta presentazione della richiesta di permesso di soggiorno e di fotocopia non autenticata del nulla-osta al ricongiungimento familiare rilasciato dallo Sportello unico.

Merita di essere sottolineato che la mancata iscrizione anagrafica del richiedente asilo incide tra l’altro sul suo diritto ad acquisire la cittadinanza italiana una volta conseguito lo status. Il combinato disposto degli articoli 9 e 16 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante Nuove norme sulla cittadinanza, prevedono, infatti, che lo straniero riconosciuto rifugiato dallo Stato italiano possa richiedere la cittadinanza quando “risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica”. E’ evidente che restare per anni, come succede ai richiedenti asilo, in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato vorrebbe dire, se si accettasse la tesi delle circolari, restare per anni senza residenza regolare. I richiedenti asilo sarebbero per tutto questo periodo semplicemente domiciliati presso il luogo indicato al momento della richiesta del permesso di soggiorno. Il tempo trascorso in attesa della definizione dello status non conterebbe quindi, ai fini della richiesta della cittadinanza, come periodo trascorso risiedendo regolarmente in Italia.

Alla luce di queste considerazioni le disposizioni di quei sindaci, che hanno dato indicazioni alle anagrafi dei propri Comuni di continuare a procedere all’iscrizione dei richiedenti asilo, appaiono non solo legittime ma assolutamente doverose. Dato infatti che, secondo il primo comma dell’art 3 della Legge 24 dicembre 1954, n. 1228, Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente, “Il sindaco, quale ufficiale del Governo, è ufficiale dell’anagrafe”, egli ha l’obbligo di procedere alle iscrizione anagrafiche, secondo le modalità previste dalla legge e dal Regolamento anagrafico della popolazione residente. Eventualmente non lo facesse, i richiedenti asilo potrebbero rivolgersi al giudice, che sembra da individuare nella Sezione specializzata per l’immigrazione competente per territorio, in quanto la materia appare da annoverarsi tra quelle connesse con lo status di richiedente asilo, per chiedere, ex art. 700 c.p.c., di ordinare all’anagrafe del Comune in cui sono accolti di provvedere all’iscrizione e il sindaco potrebbe essere chiamato a rispondere dei danni procurati dalla ritardata iscrizione, in primo luogo a coloro che, avendo ottenuto lo status di rifugiato, non potranno contare il tempo trascorso in attesa della definizione dello status ai fini della richiesta della cittadinanza.

Ci preme sottolineare che non stiamo sostenendo che le disposizioni relative all’iscrizione anagrafica del decreto Salvini non abbiano alcun rilevanza per le modalità dell’iscrizione. Il fatto che dall’art. 13 del decreto Salvini non si possa ricavare una norma che impedisce l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo non vuol dire che il comma 1-bis dell’art. 4 del D.lgs. 142/2015, da esso introdotto, sia una disposizione priva di effetti. Il suo significato appare abbastanza chiaro se questa disposizione viene riconnessa a un’altra, contenuta alla lettera c) dello stesso art. 13 del decreto Salvini. Quest’ultima disposizione abroga, come ricordato anche dalla circolare 15/2018 del Ministero dell’Interno, la previsione dell’utilizzo per i richiedenti asilo dell’istituto della convivenza anagrafica contenuta nell’art. 5-bis dello stesso D.lgs. 142/2015, introdotto dalla legge 13 aprile 2017, n. 46 che ha convertito il decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13 (“Decreto Minniti-Orlando”). Il testo dell’articolo abrogato era il seguente:

Art. 5-bis Iscrizione anagrafica

1. Il richiedente protezione internazionale ospitato nei centri di cui agli articoli 9, 11 e 14 è iscritto nell’anagrafe della popolazione residente ai sensi dell’articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 maggio 1989, n. 223, ove non iscritto individualmente.

2. E’ fatto obbligo al responsabile della convivenza di dare comunicazione della variazione della convivenza al competente ufficio di anagrafe entro venti giorni dalla data in cui si sono verificati i fatti.

3. La comunicazione, da parte del responsabile della convivenza anagrafica, della revoca delle misure di accoglienza o dell’allontanamento non giustificato del richiedente protezione internazionale costituisce motivo di cancellazione anagrafica con effetto immediato, fermo restando il diritto di essere nuovamente iscritto ai sensi del comma 1.

Se ripercorriamo le disposizioni del Regolamento anagrafico della popolazione residente possiamo ben intendere che la previsione dell’art. 5-bis aveva trasformato il permesso di soggiorno per richiesta asilo in un titolo per l’iscrizione anagrafica. Questo articolo, disponendo che fosse utilizzato l’istituto della convivenza anagrafica, aveva introdotto una procedura semplificata e accelerata, in parziale deroga da quanto previsto all’art. 5 comma 3 dello stesso D.lgs., ridotto a regolare i soli casi di iscrizione individuale, per il titolare di questo tipo di permesso ospitato in un centro di accoglienza — fosse di prima accoglienza (art. 9), di accoglienza straordinaria (art. 11) o di accoglienza territoriale (art. 14) – non ancora iscritto all’anagrafe. Esso, infatti, prevedeva una iscrizione d’ufficio, basata esclusivamente sulla comunicazione del responsabile della struttura di accoglienza, per chi non era già iscritto all’anagrafe secondo la procedura ordinaria prevista dall’art. 5. Un tale automatismo, che tra l’altro prescindeva dal trascorrere dei tre mesi ospitati in un centro, come previsto dall’art. 6 comma 7 T.U.I., si può, senza eccessive forzature, sostenere avesse trasformato, per coloro che erano accolti nei centri indicati, il permesso di soggiorno per richiesta asilo in “un titolo per l’iscrizione anagrafica”. Questa, infatti, stando al testo dell’abrogato art. 5-bis doveva avvenire senza “dichiarazioni degli interessati”, prevista dall’art. 13 del Regolamento anagrafico della popolazione residente, e senza i susseguenti “accertamenti d’ufficio” previsti dagli articoli 18-bis (Accertamenti sulle dichiarazioni rese e ripristino delle posizioni anagrafiche precedenti) e 19 (Accertamenti richiesti dall’ufficiale di anagrafe) dello stesso regolamento. In particolare, esso svincolava l’iscrizione anagrafica dalla verifica che l’Ufficiale d’anagrafe ha l’ obbligo di compiere (art. 18-bis primo comma) sulla “effettiva sussistenza dei requisiti previsti dalla legislazione vigente per la registrazione” servendosi delle informazioni che raccoglie invitando “le persone aventi obblighi anagrafici a presentarsi all’ufficio per fornire le notizie ed i chiarimenti necessari alla regolare tenuta della anagrafe”, interpellando “gli enti, amministrazioni ed uffici pubblici e privati” (poteri conferitigli dall’art. 4, comma terzo, della legge 24 dicembre 1954, n. 1228), e verificando “la sussistenza del requisito della dimora abituale di chi richiede l’iscrizione o la mutazione anagrafica […] a mezzo degli appartenenti ai corpi di polizia municipale o di altro personale comunale che sia stato formalmente autorizzato, utilizzando un modello conforme all’apposito esemplare predisposto dall’Istituto nazionale di statistica (art. 19 Regolamento anagrafico).

Quindi la norma da ricavare dall’art. 13 nel suo complesso, vale a dire tanto dalla disposizione, lettera a) 2, che introduce il comma 1-bis dell’art. 4 del D.lgs. 142/2015, quanto da quella, lettera c, che abroga l’art. 5-bis dello stesso D.lgs., sancisce l’abrogazione non della possibilità di iscriversi al registro della popolazione residente dei titolari di un permesso per richiesta asilo, ma solo della procedura semplificata prevista nel 2017 che introduceva l’istituto della convivenza anagrafica, svincolando l’iscrizione dai controlli previsti per gli altri stranieri regolarmente residenti e per i cittadini italiani.

Eliminando questa procedura che, pur poteva essere considerata un’azione positiva in favore di soggetti particolarmente vulnerabili come i richiedenti asilo, il legislatore ha in qualche modo ripristinato il sistema di assoluta parità tra diversi tipologie di stranieri regolarmente soggiornanti e cittadini italiani creato dal T.U.I.

Merita di essere sottolineato che è stata comunque introdotta una disposizione mirata a eliminare gli inconvenienti che possono nascere per i richiedenti asilo nell’accesso ai servizi sociali per il venir meno della procedura per cui il permesso per richiesta asilo, per chi era ospitato in un centro di accoglienza, era titolo sufficiente per l’iscrizione anagrafica.

E’ stato, infatti, introdotto un nuovo comma 3 nell’articolo 5 del D.lgs. 142/2015 che recita: “L’accesso ai servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti è assicurato nel luogo di domicilio individuato ai sensi dei commi 1 e 2”. In questo modo i richiedenti asilo accolti nei centri, nelle more dell’iscrizione anagrafica o del suo mutamento, hanno comunque l’accesso ai servizi sociali garantiti [L’iscrizione anagrafica è infatti il presupposto per l’accesso all’assistenza sociale, la concessione di eventuali sussidi o agevolazioni previste da ogni comune, ad esempio quelle basate sulle condizioni di reddito, verificate mediante l’indicatore ISEE, erogati dalla pubblica amministrazione o da soggetti dalla stessa delegati, e ad altri rilevanti diritti sociali, tra i quali la partecipazione a bandi per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, i sussidi per i canoni di locazione o l’acquisto della prima casa. Esso inoltre, per gli stranieri regolarmente soggiornanti, costituisce un presupposto fondamentale per l’assistenza sanitaria essendo ad essa subordinata l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale.]. La vecchia formulazione di questo comma stabiliva che “il centro o la struttura rappresenta luogo di dimora abituale ai fini della iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell’articolo 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”. Una tale disposizione, una volta venuto meno l’automatismo della iscrizione anagrafica legata all’ospitalità nel centro, avrebbe reso complesso l’accesso ai diritti sociali dei richiedenti asilo in fase di iscrizione anagrafica.

La nuova formulazione del comma 3 dell’art. 5 del D.P.R. 142/2015 ha soprattutto l’indubbio merito di facilitare l’accesso ai servizi sociali di quei richiedenti asilo che non sono accolti in un centro o ne sono stati allontanati e che non hanno ancora provveduto all’iscrizione anagrafica o alla re-iscrizione dopo la cancellazione seguita all’allontanamento. I richiedenti asilo, ma gli stranieri in genere, spesso non sanno che il comma 3 dell’art. 2, della legge anagrafica n. 1228/54, modificato dalla legge 94/2009, consente di procedere all’iscrizione anagrafica anche qualora si sia senza fissa dimora. In tali casi, il presupposto oggettivo per l’iscrizione anagrafica è il domicilio nel territorio del comune. Il citato comma 3 della legge anagrafica prevede, infatti, che

La persona che non ha fissa dimora si considera residente nel comune dove ha stabilito il proprio domicilio. La persona stessa, al momento della richiesta di iscrizione, è tenuta a fornire all’ufficio di anagrafe gli elementi necessari allo svolgimento degli accertamenti atti a stabilire l’effettiva sussistenza del domicilio. In mancanza del domicilio, si considera residente nel comune di nascita.

In tal caso, ai fini dell’iscrizione anagrafica, non è necessario indicare un preciso indirizzo utile a rintracciare la persona e non si procede agli accertamenti relativi all’abitualità del domicilio perché esso è sostanzialmente oggetto di una libera elezione da parte della persona senza fissa dimora (Ministero dell’Interno – Direzione generale dell’Amministrazione civile, circ. n. 1/1997). Ben pochi richiedenti asilo, ma anche persone che hanno ricevuto la protezione internazionale, si avvalgono di queste disposizioni per chiedere l’iscrizione anagrafica anche in mancanza di una dimora. Oggi i richiedenti asilo sanno che possono comunque chiedere, anche senza iscrizione anagrafica, l’accesso ai servizi sociali nel luogo indicato al momento della domanda di protezione internazionale o di rinnovo del permesso per richiesta asilo.

* Emilio Santoro è professore ordinario di Filisofia del Diritto, Università di Firenze