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L’Australia ha sottoposto i profughi a crimini contro l’umanità, secondo quanto affermano alcune class action

Helen Davidson, The Guardian - 9 dicembre 2018

I rifugiati e i richiedenti asilo sulle isole di Manus e Nauru hanno lanciato un’azione collettiva accusando l’Australia di aver recato danni intenzionalmente. Photo credit: World Vision

Le due class actions iniziate lunedì (3 dicembre 2018 n.d.T.) sostengono che il governo australiano ha sottoposto i richiedenti asilo e i rifugiati a tortura, crimini contro l’umanità e danni intenzionali nell’ambito delle operazioni di “esternalizzazione della procedura”.

I due casi portati avanti da Julian Burnside QC e che coinvolgono difensori dei diritti umani del National Justice Project, sono stati presentati di fronte all’Alta Corte dell’Australia, in rappresentanza dei rifugiati e richiedenti asilo dell’isola di Manus in Papua Nuova Guinea e dell’isola di Nauru.

Entrambi i gruppi, che si distinguono per il luogo di detenzione, richiedono ingiunzioni per fermare le presunte violazioni da parte del governo del diritto di protezione e tutela, richiedendo un risarcimento.

Il loro team legale rivendica di aver subito:
– detenzione arbitraria e altre gravi restrizioni della libertà fisica;
– mancanza di un’adeguata assistenza sanitaria;
– sicurezza e protezione inadeguate;
– cibo e acqua inadeguati;
– sistemazioni non idonee e ambiente non igienico.

Questi trattamenti imposti hanno causato gravi danni fisici e psicologici ai rifugiati e richiedenti asilo.

Il National Justice Project, guidato dall’avvocato George Newhouse, afferma che le azioni del governo australiano nei confronti di queste persone “sono volti a impedire che anche altre persone arrivino in Australia per la richiesta di asilo”.

I nostri clienti chiedono che i loro diritti civili siano rispettati, non un’azione legale penale, poiché per questo, secondo il codice penale del Commonwealth, è necessaria l’approvazione del procuratore” ha detto.

Ci sono ancora più di mille persone sulle isole di Manus e Nauru, per molti delle quali la richiesta di asilo sarebbe legittima e lo status di rifugiato verrebbe riconosciuto.

L’Australia ha detenuto queste persone per più di cinque anni sulle isole Manus e Nauru. Dodici persone sono morte in questo periodo: per suicidio, omicidio e cure mediche inadeguate.

Se da un lato l’Australia afferma che ciascun Paese ospitante gestisce gli accordi, dal protocollo d’intesa si evince che è l’Australia ad aver voce sugli accordi, sulle operazioni e le spese che ne derivano.

I membri del Parlamento della minoranza non sono riusciti a far passare la normativa prima della decisione definitiva presa giovedì dal Parlamento. Questa normativa avrebbe permesso ai rifugiati e richiedenti in grave condizioni di salute di essere portati in Australia per le cure mediche, con l’approvazione di due medici.

Per anni le vicende delle isole di Manus e Nauru sono state associate alle proteste e alle segnalazioni di assistenza sanitaria scarsa, gravi accuse e episodi in cui i funzionari hanno negato, ritardato o addirittura bloccato il trasferimento delle persone per le quali erano necessarie cure mediche urgenti.

Decine sono i casi posti all’attenzione della Corte Federale australiana per richiedere il trasferimento per urgenti motivazioni sanitarie. Il governo australiano, con decisioni extragiudiziali, ha accettato alcune richieste; ne ha però respinte altre, per una spesa di 480.000 dollari solo nel primo trimestre 2018-19.

A settembre dello scorso anno, un giudice ha riconosciuto un risarcimento di 70 milioni di dollari per gli attuali ed ex rifugiati e richiedenti asilo dell’isola di Manus, circa 2.000 persone, per aver subito una detenzione illegale in condizioni pericolose.
È stato il risarcimento più cospicuo nell’ambito della class action per i diritti umani in Australia.

In questo caso l’Australia aveva accettato già nel mese di giugno, senza aspettare il processo di sei mesi.

L’allora Primo Ministro Tony Abbott ha definito la scelta di questo risarcimento come “un guadagno inatteso per tutte quelle persone che hanno ingiustamente tratto beneficio dalla generosità della nostra nazione”.

Un altro caso posto di fronte alla Corte Suprema della Papua Nuova Guinea per la richiesta di risarcimento e di documenti di viaggio a più di 730 rifugiati in questo Stato, è stata respinta per un motivo tecnico a ottobre.