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Le cerimonie religiose nella scuola pubblica: la sentenza Fontanelli

Tesi di Laurea di Pietro Giovanni Panico

Università della Calabria
Corso di Laurea in di Scienze Politiche

Tesi di Laurea:

“Le cerimonie religiose nella scuola pubblica: la sentenza Fontanelli”

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Capitolo 1° – La scuola nella società multiculturale

La scuola riveste un ruolo importantissimo all’interno della società: costituisce la sorgente primaria per la formazione di ogni individuo.

La scuola pubblica rappresenta uno strumento di integrazione tra diverse etnie “e deve operare perché il fanciullo abbia basilare consapevolezza delle varie forme di diversità e di emarginazione allo scopo di prevenire e contrastare la formazione di stereotipi o pregiudizi nei confronti di persone e culture“.

L’istruzione scolastica non solo ha come scopo la formazione culturale, ma, punta anche a creare i cittadini del futuro. In sostanza, “la scuola pubblica deve rappresentare il luogo in cui un ordinamento giuridico attento alla diversità e teso a promuovere e tutelare le differenze recupera un irrinunciabile momento unitario, trasmettendo a tutti gli individui quei valori che, pur nell’ambito delle diverse inclinazioni ideologiche, culturali e religiose, ne fanno cittadini di un medesimo Stato“.

All’interno delle aule scolastiche si promuovono i valori di multiculturalità, accoglienza ed integrazione mediante la promozione della tolleranza e dell’apertura verso il prossimo, in quanto “la presenza nelle scuole di alunni di diversa provenienza sociale, culturale, etnica e con differenti capacità ed esperienze di apprendimento costituisce ormai, nella società plurale e globalizzata in cui viviamo, un dato strutturale in continuo aumento, tanto da interessare l’intero sistema di istruzione e, sia pure in maniera non uniforme, non solo le istituzioni scolastiche delle grandi aree urbane, ma anche quelle dei medi e piccoli centri“.

Rispetto al passato, però, l’ordinamento scolastico ha risentito dei profondi cambiamenti all’interno della società, divenuta multiculturale e multireligiosa: la globalizzazione ha inciso notevolmente su tale situazione creando un assetto scolastico mutato, diverso, nuovo rispetto a quello di qualche anno fa.

L’ Italia ha iniziato a ‘fare i conti’ con il cambiamento agli inizi degli anni ottanta, periodo storico in cui il numero degli alunni stranieri frequentanti scuole pubbliche, crebbe sensibilmente.

Fino agli anni settanta il nostro era sostanzialmente un Paese di emigrazione: la percentuale di chi cercava fortuna all’ estero era assai elevata, mentre raramente si verificavano episodi di persone straniere che cercassero fortuna in Italia.

E’ negli anni ottanta che si iniziò a registrare un numero elevato di bambini non italiani presenti nelle scuole pubbliche: se in un primo momento l’accoglimento degli alunni stranieri avvenne senza una norma adeguata, successivamente tramite circolari ministeriali si cercò di regolarizzare il tutto. Le prime circolari ministeriali, quindi, presero atto delle trasformazioni che stavano avvenendo nella nostra nazione e sottolinearono l’importanza della multiculturalità come valore, non come problema da estirpare.

A titolo di esempio, basti ricordare che la legge 40/1998 stabilisce:

I minori stranieri presenti sul territorio sono soggetti all’obbligo scolastico; ad essi si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, di accesso ai servizi educativi, di partecipazione alla vita della comunità scolastica”4, poi “l’effettività del diritto allo studio e’ garantita dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali anche mediante l’attivazione di appositi corsi ed iniziative per l’apprendimento della lingua italiana“.

Infine, “La comunità scolastica accoglie le differenze linguistiche e culturali come valore da porre a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra le culture e della tolleranza; a tale fine promuove e favorisce iniziative volte alla accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua d’origine e alla realizzazione di attività interculturali comuni“.

Oggi circa il 9,54% della popolazione studentesca non ha nazionalità italiana.

L’Italia ha fatto dei notevoli passi avanti per rendere la scuola pubblica un luogo di integrazione: un esempio è quanto successo nel 2010, quando “per assicurare agli studenti di nazionalità non italiana, soprattutto se di recente immigrazione e di ingresso nella scuola in corso d’anno, la possibilità di seguire un efficace processo di insegnamento-apprendimento – e quindi una loro effettiva integrazione – le scuole attivano dal prossimo anno 2010/2011 iniziative di alfabetizzazione linguistica anche utilizzando le risorse che saranno messe a disposizione dalla legge 440/97 e con opportune scelte di priorità nella finalizzazione delle disponibilità finanziarie relative alle aree a forte processo migratorio“.

Lo Stato ha deciso di scegliere la strada dell’apertura, abbracciando gli ideali di multiculturalismo ed interculturalismo.

Le linee pedagogiche della Scuola italiana mirano a non accentuare le differenze, bensì ad amalgamarle, prediligendo l’integrazione e la fusione tra diverse culture invece di seguire una strada etnocentrica.

Già il D.M. 9 Febbraio 1979 sottolineava l’importanza di avere una scuola “non ancorata ad un’unica interpretazione della realtà, ma effettivamente aperta a tutti i fermenti e agli apporti del mondo esterno“.

La Circolare Ministeriale 26 Luglio 1990, n. 205 sottolineava l’eguaglianza di tutti gli studenti: “gli alunni stranieri sono prima di tutto alunni: bambini e bambine, ragazzi e ragazze, con le loro individualità e differenze, fra le quali l’appartenenza ad una diversa etnia si colloca come una delle variabili da prendere in considerazione“.

La scuola interculturale è un dialogo tra visioni diverse che deve essere accompagnato e costruito, chiudendo quindi le porte a stereotipi e pregiudizi: ulteriore rafforzamento di questo concetto si ha con il D.L. n. 76/2005: “la fruizione dell’offerta di istruzione e di formazione come previsto dal presente decreto costituisce per tutti ivi compresi (…) i minori stranieri presenti nel territorio dello Stato, oltre che un diritto soggettivo, un dovere sociale ai sensi dell’articolo 4, secondo comma della Costituzione, sanzionato come previsto dall’articolo 7 del presente decreto“.

Per formare una scuola multiculturale e pluralista è necessario innanzitutto evitare di ghettizzare gli stranieri con la creazione di classi differenziate (classi di italiani e classi di immigrati). Tale errore è stato fatto a Milano, precisamente in una scuola elementare sita a San Siro. In questa non era prevista la “classe mista”. I banchi della sezione I A dell’a.s. 2015 erano occupati interamente da bambini cinesi e moldavi. Contava, quindi, solo extracomunitari che non sapevano, inoltre, parlare l’italiano.

Situazione analoga è avvenuta a Bologna, nell’istituto Besta, in cui è stata creata una sezione composta esclusivamente da 22 studenti di nazionalità non italiana: è stata battezzata “classe liquida”. Tale impostazione lede apertamente i principi a cui dovrebbe ispirarsi la scuola pubblica.

In questo modo, infatti, viene meno ogni speranza d’ integrazione e si creano della vere proprio divisioni.

Nonostante questi episodi negativi, la scuola pubblica è incentrata sull’accoglienza delle diversità e non sull’ esclusione della persona ‘diversa’. La scuola pubblica poggia su principi generali, primo fra tutti quello dell’universalismo.

È lì che viene attuato il riconoscimento dello straniero prima di tutto come “persona” e viene riconosciuta l’esistenza di diritti che vanno tutelati a prescindere dalla nazionalità dell’individuo: in questo caso, l’applicazione delle norme della “Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia”, approvata nel 1989 e ratificata dall’Italia nel 1991.

Gli Stati parte si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella presente Convenzione ed a garantirli ad ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione pubblica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra circostanza“: sono punti che l’Italia ha deciso di fare propri e di porli come fondamenta delle politiche sociali e scolastiche che portano ad interventi per migliorare la situazione di bambini e ragazzi extracomunitari.

Conseguentemente c’è la presa di coscienza che l’istruzione è un diritto di ogni bambino, anche se non italiano, partendo dal presupposto che il sapere non può mancare nella formazione di alcun fanciullo.

La scuola deve essere accessibile a tutti.

Altro principio è la “Scuola Comune”, ossia l’inserimento del bambino deve avvenire nelle normali classi, evitando quindi aule separate e “classi ghetto” poiché “le scuole paritarie, svolgendo un servizio pubblico, accolgono chiunque“.

Infine, l’intercultura.

La scuola italiana sceglie di adottare la prospettiva interculturale – ovvero la promozione del dialogo e del confronto tra le culture – per tutti gli alunni e a tutti i livelli: insegnamento, curricoli, didattica, discipline, relazioni, vita della classe. Scegliere l’ottica interculturale significa, quindi, non limitarsi a mere strategie di integrazione degli alunni immigrati, né a misure compensatorie di carattere speciale. Si tratta, invece, di assumere la diversità come paradigma dell’identità stessa della scuola nel pluralismo, come occasione per aprire l’intero sistema a tutte le differenze (di provenienza, genere, livello sociale, storia scolastica). Tale approccio si basa su una concezione dinamica della cultura, che evita sia la chiusura degli alunni/studenti in una prigione culturale, sia gli stereotipi o la folklorizzazione“.

Come strumento d’integrazione, importanti sono le pratiche di accoglienza e di inserimento nella scuola.

Fondamentali, in questa direzione, sono l’apprendimento della lingua italiana e la valorizzazione del plurilinguismo.

Concludendo, “quello dell’istruzione sembra essere il campo che reagisce con maggiore sensibilità alle trasformazioni sociali e demografiche in atto, il luogo strategico delle politiche di integrazione come delle politiche di assimilazione, il perimetro in cui si incontrano coscienze prive della capacità critica, (…) e in cui si formano i cittadini di domani, i protagonisti di società incerte sulla nozione di cittadinanza, sulle possibilità di coesistenza tra culture diverse e sulle forme attraverso cui declinare la propria nuova identità ” e ricordando come “la scuola stessa vive attualmente una stagione delicata per quanto riguarda la ridefinizione della sua propria dimensione educativa e culturale, alla ricerca di convenienti equilibri tra gli indirizzi che vorrebbero salvaguardarne la sua finalizzazione all’apprendimento di obiettivi prettamente cognitivi e all’educazione globale della persona e del cittadino“.

La via da seguire, sembra quella secondo cui “solo uno sforzo unitario, che coinvolga anche gli immigrati e riconosca loro un pieno protagonismo, è in grado di preparare un futuro più soddisfacente per l’Italia, mentre ostacolano la coesione sociale i trattamenti discriminatori e le normative eccessivamente rigide come quella sul riconoscimento della cittadinanza, inadeguata alle attese dei minori figli di stranieri per circa i due terzi nati in Italia“. Si tratta di numeri elevati, che connotano l’Italia come terra d’asilo e paese di immigrazione e che evidenziano le profonde trasformazioni in atto all’interno della nostra nazione, che indicano quindi come la strada intrapresa dell’interculturalità sia l’unica possibile via per adeguarsi ai tempi che cambiano.

L’educazione interculturale” infatti “avvalora il significato di democrazia, considerato che la “diversità culturale” va pensata quale risorsa positiva per i complessi processi di crescita della società e delle persone. Pertanto l’obiettivo primario dell’educazione interculturale si delinea come promozione delle capacità di convivenza costruttiva in un tessuto culturale e sociale multiforme. Essa comporta non solo l’accettazione ed il rispetto del diverso, ma anche il riconoscimento della sua identità culturale, nella quotidiana ricerca di dialogo, di comprensione e di collaborazione, in una prospettiva di reciproco arricchimento“.

Pietro Giovanni Panico

Consulente legale specializzato in protezione internazionale ed expert prevenzione sfruttamento lavorativo. Freelance con inchieste sui MSNA, rotte migratorie, accordi illegittimi tra Paesi europei ed extra UE e traffici di armi.
Nel 2022 ho vinto il "Premio giornalistico nazionale Marco Toresini" con l'inchiesta "La guerra dei portuali genovesi contro le armi saudite".