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Migranti, sistema asilo inefficace, poche vie legali, esternalizzazione delle frontiere: “Mancata politica Ue costa 49 miliardi”

Lorenzo Bagnoli, il Fatto Quotidiano - 20 gennaio 2019

Non ci sono solo i morti. L’assenza dell’Europa in materia di immigrazione costa all’intera Unione almeno 49 miliardi di euro all’anno. È quanto stima Milieu Ltd, società di consulenza a cui il Servizio di ricerca del Parlamento europeo ha commissionato uno studio dal titolo “I costi della non-Europa nelle politiche dell’asilo”, ora in uso sia ai think tank dell’Europarlamento, sia all’interno della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Libe), a cui spetta la difficile sfida di riformare il sistema d’asilo in Europa.

Secondo lo studio di Milieu, “la scarsa capacità di gestire gli arrivi, delle condizioni di accoglienza e della registrazione delle persone e la mancanza di un’azione comune dell’Ue hanno portato a movimenti verso altri Stati membri dello spazio Schengen (i cosiddetti “movimenti secondari”, ndr) e alcuni Paesi hanno reagito reintroducendo i controlli alle frontiere. Questa reintroduzione mina seriamente i principi fondanti del progetto di integrazione europea”.

Un fallimento politico ed economico: lo studio calcola che a causa dell’assenza di una strategia europea comune non esistono vie legali per l’immigrazione, sono aumentati i fondi per la cooperazione con Paesi extraeuropei, che le procedure d’asilo sono diventate sempre più disarmoniche e che le possibilità di integrazione sono sempre minori. Il risultato sono 49 miliardi di spese extra, a cui si aggiunge l’impatto sulla vita dei migranti e l’onda xenofoba che attraversa l’Europa.

Questo discorso s’inserisce in un momento politico molto delicato per l’Unione europea. La riforma dello “spazio comune europeo d’asilo”, Ceas, è ferma. In stallo anche la revisione del Regolamento di Dublino, la Bibbia delle regole sulla gestione dei migranti e dei richiedenti asilo in Europa. Tutte concause del caos imperante nella gestione dei migranti.

Il costo principale della “non-Europa” è l’immigrazione irregolare: tra i 19 e i 33 miliardi di euro all’anno. Le cause principali sono l’assenza di vie regolari per migrare in Europa e i costi del contrasto alle organizzazioni criminali che trafficano in esseri umani. Quest’ultima pesa tra i 13,5 e i 25,6 miliardi di euro, mentre il rafforzamento delle frontiere esterne costa 352 milioni di euro all’anno. Ristabilire le frontiere interne a Schengen, secondo il rapporto, porterebbe annualmente altri 7 miliardi di spese in controlli e personale.

Ci sono poi gli accordi di cooperazione internazionale per bloccare l’immigrazione verso l’Europa: il Trust Fund Europa-Africa e l’accordo Unione europea-Turchia. All’anno sono finora costati in media 1,6 miliardi di euro. E hanno anche un altro impatto: “L’esternalizzazione delle procedure di asilo e migrazione rappresenta un costo e pone alcuni seri problemi”, si legge nel rapporto. Primo “la tracciabilità nell’uso di questi fondi è limitata, in quanto sono legati all’obiettivo di ridurre gli arrivi irregolari nell’Ue”, fatto che rischi di “falsare la cooperazione politica con i Paesi terzi”. Da ultimo, il rischio è “la deviazione di fondi di aiuto dagli obiettivi della cooperazione allo sviluppo (e in particolare l’eliminazione della povertà), al contenimento e alla limitazione della migrazione”.

Altra voce di peso sono le procedure d’asilo inefficaci, che costano tra i 2,5 e i 4,9 miliardi di euro. I Tra i 186 e i 236 milioni di euro sono persi per richieste di trasferimento che alla fine non vengono approvate, evitabili con un maggiore programmazione, e tra i 390 e i 509 milioni di euro sono richieste approvate ma mai effettuate. C’è poi il fenomeno delle “doppie domande d’asilo”, il cui costo è stimabile tra i 178 e i 428 milioni di euro. Il sistema di relocation tra 2015 e 2017 ha portato al ricollocamento da Grecia e Italia a altri Paesi europei di 32.366 persone su 160mila previste, ricorda il rapporto. A settembre 2017 la Commissione ha presentato una raccomandazione, con aggiunta di 500 milioni di euro, per rendere il meccanismo permanente (seppur sempre su base volontaria) entro ottobre 2019. Questi soldi, ricorda lo studio, sono allocati per coprire i primi 50mila nuovi ricollocamenti con questo nuovo meccanismo. A dicembre 2017, 19 Paesi avevano dato disponibilità per 39.758 posti. Ma funzionerà davvero?

Il rapporto si chiude con proposte di riforme che porterebbero un beneficio netto, secondo il rapporto, di 22,5 miliardi all’anno. Le soluzioni proposte sono soprattutto tre. La prima è introdurre un visto per motivi umanitari. Secondo lo studio di Milieu, senza costi aggiuntivi, già ridurrebbe la spesa di 6,2 miliardi di euro all’anno. La parte complessa è stabilire chi lo emetterebbe, in che modo e chi ne dovrebbe avere diritto. E non è mai stata davvero aperta una discussione sull’argomento a Bruxelles.

Il rapporto propone poi un rafforzamento dell’Ufficio europeo per il sostegno all’asilo (Easo), organismo con sede a Malta che assiste i Paesi membri nelle procedure d’asilo. In Italia, ad esempio, è presente negli hotspot dei migranti. Con una spesa di 2,1 miliardi potrebbe essere più efficace nel monitoraggio, riducendo – è la stima di Milieu – il numero di appelli ai dinieghi alla domanda d’asilo.

L’ultima proposta è la più semplice, anche se politicamente è la più difficile da far approvare: lasciare che siano i titolari di protezione internazionale a decidere la loro destinazione finale. Questo, secondo il rapporto, porterebbe una maggiore facilità di integrazione e inserimento lavorativo, che si tradurrebbe in condizioni di vita migliori, meno spese sanitarie e più tasse pagate: il saldo netto oscillerebbe tra i 980 milioni e l’1,3 miliardi all’anno.

Certo, la conclusione dell’ultimo summit europeo del 2018, però, lascia poco ottimismo sulla possibilità di raggiungere un’intesa sulle politiche migratorie. Su sette proposte della Commissione, nessuna ha ancora trovato il pieno appoggio degli Stati membri. “Devo dire che su questa materia sto piano piano perdendo la pazienza – diceva Jean-Claude Juncker il 14 dicembre 2018, alla fine del summit con i capi di Stato europei – Non è una cosa che un presidente dovrebbe dire al Consiglio, ma ho fatto notare c’è un enorme problema (letterale: elefante bianco nella stanza, ndr) e questa è ipocrisia, tutti ci sollecitano e ci invitano di volta in volta ad aumentare i controlli alle nostre frontiere esterne… ed è per questo che siamo venuti fuori con queste nuove proposte “. Sempre con scarso successo.

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