Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Report sul nono viaggio in Bosnia (26 – 29 dicembre 2018)

Un racconto di due operatori indipendenti a Bihać e Velika Kladuša

Campo profughi Borici a Bihac (Foto: nellaterradeicevapi.wordpress.com)

Lo scopo delle nostre relazioni è l’informazione e la denuncia. Il punto chiave è il criterio di questa denuncia. Riteniamo che non possa essere soltanto il rispetto di una legalità, internazionale e nazionale, complessa e contraddittoria. Siamo, inoltre, in una fase storica incerta e confusa di produzione di nuove leggi, spesso restrittive, di cui l’Italia è un caso tristemente emblematico.

Né può bastare la buona volontà che nasce dalla convinzione morale soggettiva secondo cui ogni persona in difficoltà deve essere aiutata. E’ necessario, anche e soprattutto, un criterio francamente politico di individuazione e costruzione concreta di possibili alternative di vita sociale e quindi di resistenza e di lotta.

La criminalizzazione dell’esperienza di Riace; la denuncia e la cacciata di persone impegnate nell’occupazione a scopo sociale di edifici abbandonati o non utilizzati; il rifiuto di approdo a navi di ONG che hanno a bordo migranti strappati dal mare, ci indicano una strada che può partire dalla disobbedienza civile ma che tendenzialmente può e deve andare oltre, in termini costruttivi: un movimento di disobbedienza civile che sia insieme e soprattutto costruzione in atto di forme alternative di socialità. Non basta disobbedire a leggi palesemente ingiuste. Non si può avere come unico orizzonte la legalità, cioè lo Stato neoliberista.

La criminalizzazione dell’esperienza di Riace; la denuncia e la cacciata di persone impegnate nell’occupazione a scopo sociale di edifici abbandonati o non utilizzati; il rifiuto di approdo a navi di ONG che hanno a bordo migranti strappati dal mare, ci indicano una strada che può partire dalla disobbedienza civile ma che tendenzialmente può e deve andare oltre, in termini costruttivi: un movimento di disobbedienza civile che sia insieme e soprattutto costruzione in atto di forme alternative di socialità. Non basta disobbedire a leggi palesemente ingiuste. Non si può avere come unico orizzonte la legalità, cioè lo Stato neoliberista e neanche una Costituzione di settant’anni fa, peraltro già modificata in senso neoliberista.

Senza questo orizzonte più ampio e costruttivo, l’impegno notevole e coraggioso di volontari e associazioni rischia di essere soltanto un supporto alla linea politica di mero e anche violento contenimento, propria delle istituzioni internazionali ed europee, per quel che riguarda le rotte di terra e di criminale disimpegno per quel che riguarda le rotte di mare.

Il nostro impegno, attraverso lo strumento dell’aiuto in denaro, la denuncia delle condizioni vita inaccettabili, della ferocia politica della polizia euro-croata, delle morti nel ‘game’, cerca di tendere costantemente a un orizzonte politico. Dopo sette mesi di viaggi in Bosnia, dobbiamo constatare che i molti volontari che operano efficacemente con i migranti per terra e per mare non riescono ancora a collegarsi in una rete e in un movimento unitario, assumendo la questione delle migrazioni come leva per trasformare la società in cui vivono, le società europee, la cui crisi è pure evidentissima, come mostrano, ad esempio, le dinamiche complesse e interessanti del movimento dei gilets jaunes francesi. Bisogna attrezzarsi per agire dentro una crisi sociale aperta a prospettive molto diverse che dipendono anche dal nostro impegno.
Campo profughi Borici a Bihac

I

Premessa
In Bosnia, precisamente a Bihać e Velika Kladuša, la situazione si sta in qualche modo stabilizzando secondo le linee ufficiali dello IOM: creazione di grandi contenitori in cui è garantito il minimo di sopravvivenza – due pasti più una colazione, letto, tetto, riscaldamento, sanità; il tutto nei modi disagevoli, seriali e pesanti dei grandi assembramenti coatti. Non si stanno costruendo dei veri e propri lager, poiché gli ‘ospiti’ possono entrare e uscire, ma certamente dei grandi contenitori rigidi e seriali, in cui vige una dinamica disciplinare di massa. Qualcosa che sta fra il carcere e la caserma, gestito con la volontà politica di limitarsi a garantire la mera sopravvivenza, bloccando in un presente senza futuro persone considerate come numeri. In tal modo, viene tolta loro la speranza: proprio ciò che differenzia la vita dalla sopravvivenza.

Oltre alle lunghe file per colazione, pranzo e cena, non esiste altro: nessuna attività sociale e/o culturale. I giorni sono tutti uguali, tutti ugualmente vuoti. Mera sopravvivenza. Forse, adesso, nel nuovo Borici ristrutturato di Bihac, è possibile immaginare condizioni di vita più decenti. Vedremo. Sappiamo anche che saranno proposte da volontari attività socializzanti e ricreative, rivolte in particolare ai bambini.

La Bosnia dovrebbe diventare l’antemurale dell’Europa. Alla Croazia, che aspira a entrare nell’Europa di Schengen, è affidato il compito di impedire ai migranti di attraversare i confini.

A Velika Kladuša è il capannone Miral – in realtà nel comune di Polje, a qualche chilometro di distanza – il principale contenitore di rifugiati (oltre un migliaio): ancora in fase di organizzazione da parte dell’IOM. A fine dicembre erano in corso lavori di costruzione di una grande tettoia nel cortile interno del capannone mentre, nel piazzale esterno, il parcheggio auto era stato occupato da almeno una ventina di containers da adibire ad “abitazione”. Poco lontano, le decine e decine di tende della protezione civile (fra cui spiccavano le tende del Pakistan NDMA – National Disaster Management Authority) mai utilizzate e dislocate in una squallida spianata, erano invece scomparse.

Per noi, questa volta, è stato impossibile entrare e anche fotografare dall’esterno, quasi fosse diventata un’area militarizzata. Dalle interviste con vari profughi, abbiamo colto il loro malumore. La preoccupazione riguardava la vita all’interno dell’hub, ritenuta addirittura pericolosa a causa dell’elevato ammassamento di persone di paesi e culture diverse, tale da provocare un alto livello di aggressività, comportamenti non controllabili e mancanza di tutela soprattutto per i minori non accompagnati. Inoltre, le file interminabili per una misera colazione o per un pasto non appetibile o per una doccia in cabine intasate, spingevano molti profughi a cercare alternative nei boschi o in case disabitate.

Una ventina fra loro sono rimasti nello hangar, non distante dall’ex campo spontaneo di Trnovi, sgomberato il 5 dicembre 2018. Un altro centinaio di uomini vive in edifici dismessi, ora occupati o, altrimenti, affitta una stanza in situazione illegale.

Campo profughi Borici a Bihac
Campo profughi Borici a Bihac

Tendenze di criminalizzazione della solidarietà

Il tutto avviene in un clima sociale ancora tollerante e prevalentemente solidale, nonostante si colgano già molti segnali avversi. Da un po’ di tempo, infatti, la polizia ha iniziato a multare i residenti che ospitano a casa loro profughi e rifugiati con ammende fino a 1.000 euro.

A Velika Kladuša, i proprietari di bar, supermercati e negozi cominciano a sentirsi in diritto di cacciare dai loro locali i rifugiati, a volte usando metodi riprovevoli e spintoni. Ne fanno le spese anche dei volontari di carnagione più scura che vengono assimilati ai profughi.

Ad alcuni volontari, sono cominciati ad arrivare anche i “fogli di via” nonostante, da mesi, si stiano dedicando gratuitamente per rendere meno disumana la vita dei profughi.

Ordinanze di applicazione municipale che, tuttavia, non trovano riscontro a livello generale del Cantone, colpiscono anche altri gesti di solidarietà. Offrire un passaggio in macchina a un migrante, oggi è considerato un reato e quindi un gesto da sanzionare. Nello stesso tempo pare che neppure le corriere siano più un mezzo lecito per trasferirsi verso Bihac o da Bihac verso Kladuša. Rimangono i taxi che per un passaggio possono richiedere anche 100 euro.

Altri episodi di discriminazione, purtroppo non più così isolati, si possono constatare in varie situazioni: dai bar che impediscono l’ingresso ai migranti, ai clienti dei supermercati manifestano atteggiamenti di intolleranza. Mentre eravamo al Bingo, l’enorme supermercato all’ingresso di Kladuša, abbiamo noi stessi notato una coppia di anziani allontanare dalla cassa con grande disprezzo un ragazzo dalla carnagione scura che stava facendo la fila. In verità, nel piazzale esterno, abbiamo però visto anche altre persone donare qualche centesimo di marco ai ragazzi che chiedono un obolo per sopravvivere. Tuttavia, questi segnali sono indicativi di una dinamica sociale che tende a uniformarsi agli umori più nefasti della politica.
Persino una volontaria storica che opera a Kladuša dall’inizio della seconda rotta balcanica, è divenuta bersaglio di insinuazioni e sospetti da parte della polizia, volti a criminalizzare la solidarietà.

Il campo profughi Bira a Bihac
Il campo profughi Bira a Bihac

Volontariato a Velika Kladuša

A Kladuša opera ancora No Name Kitchen. Con i suoi volontari continua a gestire le docce nell’ex macello dove, almeno una cinquantina di migranti al giorno, vengono a lavarsi e a sostituire la biancheria sporca con i ricambi puliti a cui provvede l’associazione.

Nonostante l’apertura del Miral che contiene almeno un migliaio di profughi, moltissimi sono i ragazzi che continuano a riferirsi a NNK usufruendo dei suoi indispensabili servizi.

Un gruppo torinese 1, presente in questi giorni di fine anno, ha impegnato il proprio tempo per apportare piccole ma importanti modifiche all’interno di quelle quattro mura fatiscenti. In una stanza, ha costruito panche su cui i migranti possano trovare un momento di conforto al calore di una stufa e bere un tè caldo; in un’altra ha realizzato uno spazio pulito, dove possano cambiarsi i vestiti dopo la doccia; ha isolato il pavimento e le pareti e appeso degli scaffali al muro per riporre bicchieri o altri oggetti. Per ultimo, pur non possedendo particolari competenze tecniche, i volontari torinesi si sono trasformati in elettricisti, riuscendo a illuminare l’interno dell’ex macello con una lampadina da 10 watt, collegata a una batteria.

Detti in poche righe, questi piccoli grandi “lavori” sembrano poca cosa. Invece, per chi ritorna dal “game” pieno di lividi e ferite o per chi vi dorme o per chi si lava alle “docce”, sono supporti importanti capaci di rendere accogliente uno spazio inospitale, come questo luogo con ganci da macello ancora appesi al soffitto e l’acqua che gocciola dal tetto.

Tende inutilizzate a Velika Kladusa
Tende inutilizzate a Velika Kladusa

Il “game”, le sue violenze, i suoi morti

La sera del 28 dicembre abbiamo incontrato nella “sala del tè” 6 ragazzi catturati nei boschi, respinti e brutalmente picchiati dalla polizia croata. Erano stati derubati dei soldi e dei loro cellulari, poi privati dei vestiti più pesanti e costretti a percorrere 25 km a piedi per ritornare a Kladusha. Uno di loro aveva appena 17 anni e le sue mascelle erano tumefatte dai pugni ricevuti. Un altro, un ragazzone grande e grosso, aveva il ginocchio probabilmente rotto dai colpi di manganello. Tutti soffrivano più per “le ferite dell’anima” piuttosto che per quelle “del corpo”, ma nessuno sembrava voler rinunciare a nuovi tentativi. Appena potranno, ripartiranno per il “game”.

A conferma di questo, nei freddi e tardi pomeriggi, prima che avanzasse la sera, abbiamo notato infatti gruppi di giovani camminare lungo la strada cantonale e avanzare verso i campi collinosi che portano al “border”.

Sappiamo che non si arrenderanno e che né le violenze della polizia croata, né le mine, né gli orsi o i fiumi in cui vari ragazzi sono annegati, li fermeranno. Non possono tornare da dove sono venuti se vogliono salvare le proprie vite, non possono avanzare legalmente, ma i pericoli affrontati per arrivare a pochi chilometri dall’Europa hanno, in fine, rafforzato la loro volontà.

Le violenze subite sono un tema costante che ricorre in ogni discorso. Persino i bambini ripetono come un ritornello: “Croatia no good, Croatia problem, problem”.

Nonostante la polizia croata continui a negare le sevizie e i furti ai danni dei migranti sorpresi nei boschi durante il “game”, il 16 dicembre è divenuto di pubblico dominio la prova audio e video delle deportazioni illegali 2. Altrettanto numerose sono altre prove che documentano i pushback, cioè i respingimenti illegali dei migranti in violazione del diritto internazionale. Citiamo solo l’ultima pubblicazione di NNK che riferisce come la polizia costringa le persone catturate a camminare a piedi nudi, con temperature sotto zero, attraverso foreste e corsi d’acqua 3

Campo profughi Bira a Bihac
Campo profughi Bira a Bihac

Nelle chiacchiere all’ex macello, la sera del nostro incontro con i sei ragazzi feriti di ritorno dal game, abbiamo appreso che Abbas, il bimbo che suonava la fisarmonica e studiava con Angelica di NNK con il quaderno appoggiato sulle ginocchia, è arrivato in Germania.

Era partito sotto la neve assieme alla sua famiglia, ma erano stati tutti scoperti nei boschi. Venivano dall’Iraq e per arrivare fino a qui avevano camminato per un anno e quattro mesi. Possiamo solo immaginare come siano riusciti ad arrivare nel nord Europa. La Slovenia o deporta in Croazia o dà avvio a procedure di asilo magari senza concluderle. È forse quest’ultima l’ipotesi più plausibile: cioè che l’intera famiglia sia stata trattenuta in un campo chiuso per un certo periodo e poi lasciata libera di andarsene per proseguire nel suo cammino.
Per un caso andato bene, molti e molti altri finiscono tragicamente.

Sono ancora vivi nella nostra memoria gli ultimi casi di due uomini che hanno perso con il “game” la vita. Ne siamo venuti a conoscenza grazie agli appelli di altri rifugiati o alle dichiarazioni dei sopravvissuti:
Nassim, algerino di 25 anni annegato il 27 novembre nel Fiume Reka – Località Topolc – Comune di Ilirska Bistrica – Confine Slovenia/Croazia
Ahmad Ibrahim, 44 anni, siriano di Damasco, annegato il 29 novembre nel fiume Dobra in Località Protulip Skubinov al confine tra la Croazia e la Slovenia

Campo profughi Borici a Bihac
Campo profughi Borici a Bihac

Nel solo mese di novembre risultano altre tre morti: per due di queste, le fonti ufficiali non sono riuscite a risalire all’identificazione.
Di solito, nessun comunicato annuncia la scomparsa di queste persone. Raramente compare un trafiletto di qualche giornale croato o sloveno.

Morire senza volto è il culmine disumano dell’indifferenza; è il vuoto di umanità divenuto ormai pratica corrente nei confronti degli immigrati.

Ricordiamo per ultimo Tahir, “minore non accompagnato”, morto a 16 anni nell’ex fabbrica BIRA, dopo che da giorni lamentava malesseri che nessuno ha curato.
Solo il laborioso lavoro di ricerca documentale condotto da un’operatrice professionale dell’IPSIA 4, ha reso possibile ricostruire le morti, le cause, i luoghi del decesso e restituire un nome a persone di cui, altrimenti, non si saprebbe nulla. Il 14 dicembre ha pubblicato una lista ancora parziale, delle persone morte prevalentemente per annegamento nel tentativo di attraversare i fiumi di confine tra Croazia e Slovenia. Un elenco che parla di una piccola terribile strage che si consuma lungo la rotta balcanica.
Queste situazioni mostrano veramente il fondo della nostra condizione umana.

SOS team Kladusha

A Kladuša, continua a operare anche SOS team Kladusha fornendo vestiti e scarpe attraverso il suo Free shop ma non solo. Grazie al supporto di una fondazione olandese 5, riesce a garantire alcune centinaia di pasti ai profughi nel ristorante bar pizzeria di Latan ed anche a prestare prime cure di emergenza a chi ritorna ferito dal “game”.

Medici Senza Frontiere è ora presente con una unità mobile. Ci è stato tuttavia riferito che, attualmente, la mancanza di un interprete fra pazienti e sanitari è fonte di reale disagio fra i migranti.

Campo profughi Borici a Bihac
Campo profughi Borici a Bihac

Bihać

Il 28 dicembre abbiamo potuto visitare il grande capannone dell’ex fabbrica di elettrodomestici Bira (7.000 mq) a qualche chilometro dalla città.
Nel nostro precedente viaggio di novembre c’erano circa 2.100 persone con 4/5 bagni.
Il capannone era diviso in tre reparti: per famiglie; minori non accompagnati; uomini soli.

Questa volta siamo potuti entrare esclusivamente nell’area in cui opera l’IPSIA, grazie alle donazioni che raccogliamo. Continuiamo infatti a sostenere il micro-progetto relativo all’angolo per il tè, spazio che vorrebbe essere di socializzazione, non ancora pienamente funzionante. Di fatto, la distribuzione del tè può avvenire solo in presenza della guardia di sicurezza e questo comporta la formazione di file che contrastano con l’intento socializzante o il momento di rilassamento attorno ad una bevanda calda.

Tutto intorno si vedono tende con l’insegna della Mezzaluna rossa turca. Pare che siano 400, distribuite nelle varie aree del Bira. Dovrebbero in seguito essere sostituite da container. La Mezzaluna Rossa svolge, significativamente, da anni la sua attività in Bosnia. Su richiesta e in cooperazione con la Croce Rossa di Bosnia Erzegovina, in questo momento sta una producendo un massiccio impegno nei campi dei migranti intrappolati ai confini d’Europa 6.

La situazione a Bihać è però in rapido mutamento. Le famiglie con bambini e i minori non accompagnati verranno spostati quanto prima nel rinnovato Dom Borici, in cui i lavori di ristrutturazione – iniziati il 29 ottobre 2018 – sono stati finanziati con i fondi europei. A novembre avevamo potuto verificare la fase iniziale, in cui stavano installando le porte interne ed esterne, i controsoffitti, le pareti divisorie di cartongesso e stavano strutturando gli impianti igienici e fognari.

A oggi (primi di gennaio), è già iniziato il ripopolamento con le famiglie e soggetti vulnerabili. Lo IOM ha organizzato un’attività con gli studenti della Secondary Art School “Nusret Keskin – Braco” di Bihać, che hanno dipinto lo spazio progettato per le attività ludiche e per la socializzazione dei bambini.

La nuova struttura dovrebbe essere quanto di meglio finora è stato offerto ai migranti in Bosnia: importante è che inizino veramente, almeno a Borici, attività di socializzazione per i minori. Peraltro, a Bihać dovrebbero anche arrivare giornalmente a scuola i bambini dell’hotel Sedra di Ostrozac, località nel comune di Cazin, rifiutati dai genitori dei bambini del luogo.

In tutta Bihać, tra il Bira e il dom Borici e altre forme di “alloggio”, ci son circa 4.000 persone migranti.

Continua peraltro la deportazione da Bihać di parecchie decine di migranti a Kljuc, cittadina al confine del cantone Una Sana con la repubblica Serpska, assistiti in qualche modo dalla Croce rossa locale. Noi volevamo andare a Kliuc in questo nostro ultimo viaggio, anche se la nostra corrispondente locale ci aveva detto che in quei giorni il flusso si era interrotto e che i migranti rifiutati a Bihać venivano dispersi in altre località. A causa di un imprevisto, siamo dovuti tornare a Trieste prima del tempo. Ora abbiamo saputo che il flusso è ripreso con temperature che toccano i meno dodici e anche con gruppi di 30 migranti alla volta condotti in corriera da Bihać, che dista circa 100 chilometri (ma qui i viaggi si misurano in ore piuttosto che in chilometri). Per quel che capiamo, alcuni migranti ‘alloggiano’ in un garage senza porta, altri all’aperto, assistiti dalla Croce Rossa locale, mentre l’IOM afferma di non essere in grado di intervenire (!) .

Il nostro contributo

Il nostro contributo come volontari indipendenti si basa sulla raccolta fondi svolta attraverso una rete pubblica di donatori.
Grazie alle donazioni di molte persone, con l’ultima fase della raccolta, abbiamo raggiunto la somma di 5.373,50 euro che sono stati così distribuiti:

1. Velika Kladuša
Per il nostro nono viaggio in Bosnia, ci eravamo impegnati con NNK riguardo ad un investimento di 1.000 EURO finalizzati all’acquisto del materiale mancante più urgente a cui si sono aggiunti altri 2.000 euro versati da un donatore anonimo.
La scelta di concordare con le operatrici i beni da comperare (in particolare: legna da ardere, cibo, calzini, intimo), ha continuato a rivelarsi il percorso più opportuno. I bisogni dei migranti di Kladuša sono, infatti, soggetti a fattori molto variabili: presenze effettive, spostamenti, decisioni politiche, collocamento di parte dei migranti nel capannone Miral, donazioni di materiale già presente da parte di Associazioni ecc.

2. Bihać
A Bihać la gestione da parte di IOM si estende al nuovo centro accoglienza (situato nel capannone BIRA) e contempla varie funzioni ma ne lascia sguarnite altre. Per questo motivo ci siamo rapportati con IPSIA che sostiene una quotidianità volta a salvaguardare – per quanto possibile – standard minimi di accoglienza e a favorire una matrice di socialità su una prospettiva temporale media.
Il 28 ottobre 2018 avevamo sostenuto il primo micro-progetto riguardante legna ed attrezzatura per cucinare sui cilindri di cemento = totale donazione euro 1.500,00
Il 12 novembre 2018 abbiamo devoluto la rimanenza di 1.742,50 euro ad IPSIA per il progetto del “caj corner” : l’angolo del tè.

Il 28 dicembre 2018 = abbiamo continuato a sostenere il micro-progetto “ciaj corner”, trasferito all’interno del Bira, con la somma di 2.375,00 euro. Questo importo era comprensivo degli 875,00 euro che erano destinati ai migranti di Kljuc. Tuttavia la ritrattazione della richiesta di aiuto che ci era pervenuta, ha fatto sì che potessimo stornare questa cifra a favore e sostegno del progetto IPSIA del ciaj corner. Ricordo che per un mese e per 2 mila profughi, sono necessari circa 200 bustine tè al giorno, almeno 200 kg di zucchero, circa 1500 bicchieri, materiale per pulire panche e tavoli (guanti, spugne, detergente antibatterico, carta scottex).
L’angolo del tè è uno spazio concepito come situazione aggregante ma anche formativa, di socializzazione ed educazione. Per i migranti il thé è la bevanda per eccellenza, bevuta in grandi quantità da soli e in compagnia, corroborante per lo spirito e con il profumo di casa. È una iniziativa finalizzata anche a contrastare il sentimento diffuso di frustrazione e a restituire un senso allo “stare dentro” nello spazio del dom Borici proprio nel momento in cui è sempre più ostacolata la presenza dei migranti in città.
Il progetto sarà gestito completamente dai volontari dell’IPSIA che hanno acquisito una competenza specifica maturata nei campi profughi in Serbia (a Krnjaca (Belgrado) e a Bogovadja, l’IPSIA ha già sperimentato due punti di distribuzione e socializzazione)
La somma da investire prevede il costo delle attrezzature fra cui:
2 bollitori da 25 litri (circa 150 euro cad), prolunghe, mestoli; acquisto di zucchero, bicchieri di carta, guanti per la distribuzione, liquido antibatterico per le mani dei volontari.
La distribuzione è calcolata su 500 tè al giorno (che corrispondono a 60 Kg di zucchero e 6mila bustine tè al mese)

3. Materiale sanitario
Vari soggetti che prestano la loro opera direttamente in “campo”, si trovano spesso ad intervenire come presidio di “emergenza” per i casi meno gravi con carenza di materiale sanitario. Per questo motivo, abbiamo consegnato betadine, disinfettanti, sciroppi, garze, cerotti.
Tutta la documentazione dettagliatamente certificata per voce, è pubblicata nel gruppo donatori ed è archiviata tra gli atti in nostro possesso.

  1. Silvia Salvagno, Sofia Pressiani, Alberto Sachero, Marco Mascarello, Fabio Fracchia, Gea Bianco
  2. https://www.meltingpot.org/Respingimenti-al-confine-tra-Bosnia-e-Croazia-le-PROVE.html
  3. http://www.nonamekitchen.org/wp-content/uploads/2019/01/December-Border-Violence-Reports.pdf
  4. Zilvia Marauan, NELLATERRADEICEVAPI.WORDPRESS.COM Gli invisibili. Dicembre 13, 2018
  5. Lemon Foundation https://lemonfoundation.eu
  6. http://www.trt.net.tr/hrvatski/region-2/2018/11/28/iz-turske-u-bih-stigao-konvoj-humanitarne-pomoci-za-migrante-1096755

Linea d'Ombra ODV

Organizzazione di volontariato nata a Trieste nel 2019 per sostenere le popolazioni migranti lungo la rotta balcanica. Rivendica la dimensione politica del proprio agire, portando prima accoglienza, cure mediche, alimenti e indumenti a chi transita per Trieste e a chi è bloccato in Bosnia, denunciando le nefandezze delle politiche migratorie europee. "Vogliamo creare reti di relazioni concrete, un flusso di relazioni e corpi che attraversino i confini, secondo criteri politici di solidarietà concreta".