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Georgia – La buona integrazione e la nascita di un figlio che necessità di assistenza sanitaria giustificano la protezione umanitaria

Tribunale di Roma, ordinanza del 10 dicembre 2018

Photo credit: Mara Scampoli

La fattispecie oggetto del presente esame attiene ad un giudizio promosso – dinanzi alla Sezione Specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea del Tribunale di Roma – ai sensi dell’art. 35 D.lgs. 25/2008 per l’impugnazione del provvedimento di diniego della protezione internazionale pronunciato dalla Commissione territoriale di Roma in data 28/09/2017 e notificato alla ricorrente il 19/12/2017 nei confronti di una cittadina georgiana, in quanto la storia personale della richiedente era ritenuta non integrare gli estremi per il riconoscimento dello status di rifugiato. Inoltre, gli accadimenti riferiti dalla richiedente e le temute ripercussioni in caso di rientro nel paese di origine, non erano state tali da pervenire al riconoscimento della protezione sussidiaria, né della protezione umanitaria.

In punto di fatto

La ricorrente di nazionalità georgiana, aveva dichiarato dinanzi alla Commissione Territoriale di essere originaria della Georgia, nata nella città di (…), luogo dove ha sempre vissuto fino al 2012, anno in cui lasciava il proprio paese d’origine per recarsi, in cerca di lavoro, innanzitutto in Germania, quindi in Italia.
Riferiva, inoltre, di provenire da una famiglia povera, composta dal padre, prematuramente scomparso che la ricorrente era ancora una bambina, dalla madre, che da lungo tempo versa in condizioni di salute precarie e dai due fratelli. L’istante raccontava inoltre di aver sempre lavorato in Georgia per far fronte alle difficoltà economiche della propria famiglia e, in particolare, alle cure mediche di cui la madre da sempre necessita e, nonostante gli sforzi profusi, di aver perso, a causa dei debiti accumulati, la propria casa familiare. Soprattutto, veniva esattamente riportato alla Commissione l’episodio che ne aveva segnato, tragicamente, l’esistenza: all’età di sedici anni era stata rapita e violentata, a scopo di matrimonio, da un suo concittadino. Così, il 29/06/2012, spinta dalle necessità economiche e dalle difficoltà familiari, lasciava la Georgia per giungere in Germania e, da qui, nuovamente, l’Italia, dove trovava lavoro come badante e tata. Attraverso il proprio lavoro la ricorrente ha potuto provvedere ai bisogni della madre malata, acquisendo la dignità di cui in patria non aveva mai goduto. In Italia inoltre è rimasta incinta. Esponeva infine di non poter far ritorno nel Paese di origine tanto per le difficoltà economiche che avrebbe incontrato, quanto per il timore di ritorsioni da parte del marito – stupratore, a causa della fuga all’estero e della gravidanza in corso.
A sostegno delle proprie argomentazioni, la cittadina georgiana produceva idonea documentazione e, in particolare, certificazione medica attestante lo stato di gravidanza, il diploma di ostetricia ottenuto in Georgia, regolarmente tradotto e legalizzato, documentazione attestante la perdita della casa familiare.
Come sopra accennato, la Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Roma negava alla ricorrente, il riconoscimento dello status di rifugiata e le altre forme complementari di protezione.
Pertanto, in data 05/01/2018, avverso il diniego, la cittadina extracomunitaria, proponeva ricorso ai sensi dell’art. 35 d.lgs 35/2008 dinanzi alla sezione specializzata in materia di immigrazione del Tribunale di Roma e, previa sospensiva del provvedimento impugnato, insisteva nel rito per la nullità del provvedimento impugnato emesso a suo dire in violazione di legge, nel merito per il riconoscimento in suo favore dello status di rifugiata od in via subordinata della protezione sussidiaria, ovvero in ulteriore subordinazione la protezione umanitaria ex art. 5, comma 6, del D.lgs 286/98. Si costituiva in Giudizio il Ministero dell’Interno.
Dinanzi al Giudice, la ricorrente ha sostanzialmente confermato di aver lasciato il suo Paese per ragioni economiche ed ha riferito le violenze e vessazioni subite dal marito; soprattutto produceva il certificato di nascita del figlioletto, avvenuta a distanza di cinque mesi dall’audizione ad opera della Commissione ed il contratto di lavoro subordinato ottenuto presso una struttura alberghiera.

In punto di diritto

Il Giudice del Tribunale di Roma col decreto in esame, preliminarmente prende atto dell’integrazione documentale predisposta dall’istante.
Argomenta quindi in ordine all’insussistenza nel caso di specie dei requisiti necessari per il riconoscimento alla ricorrente dello status di rifugiato o della misura complementare della protezione sussidiaria, confermando così in parte de qua l’impugnato provvedimento di diniego.
Infine, Il Giudice romano si sofferma sui presupposti legislativi di riconoscimento della misura di protezione residuale e atipica della protezione umanitaria.
Tale forma di protezione prende le mosse dall’art. 5, comma 6 del D. lgs 286/98 il quale consente, in via residuale e, quindi, quando non risultino applicabili misure più idonee di protezione dello straniero, il rilascio di un permesso di soggiorno laddove “ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”, ovvero allorquando la situazione personale del richiedente protezione internazionale, così come rilevata dalla documentazione prodotta, induce a ritenere che l’allontanamento dello straniero dal territorio nazionale sia tale da esporre il medesimo alla violazione dei propri diritti fondamentali, così come risultanti dalla Convenzione di Ginevra, dalla CEDU, dalla Carta di Nizza o dalla normativa di rango costituzionale.
In particolare, il Giudice dell’impugnazione ha ritenuto che, nel caso de quo, il rifiuto da parte della Commissione del riconoscimento in capo alla ricorrente della protezione internazionale, nella specie umanitaria, determinando l’irregolarità della stessa nel territorio nazionale ed esponendola così al rischio di un rimpatrio forzoso, ne violava, sotto più aspetti, i diritti fondamentali, in particolare come risultanti dall’art. 8 CEDU, che riporta l’intitolazione “Diritto al rispetto della vita privata e familiare”, dall’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, “Diritti del Minore”, e dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, ratificata dall’Italia tramite la legge 176 del 1991.
Da una parte, infatti, la situazione di integrazione della cittadina georgiana nel tessuto sociale nazionale ed il grado di autosufficienza raggiunto, testimoniati dalla buona conoscenza della lingua italiana, dal contratto di lavoro e dalla idonea sistemazione alloggiativa e, dall’altra, l’esigenza di garantire al figlioletto della medesima, nato in Italia, l’assistenza sanitaria fondamentale nei primi mesi di vita sono stati ritenuti dal Tribunale di Roma elementi sufficienti a riconoscere alla ricorrente la protezione internazionale per motivi umanitari, in riforma dell’impugnato provvedimento.

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Tribunale di Roma, ordinanza del 10 dicembre 2018