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Rosarno e Borgo Mezzanone: sgomberi e trasferimenti forzati non risolveranno nulla

A San Ferdinando un'altra morte strumentalizzata dal ministro dell'interno

Sarebbe inutile, forse ripetitivo, quasi pedante, scrivere l’ennesimo articolo dell’ennesima morte all’interno del “ghetto” di Rosarno. Al Ba Moussa è l’ultimo di una lunga serie di morti, in maniera atroce, di un luogo che, nel tempo, è diventato l’emblema di una forma di abitare che, nella coscienza comune, è distante nello spazio e nel tempo.

Sarebbe inutile, ripetitivo e padante, stare a raccontare le vite di migliaia di migranti che nella Piana di Gioia Tauro, così come nella maggior parte dei campi italiani, vengono sfruttati fino all’osso per qualche decina di euro al giorno. Quando va bene.

E’ fondamentale però capire e dare un’informazione corretta e chiara in un momento storico di grande confusione e linciaggio mediatico, tra annunci di sgomberi e proclami securitari.

Il “ghetto” di Rosarno è lì dal lontano 1992, ha subito un’evoluzione nel 2010, anno della famosa rivolta, e, negli ultimi anni, si è espanso tra fabbriche occupate, campi container e nuove tendopoli; una geografia dell’abitare che non ha eguali in Europa, in un territorio che conta 5.200 aziende agricole, una produzione di arance che supera le 200mila tonnellate e un bisogno di braccia da sfruttare direttamente collegabile alla filiera sporca che sottende la maggior parte del mercato agrumicolo italiano.

Il tutto in una zona dove la presenza della ‘ndrangheta è palpabile e l’inquinamento ambientale visibile, guarda caso a ridosso del Porto di Gioia Tauro, uno dei più importanti hub del traffico container nel bacino del Mediterraneo (che oggi sconta una forte crisi occupazionale).

Porto di Gioia Tauro controllato e gestito dalla ‘ndrangheta e da dove transitano ogni anno quintali di droga (in particolare cocaina), rifiuti tossici e armi; un affare che frutta miliardi di euro alla mafia calabrese (e non solo). Il “ghetto”, ubicato a qualche chilometro dal porto, è stato così, ed è ancora oggi, un luogo di distrazione rispetto ai traffici che percorrono quotidianamente la Calabria. Distrazione che, guarda caso, coinvolge anche politici più o meno locali, ministri o ex che qui hanno fatto campagna elettorale sulla pelle dei migranti, sul solco di una legalità a tutti i costi e un’idea di “pulizia” del territorio sbandierata oggi da Salvini, ma che ha profonde radici nel partito democratico (vedi ghetto di Rignano), che vede lo sgombero come unica soluzione possibile.

Un concetto di legalità che lascia per strada migliaia di persone e che ha il suo culmine nella legge “sicurezza e immigrazione“. Nel frattempo, mentre gli slogan si susseguono ed avviene nel foggiano lo sgombero dell’accampamento di Borgo Mezzanotte con l’uso di ruspe ed esercito, è partito, da sabato 16 febbraio, lo spostamento di decine di braccianti che vivevano all’interno della baraccopoli verso alcuni CAS calabresi. L’idea di fondo resta quella del “pacco” da spostare senza interventi sociali e professionali di inserimento, il classico spot elettorale tanto caro al governo in carica.

Parcheggiare poi i migranti, in particolare i richiedenti asilo, nei grandi o piccoli centri – alcuni dei quali è utile ribadirlo non offrono alcunché, emblematico il caso del CARA di Crotone, in passato cogestito dalla criminalità organizzata -, è evidente a chiunque che non può rappresentare una soluzione.

Fino a quando non si affronteranno seriamente e con politiche strutturali i nodi della filiera sporca dell’agricoltura, del diritto all’abitare e della regolarizzazione dei migranti, i “ghetti” saranno usati dalla politica solo come una delle tante scenografie della loro infima propaganda.

Matteo De Checchi

Insegnante, attivo nella città di Bolzano con Bozen solidale e lo Spazio Autogestito 77. Autore di reportage sui ghetti del sud Italia.
Membro della redazione di Melting Pot Europa.