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Spagna – Espellere i minori stranieri non accompagnati: il PP e il Governo ritentano ciò che fu già un fallimento in passato

Gabriela Sánchez, Desalambre (El Diario) - 5 gennaio 2019

Le denunce di maltrattamenti fisici e psicologici fatte dai minori non accompagnati contro il centro di protezione per minori “La Purísima”, il ritiro del permesso di residenza al compimento della maggiore età e la mancata inclusione dei ragazzi all’interno del sistema educativo pubblico sono i principali motivi che portano i minori a fuggire dal centro // Foto: Robert Bonet

La campana delle espulsioni dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) è tornata a suonare. Questa settimana, Pablo Casado ha annunciato a Melilla un’iniziativa parlamentare avente l’obiettivo di “approcciare la situazione dei MSNA da una prospettiva di migrazione economica”, e non solo ”da una prospettiva sociale”. Nel mentre, da mesi il Governo negozia con il Marocco il rimpatrio dei minori “affinché possano tornare dalle loro famiglie”. I due approcci sono diversi, ma entrambi si scontrano con l’opposizione delle organizzazioni specializzate in materia. E con i fallimenti registrato in passato.

Quando un minore migrante arriva in territorio spagnolo senza essere accompagnato da un adulto, sono le Comunità Autonome ad essere incaricate della sua tutela. I MSNA non possono essere espulsi, a meno che non siano reclamati dalle proprie famiglie nei Paesi d’origine. La modifica alla legislazione vigente avanzata dal Partido Popular, questo mercoledì, intende affrontare la questione dei minori stranieri non accompagnati come si trattasse di “migrazione economica” e, pertanto, con tutto ciò che ne deriva dal punto di vista “della sicurezza dei cittadini e del controllo delle frontiere”. Questo, in altre parole, aprirebbe la porta al rimpatrio dei minori stranieri attualmente sottoposti a tutela, come già chiesto molte volte in passato dal Presidente di Melilla, Juan José Imbroda (PP).

Secondo l’annuncio di Casado, l’iniziativa mira a cambiare l’ottica in cui, secondo la normativa nazionale e internazionale, bisognerebbe trattare un minore, ovvero come un bambino prima che come un migrante. L’ONG Save The Children ritiene che, seguendo il loro approccio, il loro piano “va oltre tutte le leggi internazionali, poiché distrugge il principale punto di partenza: quello per cui quando arriva un minore straniero, lo si tratta come un minore, e non come un adulto al quale possano essere applicate le leggi in materia di stranieri. E ciò senza che si tenga conto della nazionalità, del suo status di migrante o di quello dei suoi genitori”, spiega Jennifer Zuppiroli, esperta in materia di migrazioni per l’organizzazione.

Il loro approccio viola il principio di non discriminazione. Non si può trattare un minore da adulto in funzione della sua nazionalità. Sarebbe totalmente illegale e non è accettabile che possa esser fatto davvero”, affermano dall’ONG specializzata nell’infanzia.

Tuttavia, e seguendo un altro approccio, il Governo di Pedro Sánchez sta tentando anche la strada del rimpatrio “alle loro famiglie” dei minori stranieri non accompagnati che arrivano in Spagna. E questo sempre, ribadiscono dal Ministero dell’Interno, “rispettando il supremo interesse del minore”.

Con il cambiamento registrato nelle rotte migratorie e l’aumento degli arrivi sulle coste andaluse, nell’ultimo anno anche il numero di minori non accompagnati ha fatto registrare un aumento. A settembre, le Comunità di Andalusia e Ceuta hanno richiesto, come aveva già fatto in passato la Comunità di Melilla, il rimpatrio dei MSNA nei propri Paesi d’origine.

In ottobre, il Governo ha iniziato a negoziare con il Marocco il rimpatrio dei minori immigrati di origine marocchina, circa il 70% dei minori stranieri non accompagnati presenti in Spagna, secondo i dati forniti dall’Esecutivo. Il Ministero dell’Interno spiega, in proposito, che le autorità marocchine sarebbero disposte a dare avvio ad un processo di identificazione dei minori nei centri di accoglienza andalusi per poi procedere alla individuazione delle loro famiglie di provenienza.

È in questo modo che il Ministero dell’Interno vorrebbe dare applicazione all’accordo bilaterale del 2007, entrato in vigore nel 2013 ma rimasto finora inapplicato. Attraverso tale accordo, il Marocco si impegna ad identificare i minori e le loro famiglie “entro tre mesi” a partire dall’invio, da parte delle autorità spagnole, dei dati ottenuti dai migranti nuovi arrivati. Il trattato stabilisce, inoltre, che tutti i rimpatri debbano essere effettuati in conformità al “supremo interesse del minore”, il che implica “garantire le condizioni di un effettivo ricongiungimento familiare del minore o la sua consegna in carico ad un’Istituzione di tutela”, nonché la creazione di una commissione di monitoraggio.

Le ONG esperte in infanzia e migrazione restano piuttosto scettiche, in quanto già in passato hanno ascoltato discorsi simili. Il rischio, assicura la Zuppiroli, sta nel fatto che, sotto l’egida del “ricongiungimento familiare”, si finisca poi col precedere all’espulsione dei minori in mancanza di qualsivoglia garanzia. E assicurare tali garanzie nel contesto della migrazione tra Marocco e Spagna non è affatto cosa semplice, ammette.

Secondo Save The Children, sebbene il rimpatrio “sia una delle soluzioni a lungo raggio che possono essere adottate per un minore arrivato in Spagna senza essere accompagnato”, è necessario che il supremo interesse del minore menzionato dal Governo sia valutato da “molteplici attori”, e non solo dalle autorità. “L’unico interesse verso il rimpatrio deve essere quello del minore, e non altro, come ad esempio quello del controllo delle frontiere”, avverte l’esperta in migrazioni.

Per garantire questo, continua la Zuppiroli, il rimpatrio deve essere volontario. “Nel momento in cui tale decisione viene presa contro la volontà del minore, questo, una volta tornato nel suo Paese, cercherà di migrare nuovamente, trovandosi ancora una volta nella medesima situazione di rischio, poiché ritroverà quelle stesse condizioni che hanno originato la sua migrazione fin dall’inizio”, spiegano da Save The Children. Pertanto, secondo il loro punto di vista, “bisognerebbe avere una visione complessiva della situazione all’origine e un attento coordinamento tra i servizi di tutela sia qui che nel Paese d’origine”.

Un altro elemento chiave per rispettare le garanzie di un ipotetico rimpatrio di un minore non accompagnato, aggiunge l’esperta della ONG, sta in un’attenta valutazione della situazione della famiglia nel Paese d’origine (nel caso in cui il minore ce l’abbia). “E’ necessario verificare se la famiglia vuole che il minore torni. Molte famiglie sostengono il minore nel suo processo di migrazione. Pertanto, bisogna verificare che il rimpatrio non significhi ritrovare lo stesso humus che ha dato la spinta a partire”, dice.

In un’intervista recente a eldiario.es, Mercedes Jiménez, antropologa specializzata in infanzia migrante, ricordava che il rimpatrio dei minori, passando per i vari Governi, “è sempre stato un espediente politico messo sul tavolo nei periodi di ‘crisi’, ovvero quando i flussi aumentano, come ad esempio accadde nel 2006 con la cosiddetta “crisi dei cayucos”.

Seguendo questa logica, la Jiménez dubita che l’interesse del minore prevalga su quello dell’amministrazione. “L’ottica non è quella di tutelare questi minori, ma quella di gestirne il flusso, e le espulsioni sono mascherate con i ricongiungimenti familiari. Il diritto del minore di vivere nella propria famiglia viene politicamente usato come forma di controllo”, sottolinea la ricercatrice dell’Ass. Alkhaima del Marocco.

Nel 2006 – un anno prima che si firmasse l’accordo -, sotto il Governo di José Luis Rodríguez Zapatero, la Fondazione Raíces e l’Associazione Alkhaima iniziarono a monitorare i casi di “ricongiungimento familiare” che in realtà nascondevano delle “espulsioni senza garanzie”. Uno di questi fu il caso di un minore il cui rimpatrio venne bloccato cinque minuti prima del decollo dell’aereo che l’avrebbe riportato in Marocco.

Il caso finì dinanzi alla Corte Costituzionale e, nel 2009, si concluse con una sentenza storica che affermò che il minore non era stato sufficientemente ascoltato, che il processo si era svolto senza un’adeguata assistenza legale e, per di più, senza valutare l’esistenza delle adeguate circostanze familiari e sociali che avessero garantito al minore, una volta tornato in Marocco, la giusta tutela. Si riconobbe il diritto dei minori a difendersi giuridicamente, nonché il diritto di opporsi a qualsiasi decisione presa contro di loro qualora la decisione presa dai tutori fosse ritenuta pregiudizievole per il loro interesse.

Fino a quel momento i servizi di protezione erano stati i precursori dei processi di rimpatrio, anche se al contempo continuavano ad essere i rappresentanti legali dei minori. La Corte riconobbe quindi anche il diritto ad un’assistenza legale indipendente.

In quella fase le associazioni Raíces e Alkhaima documentarono oltre 250 rimpatri “senza garanzie”. Anni prima, a Melilla, José Palazòn – fondatore della ONG Prodein, assieme a Mayte Echarte – aveva assistito a “rimpatri quotidiani” durante il Governo di José María Aznar. “Tra il 2001 e il 2003è stato terrificante: la polizia rimpatriava i minori e ad uno ad uno, in pochi giorni, erano di nuovo in Spagna”, racconta l’attivista.

Palazón, noto attivista per i diritti dell’infanzia, ricorda i minori – alcuni dei quali molto piccoli – in cerca di rifugio a casa sua pur di evitare l’espulsione. “Avevo la polizia in casa. I minori tornavano di nuovo verso la frontiera [dopo esser stati rimpatriati in Marocco, n.d.t.] e la polizia sapeva che uno dei luoghi in cui cercavano rifugio era casa mia”.

Un rapporto di Human Rights Watch del 2002 indica che tra il luglio 2001 e il febbraio 2002 furono circa 70 i rimpatri di minori dalla Città Autonoma (attenendosi alle cifre documentate da Prodein). “Sebbene le autorità definiscano queste espulsioni come “misure di reinserimento familiare”, è molto raro che questi minori tornino nelle loro famiglie o vengano consegnati ai servizi sociali marocchini, ponendosi, quindi, in aperta violazione della legislazione spagnola”, concludeva HRW 16 anni fa.

Il Ministero per la Previdenza Sociale di Melilla riferiva, nel gennaio 2002, che il 72,2% di ciò che veniva incluso sotto l’etichetta di “rimpatrio e reinserimento familiare” aveva “fallito”, poiché i minori in questione erano tornati nella Città Autonoma, aggiunge il rapporto di HRW.

Il direttore di Prodein, rispetto a quegli anni, ha un’immagine impressa in particolare nella sua mente: “Per uscire di casa e accompagnare i minori in Procura per appellarsi alla loro espulsione, Mayte (Echarte), il personale di HRW ed io formavamo un cerchio umano, con i minori sempre al centro per evitare che fossero prelevati dalla polizia”.

Ricordi come questo attivano l’allarme ogni qual volta si verificano rimpatri di minori stranieri non accompagnati, anche se apparentemente protetti dalla formula del “ricongiungimento familiare”. “E’ ridicolo pensare che tutto ciò che riguarda il rimpatrio di minori in Marocco sia fatto con adeguate garanzie, tranne i casi in cui genitori e figli vogliano farlo volontariamente, ma sono comunque davvero pochi casi”, conclude l’attivista di Melilla.