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Espulsione per motivi di pericolosità sociale – Il Tribunale di Sorveglianza ha l’obbligo di valutare la domanda di asilo

Corte di Cassazione, sentenza n. 49242 del 26.10.207 | Tribunale di Sorveglianza di Venezia, ordinanza del 27.12.2018

La sentenza ad oggetto la compatibilità della misura di sicurezza dell’espulsione giudiziale con il diritto di asilo, ed in particolare la possibilità della sua sussistenza nelle more della domanda di protezione internazionale.

Nello specifico, era stato proposto reclamo avverso un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Venezia, che negava all’istante la revoca della misura di sicurezza dell’espulsione, disposta ai sensi dell’art. 86 dpr 309/90, sebbene il destinatario fosse un richiedente protezione internazionale.
L’appellante infatti lamentava il rischio che l’esecuzione della misura potesse pregiudicare l’esercizio del diritto d’asilo, essendoci il rischio concreto che lo stesso potesse essere espulso prima della definizione della domanda di protezione internazionale.

La misura di sicurezza era stata confermata dal Tribunale di Sorveglianza che riteneva che la valutazione sulla fondatezza della domanda di protezione esulasse dalle proprie competenze e spettasse pertanto esclusivamente al giudice di cognizione.
Argomentava il Tribunale che la domanda di protezione non sarebbe stata preclusa dalla persistenza della misura in oggetto, poiché nelle more della domanda di protezione il richiedente, anche dopo aver scontato la pena, non sarebbe stato automaticamente espulso, ma sarebbe stato collocato in un Centro di Detenzione, in attesa della definizione della domanda di asilo.

La Corte di Cassazione innanzi tutto afferma il principio secondo cui la “rivedibilità” di una misura di sicurezza può anche avere carattere “anticipato”, dato che nessuna norma individua nella prossimità al fine pena l’unico momento adatto ad una valutazione sulla pericolosità sociale di un detenuto, come sostenuto dal difensore stesso nelle more del procedimento.
In secondo luogo la Cassazione afferma che il potere del giudice penale di esaminare le questioni da cui dipende l’esito del giudizio penale (nel caso di specie un procedimento finalizzato a confermare o ad ottenere la riforma della misura dell’espulsione) deve estendersi anche al vaglio della fondatezza delle domanda di protezione internazionale formulata all’imputato.
Ciò si evince dalla lettura in combinato disposto degli artt. 679 c.p.p. e 69 comma 3 e 4 ord. pen, che conferiscono al magistrato di sorveglianza la funzione di sovraintendere all’esecuzione delle misure di sicurezza personali con l’art. 2 del codice di rito, da cui discende l’obbligo in capo al giudice penale di risolvere ogni questione incidentale da cui dipenda la decisione, salvo che sia diversamente stabilito.

Il Tribunale di Sorveglianza, secondo il giudizio della Suprema Corte, avrebbe quindi dovuto estendere il proprio giudizio alla fondatezza della domanda di protezione internazionale proposta, valutando la sussistenza del rischio in concreto che in caso di rimpatrio l’appellante potesse essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti.
Tale interpretazione si armonizza con la normativa vigente in tema di bilanciamento tra la garanzia della pubblica sicurezza e divieto di respingimento: l’art. 20 del d. lvo 251/2007 prevede, infatti, che l’espulsione del richiedente protezione internazionale dello straniero ammesso alla protezione sussidiaria venga disposta qualora quest’ultimo rappresenti un pericolo per l’ordine e la sicurezza dello stato o per l’ordine e la sicurezza pubblica “fermo restando quando stabilito dall’art. 19 comma 1” del t.u. Immigrazione, che vieta l’espulsione di un soggetto in un paese nel quale egli rischi di essere sottoposto a tortura.
Tale divieto, recepito dal legislatore con la legge 110 del 14 luglio 2017, con la novella dell’art. 19 del t.u., in cui si introduce il divieto di respingimento anche in caso di rischio di sottoposizione a tortura oltre che a persecuzione, ha carattere assoluto e non può essere soggetto ad alcun bilanciamento con i motivi posti a fondamento dell’espulsione.

Ne consegue che i principi di ordine pubblico e pubblica sicurezza (riconducibili al concetto di pericolosità sociale) trovano un limite inderogabile qualora ricadano nella fattispecie dell’art. 19 t.u. che pone un divieto espresso in materia di espulsione; sul punto, l’opera interpretativa della Corte di Cassazione, in tema di espulsioni giudiziali, ha sempre valorizzato l’applicazione dell’art. 19 comma 1 del D. lvo 286/98 in ossequio ai principi sopra citati. La normativa citata è attuativa di quanto previsto dalle Convezioni internazionali, in particolare dalla stessa Convenzione Europea dei diritti dell’uomo all’art. 3 e dalla Carta di Nizza all’art. 19.

In conclusione, secondo la Corte di Cassazione, in capo al Magistrato di
sorveglianza vige l’obbligo di analizzare e accertare le questioni giuridiche in fatto e in diritto connesse alla domanda di asilo del destinatario dell’espulsione giudiziale, con l’effetto che, qualora emergesse un rischio concreto che lo stesso possa essere sottoposto a persecuzione, tortura o trattamenti inumani e degradanti in caso di rimpatrio forzato, il Giudice dovrà necessariamente provvedere alla revoca dell’espulsione e alla sua sostituzione con una misura diversa.

– Scarica la sentenza della Corte di Cassazione
Corte di Cassazione, sentenza n. 49242 del 26 ottobre 2017

– Scarica l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza
Tribunale di Sorveglianza di Venezia, ordinanza del 27 dicembre 2018