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Crimini contro l’umanità nel Mediterraneo con la complicità dell’UE

Un appello per fermarli di Mediterranea Saving Humans

Photo credit: Mediterranea Saving Humans

9 maggio 2019
Facciamo il punto. Anche se quanto sta accadendo travalica i confini di quello che avremmo potuto immaginare. C’è una guerra in Libia. Una guerra riconosciuta dalla comunità internazionale. Una guerra civile tra fazioni di cui non si riesce nemmeno ad avere un quadro chiaro. Ci sono persone che muoiono sotto le bombe, per i colpi di arma da fuoco in strada. Ci sono decine di migliaia di sfollati.

E da questo paese in guerra ci sono persone in fuga, come accade per tutte le guerre. Fuggono come fuggirebbe ciascuno di noi dalla violenza e dalla morte. Dalla Libia, però, si fugge solo prendendo la via del mare. Ieri come oggi, su gommoni sgonfi e barchette malferme, rischiando di andare a fondo. Ma chi non rischierebbe se dietro di sé si lascia solo l’orrore.

Prima erano solo “i migranti”, costretti ad attraversare la Libia dopo la chiusura di ogni altra via di accesso. Oggi sono anche libici. Sono tutti profughi di guerra, sono tutte persone tutelate dalle Convenzioni internazionali e specialmente dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato.

Le catture in mare da parte della cosiddetta guardia costiera libica erano un crimine anche prima dell’inizio di questo nuovo conflitto aperto. I video delle torture nei campi di concentramento di quel paese hanno fatto il giro del Mondo. Nazioni Unite ed Unione europea hanno ripetuto più volte che in Libia non si può riportare nessuno che sia riuscito a fuggire da questo paese, che la Libia non è un porto sicuro rispetto ai naufraghi soccorsi in mare.

Ma comprendere oggi, ed esserne testimoni perché siamo in mezzo al Mediterraneo con la nostra nave Mare Jonio, che l’Europa sta formalmente e sostanzialmente guidando le catture in alto mare di profughi di guerra e il loro respingimento in una zona di guerra fa inorridire.
Due gommoni con almeno 150 persone intercettati e riportati in Libia il 2 maggio scorso grazie alle indicazioni fornite dagli aerei europei.

Altri due eventi dello stesso tipo l’8 maggio.
È questa la riconversione della missione Sophia? Leggendo un working paper del 21 marzo prodotto nel quadro della European External Action Service e indirizzato al Political and Security Committee dell’Unione europea vengono i brividi. Lì si legge come, nell’eventualità di una chiusura della missione Sophia, cosa che è avvenuta, si potrà lanciare una nuova azione CSDP (Common Security and Defence Policy) focalizzata sul supporto alla Guardia costiera libica. Un’azione militare non-esecutiva capace di colmare alcune lacune libiche, come quelle relative “alla mancanza di carburante, alla limitata presenza di personale addestrato e, cosa più importante, alla completa mancanza di sorveglianza aerea”.

Ora, in tutto il documento non figura mai un accenno diretto ai diritti umani delle persone. L’unica preoccupazione è espressa a un certo punto dove si legge che “ridurre l’azione esclusivamente alla cooperazione e al supporto fornito alla Libyan Navy Coast Guard (attraverso le attività di formazione, monitoraggio e consulenza) può comportare un rischio per la reputazione dell’Unione europea, poiché potrebbe essere percepito come un contributo alla politica libica di detenzione indiscriminata dei migranti”.

L’ipocrisia crudele di questo documento non ha bisogno di ulteriori approfondimenti.
Ma il fatto che esso sembri dettare l’impianto di quanto sta avvenendo adesso, in queste ore, nel Mediterraneo; il fatto che nulla sia stato modificato neppure dopo lo scoppio della guerra in Libia, è qualcosa che va denunciato a tutti i livelli e segna l’affermazione assoluta dell’arbitrio e della violenza.

Abbiamo sempre detto che nel Mediterraneo si sta giocando il futuro dell’Europa e delle nostre società, la concezione stessa della dignità e della vita umana.

L’Unione europea non ha imparato nulla dagli errori che l’hanno condannata a una morte lenta ma inesorabile, perché non è stata fedele a nessuno dei principi della democrazia e del diritto su cui aveva dichiarato di essere fondata. Ma adesso, sotto i nostri occhi, a essere condannate a morte, con la collaborazione dei paesi europei che telecomandano i libici verso la cattura degli innocenti, sono centinaia di persone in fuga.

Chiediamo al Parlamento europeo, alle agenzie delle Nazioni Unite, alle parti ancora democratiche dei governi di questa Europa, di reagire immediatamente per porre fine a questo crimine contro l’umanità.