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Migrazioni, un orizzonte che scivola via

Mohamed Samih Beji Okkaz, Orient XXI - 29 aprile 2019

Photo credit: Adriana Vidano

Il Mar Mediterraneo, che per secoli ha rappresentato il centro del mondo, ha da sempre visto infrangersi sulle sue rive gigantesche ondate migratorie che hanno fatto emergere o declinare civiltà.

I flussi migratori non si sono mai arrestati dal momento in cui il primo uomo si è fatto strada alla scoperta dell’ambiente circostante. Questi flussi si sono evoluti con la storia dell’umanità, per rispondere a nuove esigenze e prendere in considerazione nuovi rischi; le motivazioni e le destinazioni sono cambiate, spingendo i migranti ad affrontare continuamente nuove sfide.

Sul finire di questa seconda decade del secondo millennio, la memoria dell’umanità abbonda d’immagini di migranti di tutte le provenienze e religioni che hanno come denominatore comune il loro bagaglio da viaggiatore. Eppure, sono diversi per la loro storia personale, i loro racconti, i loro itinerari, per le ragioni della loro partenza e per la fine del loro viaggio.

La migrazione è un fenomeno la cui visione è spesso offuscata da idee errate e da false percezioni per quanto riguarda la sua natura e le sue cause. Oggi rappresenta l’unica speranza per milioni di persone e uno spettro che perseguita i responsabili governativi alle prese con sfide politiche, economiche, sociali e di sicurezza. Inoltre, per le organizzazioni internazionali e i media, rappresenta un argomento inesauribile.

Il rapporto dell’agenzia delle Nazioni Unite per la migrazione per l’anno 2018, indica che il numero dei migranti è passato dagli 84 milioni del 1970 ai 244 milioni del 2015, una cifra che equivale al 3,3% della popolazione globale. Ma le traiettorie dei migranti non si limitano ai viaggi tra due paesi. Lo stesso rapporto indica che per l’anno 2015 più di 740 milioni di persone si sono spostati all’interno del loro paese di origine, per ragioni principalmente legate alla povertà, ai cambiamenti climatici o alle catastrofi naturali. Una dinamica interna che rappresenta la causa principale dello sviluppo delle città e della loro espansione e che, allo stesso tempo, pone il dilemma dell’estensione dell’urbanizzazione selvaggia e di quartieri interi totalmente ignorati dai servizi pubblici.

Per tentare di chiarire le diverse sfaccettature di questo fenomeno è stato elaborato il presente fascicolo, frutto di una cooperazione tra le riviste online 7iber, Al-Jumhuriya, Assafir Al-Arabi, Babelmed, Mada MAsr, Mashallah News, Nawaat e Orient XXI, membre della rete Médias indépendants sur le monde arabe. I giornalisti che hanno partecipato a questo dossier non hanno fatto proprie le idee preconcette sull’argomento. Non si sono accontentati di decrittare i grafici e le cifre date. Hanno cercato di cogliere la realtà sensibile del fenomeno, seguendo sul campo diversi tipi di migranti, moltiplicando così i punti di vista, al fine di definire meglio la pluralità dei motivi e delle cause della partenza e di comprendere meglio questa avventura umana, dai preparativi fino alla tappa finale dell’integrazione socio economica nel paese d’accoglienza, passando per la descrizione dettagliata dei viaggi.

• Il dossier si apre con l’articolo di Malek Lakhal, di Naawat, che attraverso molteplici profili di candidati all’emigrazione, differenti sia per la loro appartenenza sociale che per il loro livello di educazione, esamina le ragioni che spingono i migranti a prendere il largo. Dialogando direttamente di persona con queste persone, Malek tenta di comprendere ciò che li spinge alla ricerca di una “vita vera” al di fuori della Tunisia. Cerca di svelare il mistero di una certa gioventù tunisina piuttosto favorita che persiste nel voler cercare “un avvenire” – stando alle sue stesse parole – fuori dai confini del paese. L’autrice decostruisce così un pregiudizio dominante che vorrebbe la disperazione come la sola leva della migrazione.

Kamal Shaheen, del giornale libanese Assafir Al-Arabi, cerca di analizzare il fenomeno della migrazione nella Siria devastata dalla guerra. Ci fornisce un’inchiesta esaustiva sugli spostamenti forzati, le loro cause, i loro itinerari, così come l’influenza dei fattori locali nelle scelte della destinazione, che si tratti di religioni vicine o di paesi limitrofi. L’autore si basa su una ricca bancadati per seguire i cambiamenti demografici indotti dai flussi degli sfollati, di cui dona peraltro i volumi e la ripartizione sociale.

Nada Arafat, del Mada Masr, tratta anch’essa della migrazione interna, ma concentra il suo discorso sulla combinazione dei fattori ambientali e delle politiche governamentali nelle sorti inflitte agli autoctoni. Ci fa vivere la storia della tribù degli Ababdeh nel deserto detto Arabico (quello egiziano). I cambiamenti climatici li hanno inizialmente indotti a cambiare luogo di residenza alla ricerca di sorgenti e di pascoli, in seguito sono stati cacciati dalle autorità egiziane stesse, queste ultime prendendo come pretesto i progetti di sviluppo e d’investimento nella regione. Alla crudeltà della natura si aggiunge la politica accecata dal potere che obbliga gli Ababdeh a orientarsi verso l’estrazione dell’oro e altri traffici destinati ad assicurare la loro sopravvivenza in un ambiente doppiamente ostile. Tra la nostalgia del passato familiare e il sentimento d’ingiustizia verso uno Stato che li rifiuta, la loro miseria si perde nella sabbia.

Sana Sbouai, del Babelmed, ci trasporta sulle rive della Tunisia dove esamina le cause e le motivazioni delle partenze per mare, e la pericolosa avventura che rappresenta l’intera migrazione. Torna sugli incidenti dell’11 febbraio 2011 e dell’8 ottobre 2017. L’autrice stabilisce una comparazione tra le circostanze dei due naufragi citati, che presentano delle somiglianze: un’imbarcazione che trasporta migranti e un intervento della marina tunisina. Si pone dunque delle domande sul ruolo che sembra giocare l’esercito tunisino nella protezione delle coste europee di fronte ai flussi migratori venuti dal sud del Mediterraneo.

Yassine Suweihat, della rivista Al-Jumhuriya, dalla Germania ci riporta il racconto dei migranti al loro arrivo nel paese d’accoglienza. Vi si trovano più di 700.000 rifugiati siriani, di cui la metà ha meno di 25 anni. L’articolo tratta dell’inserimento di questi rifugiati nel sistema universitario tedesco, ponendo l’accento sui percorsi dei giovani siriani i cui studi sono stati interrotti dalla rivoluzione e poi dalla guerra. Segue da vicino i loro tentativi coraggiosi di riprendere il cammino universitario, di continuare i loro studi nella stessa disciplina o di cambiare corso di laurea.

• Quanto a Ammar Al-Shukari, della rivista 7iber, affronta la situazione degli operai egiziani in Giordania. Questa inchiesta sul campo descrive le condizioni nelle quali gli operai edili e dei lavori pubblici lavorano quotidianamente. Si interroga sulle ragioni che li hanno spinti a lasciare il loro proprio paese per una vita precaria. Le loro difficoltà economiche non si sono risolte con l’emigrazione.

Jenny Gustaffson apre un nuovo capitolo invocando un aspetto sconosciuto della diaspora siriana. La sua inchiesta porta fin in Sudan, una terra di ricongiungimento per gli emigrati siriani. Questo paese infatti continua ad aprire le sue porte ai cittadini siriani senza bisogno di visti. È così che è emersa per i Siriani l’idea di riunirsi regolarmente in Sudan, di ritrovarvisi in famiglia, seppur provvisoriamente, non potendo ottenere un visto per altri paesi. I siriani tuttavia, conoscono le stesse difficoltà economiche di cui soffre la popolazione sudanese, la quale contesta apertamente da mesi il regime di Omar Al-Bachir.

Che tentino di scappare dal loro paese d’origine, da una natura poco clemente, da regimi oppressori, da politiche inique e dalle conseguenze disastrose, o che aspirino semplicemente ad una vita migliore, i racconti dei migranti variano a seconda degli articoli del dossier. La singolarità del lavoro svolto sta nel fatto che gli autori non hanno voluto considerare il fenomeno della migrazione come un fenomeno astratto, un insieme di cifre aride. Non hanno voluto considerare i migranti come un semplice oggetto di studio, osservandoli in qualche modo a loro insaputa. Hanno riportato i racconti pieni di vita di persone in carne ed ossa, che hanno incontrato e di cui hanno cercato di sondare il cuore e lo spirito per parlarne al meglio, per permetterci di condividere la portata della loro sofferenza, dei loro sogni e delle loro inevitabili delusioni.