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OIM : urgente garantire un porto di sbarco sicuro alla Sea-Watch 3

Foto tratta da Sea-Watch

Roma 19 giugno – L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni lancia un appello affinché sia garantito quanto prima un luogo di sbarco sicuro per migranti soccorsi lo scorso 12 giugno nel Mediterraneo dalla nave “SeaWatch3”.

Sabato scorso 10 casi medici sono stati fatti sbarcare a Lampedusa, ma sono ancora 43 le persone che restano ancora bloccate in mare.

Nei giorni scorsi la SeaWatch3 era stata invitata a effettuare rotta verso Tripoli, ma occorre ricordare come la Libia sia ancora internazionalmente considerata un porto non sicuro dove sbarcare i migranti.

La situazione nel paese resta ancora estremamente pericolosa a cause dei violenti scontri militari che anche in questi giorni stanno continuando intorno alla capitale e che dall’inizio di aprile hanno causato oltre 90.000 sfollati”, afferma Federico Soda, Direttore dell’Ufficio di Coordinamento OIM del Mediterraneo. “Si tratta di un contesto molto drammatico, confermato anche dai migranti sbarcati recentemente in Italia”.

Inoltre è necessario ancora sottolineare come, dopo lo sbarco sulle coste libiche, i migranti – compresi i bambini – sono inviati in centri di detenzione le cui condizioni sono ancora da considerarsi inaccettabili e inumane. Resta ancora impossibile garantire la protezione dei diritti dei migranti trasferiti in questi centri.

Suscita inoltre grave preoccupazione che in assenza di interventi da parte dei governi per ridurre i morti in mare, le operazioni di soccorso delle organizzazioni non governative siano deliberatamente scoraggiate. In realtà il tratto di mare che separa il Nord Africa dall’Europa è ancora il punto in cui muoiono più migranti nel mondo. Nel corso dell’ultimo anno – dal 12 giugno 2018 all’11 giugno 2019 – sono infatti 1.151 le persone che hanno perso la vita lungo la rotta del Mediterraneo Centrale e, a fronte di un calo di arrivi di circa l’80 % rispetto all’anno scorso, sono ben 343 i migranti morti in mare nei primi 5 mesi e mezzo del 2019.

Alla luce di questi dati e considerando che nel corso dell’estate le partenze aumentano, invece di penalizzare i comandanti che soccorrono le persone i mare o che si rifiutano di portarle in un porto non sicuro come la Libia, occorrerebbe dare priorità assoluta al salvataggio di vite e rafforzare un sistema di pattugliamento internazionale che possa aiutare in modo efficace le barche in difficoltà.

È necessario, oggi più che mai, che gli Stati membri dell’Unione Europea facciano uno sforzo condiviso per trovare soluzioni adeguate a quella che, dati alla mano, non può essere definita un’emergenza sbarchi in termini numerici, ma bensì una grave crisi umanitaria.