Per i migranti detenuti nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio far arrivare all’esterno le proprie voci è un compito arduo. Attorno ai famigerati ex CIE, in questi anni, è calata una cappa che ha reso questi nonluoghi sempre più invisibili.
Insieme alla proteste, agli scioperi della fame, alle bocche cucite, finanche agli atti di autolesionismo, testimoniare con gli audio e i video è rimasto uno dei pochi mezzi per denunciare come all’interno di quelle maledette gabbie i diritti basilari semplicemente non esistano. Ma far circolare queste informazioni non è facile: in alcuni CPR non è permesso avere il telefono, in altri viene rotta la telecamera al momento dell’ingresso. E poi ci sono quelli come Torino, dove il telefono è concesso, ma se testimoni e fornisci le prove degli abusi e dei soprusi a giornalisti e attivisti vieni trasferito, picchiato e zittito. Come accaduto a I. dopo l’ennesima morte evitabile.
I CPR vanno immediatamente chiusi!
Montaggio video: Pettirouge prod.
Cosa sono i C.P.R.?
I C.P.R. sono strutture detentive dove vengono reclusi i cittadini stranieri sprovvisti di regolare titolo di soggiorno. Dalla relazione del Garante, nel 2017 sono stati privati della libertà 4.087 migranti, un trend in aumento rispetto ai 2.984 del 2016.
La detenzione amministrativa in Italia è stata istituita nel 1998 con la legge Turco-Napolitano, conosciuta come Testo Unico sull’immigrazione: sono passati 20 anni e da allora è cambiato l’acronimo con cui sono nominati i centri (da C.P.T. a C.I.E. fino agli attuali C.P.R.), i tempi di detenzione (con le modifiche del decreto Salvini 180 giorni), il numero di strutture presenti nel paese – al momento 5 (Bari, Brindisi, Roma – Ponte Galeria, Torino, Potenza – Palazzo S. Gervasio). Invariate rimangono le condizioni di questi “luoghi orribili” e le segnalazioni di pesanti abusi e violazioni dei diritti nei confronti di persone che si ritrovano, da un momento all’altro, recluse.
Il ministro dell’interno Salvini, confermando l’impianto repressivo della legge Minniti-Orlando, si appresta ad aprire un C.P.R. in ogni regione per una capienza complessiva di 1.600 posti.
Dentro questo “buco nero dei diritti” potrebbero scomparire uomini e donne che fino al giorno prima stavano in mezzo a noi.