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Naufragio Libia: la testimonianza dell’infermiera di MSF presente allo sbarco

Ieri mattina (giovedì 25 luglio, ndr.) ci hanno chiamati per dirci che nella base militare di Khoms stavano sbarcando persone intercettate in mare. Siamo arrivati verso le 10:30. La nostra équipe era composta da un medico, due infermieri e un autista.

Sul posto c’erano circa 80 persone provenienti in gran parte dall’Eritrea, dal Sudan, dall’Egitto e dal Bangladesh. Faceva molto, molto caldo. Erano sedute all’ombra di un muro per ripararsi dal sole e praticamente non avevano vestiti – alcuni di loro avevano indosso solo un asciugamano, altri erano in mutande. Se ne stavano seduti all’ombra, sotto choc.

Abbiamo identificato i casi critici: alcuni avevano ingerito e respirato molta acqua di mare ed erano in crisi respiratoria e tra loro c’erano dei casi abbastanza gravi, distesi a terra, cianotici e con la pelle grigia a causa della mancanza d’ossigeno. Erano tutti in pessime condizioni.

Il nostro medico ha esaminato i casi urgenti. Abbiamo iniziato a inserire flebo e abbiamo chiamato un’ambulanza per trasportarli all’ospedale. Sette pazienti sono stati inviati all’ospedale locale.

Un uomo originario del Sudan, che era stato letteralmente recuperato in mare, ci ha detto di aver visto sua moglie e i sui figli affogare. Era totalmente disorientato e sedeva lì, sotto choc.

Dopo un po’, quando la situazione si è stabilizzata, abbiamo esaminato uno ad uno i casi meno gravi e abbiamo distribuito cibo e acqua. Avevano moltissima sete. Dal momento del naufragio erano passate diverse ore e la temperatura era di circa 40°C.

I sopravvissuti avevano lievi ferite, dolori allo stomaco a causa dell’acqua che avevano ingerito ed erano esausti e traumatizzati. Quelli con cui ho parlato erano rimasti prigionieri dei trafficanti per tanto tempo ed erano generalmente in pessime condizioni. Sembravano malnutriti e anemici.

Ci hanno detto di aver lasciato le coste libiche la sera di mercoledì, al tramonto, a bordo di tre barconi legati l’uno all’altro. Alcuni hanno raccontato che la loro barca ha iniziato a imbarcare acqua. Consapevoli di non poter portare a termine il viaggio in quelle condizioni, hanno provato a tornare indietro. Erano a un paio di chilometri dalla riva e il livello dell’acqua nella barca saliva.

Mentre procedevano verso la riva la barca ha iniziato ad affondare. Molti dei bambini non sapevano nuotare e persino coloro che erano in grado di farlo sono affondati per la fatica.

Le testimonianze oculari delle persone coinvolte nel salvataggio raccontano di aver contato almeno 70 corpi in acqua. I sopravvissuti sono stati soccorsi da pescatori che li hanno riportati a Khoms. Stando alle testimonianze, c’erano almeno 300 persone sui barconi, tra cui 50 donne e bambini. Altre 100 persone sarebbero state su un’altra barca, ma non siamo riusciti a confermare quest’informazione.

Non molto tempo dopo il loro arrivo a Khoms, un altro gruppo di 53 sopravvissuti è arrivato in porto. Una seconda squadra di MSF si è recata sul luogo dello sbarco dove hanno iniziato fornire assistenza medica d’urgenza.

All’una del mattino, un altro gruppo di circa 190 persone è stato portato sul luogo dello sbarco – dopo essere stati intercettati con molta probabilità dalla guardia costiera libica. Erano per lo più sudanesi, eritrei e somali. Tra loro c’era anche un bambino.

Di nuovo abbiamo distribuito cibo, acqua ed effettuato visite mediche. Non è ancora chiaro se queste persone facessero parte del gruppo di 400 persone partito mercoledì o se erano con un altro gruppo ancora. Stiamo cercando di ricostruire la successione degli eventi ma è complicato, poiché nessuna informazione ufficiale o affidabile è disponibile. Le uniche fonti di informazione che abbiamo al momento sono le persone soccorse, attualmente in stato di choc e significativamente traumatizzate. Le persone che abbiamo assistito allo sbarco hanno tutte lasciato il porto, ma non sappiamo dove siano state portate.

Nei prossimi giorni controlleremo le condizioni mediche delle 7 persone che abbiamo trasferito in ospedale. Queste persone non possono essere portate nei centri di detenzione – bisogna fornire loro una sistemazione alternativa sicura o evacuarle verso un paese sicuro.

La maggior parte delle persone con cui ho parlato ieri è reduce di viaggi orribili. Questi sopravvissuti sono traumatizzati e rischiano di essere messi nuovamente in una situazione rischiosa per la loro vita. Prima di naufragare, hanno attraversato il deserto, dove sono stati catturati dai trafficanti, subendo violenze e torture. Poi hanno visto i loro familiari morire in mare e ora rischiano di essere rinchiusi in una prigione in condizioni disumane, o di sparire senza lasciare traccia in un paese in guerra, dove i rifugiati e i migranti sono particolarmente esposti ad allarmanti e ben conosciuti livelli di abusi.

Sono molto arrabbiata ed è difficile accettare che persone che hanno subito una quantità tale di violenza e di traumi, siano trattate in questo modo. Tutto ciò deve finire.

La sofferenza di queste persone è difficile persino da immaginare. Quando ci sei dentro – quando tenti di raccontarla – ti rendi conto che non ci sono parole per descrivere quanto stiano soffrendo.”