Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Pakistan – La Corte di Appello conferma la protezione umanitaria al richiedente e condanna il ministero al pagamento delle spese processuali

Corte d'Appello di Bologna, sentenza del 3 giugno 2019

Foto di Angelo Aprile

Pakistan. Corte d’Appello di Bologna, II^ Sez. Civile. Rigetto dell’appello proposto dal Ministero dell’Interno e conferma dell’ordinanza del Tribunale di Bologna in merito al riconoscimento della protezione umanitaria ex art. 5 co. 6 D.Lgs. 286/98 per l’adeguato grado di integrazione sociale in Italia. Contestuale condanna alle spese secondo il disposto della soccombenza ex art. 91 c.p.c. a carico del Ministero dell’Interno quale parte attrice.

La Corte d’appello di Bologna, II^ Sez. Civile, con sentenza pubblicata in data 3 giugno 2019, ha confermato l’ordinanza resa dal giudice di primo grado riconoscendo ad un cittadino pakistano la protezione umanitaria, rigettando quindi l’appello proposto dal Ministero dell’Interno.
I Giudici della Corte d’appello, in particolare, hanno ritenuto di condividere il giudizio di credibilità già espresso dal Giudice di prime cure e, quindi, che fosse stato superato positivamente il vaglio di cui all’art. 3 co. 5 D.lgs. 251/2007, “avendo lo straniero compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e avendo fornito una versione della propria vicenda semplice, ma lineare”.
In relazione alle doglianze mosse dal Ministero nell’atto di citazione in appello, secondo cui non erano provate né l’identità, né la reale provenienza dello straniero, la Corte ha ritenuto che “l’identità e la provenienza del richiedente è confermata dal fatto che all’udienza avanti il Giudice di primo grado straniero ha affermato di parlare in lingua punjab, parlata comunemente nell’indicato paese di provenienza, ed è stato assistito dall’interprete. Inoltre all’udienza lo straniero ha dimostrato di conoscere nozioni geografiche del Pakistan specificando di essere nato a Koli Kokhra, che questo villaggio è vicino a Sialkot e che per fuggire si era recato a Islamabad”.
Ancora, la Corte ha ritenuto di non condividere quanto sostenuto dal Ministero in ordine alla genericità del racconto, ritenendo “il racconto essenziale, ma privo di contraddizioni e lo straniero ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda rispondendo a tutte le domande […]. Egli ha descritto in modo circostanziato quanto accaduto […] ed ha contestualizzato i fatti, la chiamata alla Polizia, l’intervento delle forze dell’ordine […]”. Di più, la Corte ha rilevato che “contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, dunque, la ragione dell’abbandono del Paese di origine è tutt’altro che sconosciuta e nemmeno basata su motivazioni economiche che il richiedente – che peraltro nel proprio Paese aveva un lavoro – non ha mai addotto”.
In relazione alla assenza di fiducia del richiedente nelle forze dell’ordine del suo paese, la Corte ha precisato nella sentenza di appello di condividere il giudizio espresso dal Giudicante in sede di primo grado, precisando: “il richiedente, rispondendo a precise domande, ha chiarito il motivo di assenza di fiducia nella polizia e la necessità di pagare le forze dell’ordine perchè procedessero ad una attività di indagine […] Il Tribunale, peraltro, ha accertato che l’elevato grado di corruzione della Polizia trova riscontro nelle fonti accreditate del Pakistan”.
In relazione alla tutela umanitaria, in linea con la più recente giurisprudenza di legittimità, la Corte ha valutato il grado di integrazione del richiedente in Italia fondando tale disamina su una “effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani , al di sotto de nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza
”.
Riconosciuta quindi la vulnerabilità del richiedente, data “dall’esperienza fortemente traumatica […] nonché dalla giovane età del richiedente che […] lasciò il Pakistan nel 2013 ad appena vent’anni” e la sua integrazione – “lavora in Italia dal marzo 2016; dal dicembre poi 2018 lavora con un contratto a tempo indeterminato”, la Corte ha ritenuto di riconoscere al cittadino straniero un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Di tutta importanza rilevare come la Corte abbia ritenuto che l’asserita qualità di indagato avanzata nell’atto di citazione in appello da parte del Ministero dell’Interno, relativa ad un accadimento bagatellare che ha visto coinvolto il richiedente all’epoca dell’accoglienza, “non è risultata provata”.
[…] Aggiunge la Corte “la vicenda non ha alcuna rilevanza, si perché è rimasta vaga e indimostrata, sia perché risalente nel tempo, sia perché si tratterebbe di episodio marginale”. Si evidenzia, da ultimo, come la Corte abbia statuito che “ le spese seguono la soccombenza, ex art. 91 c.p.c.”. Quindi, la Corte ha rigettato l’appello proposto dal Ministero dell’Interno all’ordinanza emessa dal Tribunale di Bologna, condannando l’appellante alla refusione delle spese processuali in favore del richiedente.

– Scarica la sentenza:
Corte d’Appello di Bologna, sentenza del 3 giugno 2019