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Somalia – La vittima di tratta ha il diritto al riconoscimento dello status di rifugiata, essendo le donne che rischiano di subire soprusi (legati al loro sesso) un vero e proprio “gruppo sociale”

Tribunale di Venezia, decreto del 19 giugno 2019

Il Tribunale Ordinario di Venezia riconosce lo status di rifugiato ad una cittadina somala, definendo in maniera chiara e puntuale i concetti di “tratta di esseri umani” e di “sfruttamento”, indicando poi i “tipici preliminari indicatori di tratta” che devono essere valorizzati dal giudice.

Nel merito, la ricorrente ha dichiarato di aver lasciato il Kenya nel novembre 2013 e di essere giunta in Italia, transitando per la Libia, in data 15.04.2015.
Nel suo paese la ricorrente non lavorava ed aveva due figli. Ella ha dichiarato che dopo la morte del padre dei suoi figli, tornata dal fratello per il timore di essere ricondotta a casa dei propri genitori, veniva convinta da costui a partire alla volta di Dubai per lavorare come domestica o balia; che una volta giunta a Nairobi e trovate due persone ad attenderla, insieme ad altre sconosciute era stata condotta in aereo in Libia, anziché a Dubai; che da Tripoli era stata condotta a Bengasi, laddove aveva iniziato a lavorare per una famiglia come domestica; che per tale attività lavorativa non percepiva alcuno stipendio, posto che la famiglia in questione aveva già versato “tantissimi soldi” alla persona che l’aveva portata in Libia per comprarla.

Ora, alla luce delle dichiarazioni rese dalla ricorrente, si ritiene che la stessa sia stata vittima di sfruttamento e/o di tratta.
La Direttiva 2011/36/UE definisce la tratta di esseri umani (art. 2)20 “il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggio o l’accoglienza di persone, compreso il passaggio o il trasferimento dell’autorità su queste persone, con la minaccia dell’uso o con l’uso stesso della forza o di altre forme di coercizione, con il rapimento, la frode, l’inganno, l’abuso di potere o della posizione di vulnerabilità o con l’offerta o l’accettazione di somme di denaro o di vantaggi per ottenere il consenso di una persona su un’altra, a fini di sfruttamento”.
Lo sfruttamento comprende “lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro o i servizi forzati, compreso l’accattonaggio, la schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, la servitù, lo sfruttamento di attività illecite o il prelievo di organi”.

Nell’ambito delle “Linee guida per la rapida identificazione delle vittime di tratta e grave sfruttamento” allegate al Piano nazionale di azione contro la tratta vengono individuati quali tipici preliminari indicatori di tratta i seguenti:
– Tragitto che presenta caratteristiche tipiche delle rotte utilizzate dalle organizzazioni criminali dedite alla tratta;
– Difficoltà nel riferire dettagli del viaggio (il tragitto, le modalità, le tappe);
– Mancato pagamento del viaggio;
– Poca chiarezza relativamente al luogo di sbarco o ingresso e ai successivi spostamenti in Italia;
– Presenza di un marito/partner di cui la richiedente riferisce poco o rispetto al quale non è chiaro il tipo di rapporto:
– Assenza di una dimora fissa o ospitalità presso un’amica o amico o, ancora, dimora in una zona conosciuta per il fenomeno della prostituzione, sfruttamento lavorativo o altro tipo di sfruttamento;
– Assenza di passaporto al momento della presentazione della domanda sebbene dal modello C3 risulti che il viaggio sia stato effettuato in aereo;
– Presenza irregolare in Italia da molto tempo della persona richiedente, talvolta senza aver mai svolto attività lavorativa;
– Segnalazioni relative alla persona richiedente successive allo sbarco o ingresso effettuate nel corso di controlli di polizia che potrebbero condurre a presumere l’attività prostitutiva in strada;
– La persona richiedente appare palesemente minorenne ma si dichiara maggiorenne;
– Segnalazioni della struttura di accoglienza che ospita la persona richiedente relative a comportamenti anomali, che possono far ritenere che la stessa sia controllata, subisca minacce o pressioni, o che addirittura sia indotta in una situazione di sfruttamento;
– Atteggiamento, nel corso del colloquio, spaventato, preoccupato;
– La persona richiedente non è accolta nel sistema di accoglienza e non sa riferire di mezzi di sostentamento;
– Racconto contraddittorio o con parziali omissioni.

Ora, nella fattispecie si ravvisano molteplici dei detti indicatori: in particolare, la ricorrente è donna di giovane età, è stata condotta a Nairobi, dove ha trovato delle persone ad attenderla ed un itinerario di viaggio già predeterminato; non ha pagato il viaggio e le è stato requisito il passaporto prima dell’imbarco in aereo; vive presso un’amica conosciuta in un non meglio indicato club; ha dichiarato di svolgere un lavoro saltuario di pulizie in un bar che, tuttavia, non le consente di percepire sufficienti mezzi di sostentamento.

Ritiene il Collegio che tali circostanze siano sufficientemente indicative della possibilità che la ricorrente sia stata fatta vittima di tratta, con la conseguenza che merita riconoscimento la domanda volta ad ottenere lo status di rifugiato.
Si ritiene che la vittima di tratta abbia, infatti, diritto al riconoscimento dello status di rifugiato, trattandosi di forma distinta di persecuzione che può propriamente ricadere all’interno della definizione di rifugiato ex Convenzione di Ginevra del 1951, qualificandosi le donne che rischiano di subire soprusi (legati al loro sesso) quale “gruppo sociale”. Il ricorso deve, pertanto, essere accolto.

– Scarica il decreto
Tribunale di Venezia, decreto del 19 giugno 2019