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Cosa succede, se la Libia chiude i suoi centri di detenzione per rifugiati?

Markus Becker, Mirko Keilberth e Stephen Lüdke - 13 agosto 2019

Nei centri di detenzione libici rifugiati e migranti vengono torturati, ricattati, costretti ad andare in guerra. Da mesi le Nazioni Unite e l’Unione Europea chiedono pertanto che i prigionieri vengano liberati e tutti i campi chiusi.

Nelle settimane passate il Ministro dell’Interno del Governo di unità nazionale libico, Fathi Bashagha, ha annunciato proprio questo. Almeno le persone, che sono detenute nei campi di Misurata, Tadschura e Chums dovrebbero quindi essere rilasciate e poi chiusi i campi. Tuttavia più di una settimana dopo non è ancora chiaro in che modo ciò sia stato già fatto.

– Secondo le informazioni dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) il campo di Chums è stato sgomberato e chiuso già prima dell’annuncio.
– UNHCR e Medici senza frontiere non hanno potuto finora verificare la chiusura dei campi di prigionia a Misurata e Tadschura. Secondo le loro informazioni nei campi sono detenuti ancora migranti.
– Tre testimoni oculari hanno affermato allo SPIEGEL, che almeno alcuni migranti avrebbero lasciato il campo di Misurata. I centri sono sotto il controllo delle milizie – ciascuna con i propri interessi. Spesso decidono loro, e non il governo libico, chi può essere lasciato andare.

Migranti e rifugiati si trovano sempre più in mezzo ai fronti della guerra civile libica.
Nei pressi dei campi a Tadschura e Misurata cadono sempre più bombe. Nella guerra civile si fronteggiano due campi nemici: il governo di unità nazionale del Primo Ministro Fayez Sarraj, che è riconosciuto dall’UE e dalle Nazioni Unite e che dipende dal sostegno di numerose milizie. Dall’altra parte c’è il comandante Khalifa Haftar, che controlla l’est del Paese con una milizia. Lui la chiama Armata Nazionale Libica (LNA) e avanza verso la capitale Tripoli.

Un attacco aereo ha ucciso 53 prigionieri
Il 2 luglio il campo di Tadschura è stato bombardato per la seconda volta nel giro di breve tempo, proprio accanto ad esso una milizia nascondeva armi. Con l’attacco aereo sono morti 53 prigionieri.

Il personale dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite ha teoricamente accesso ai 19 centri della Libia occidentale, in cui sono detenuti circa 5.000 migranti e rifugiati. Nonostante ciò ogni volta gli operatori umanitari devono lasciare i generi alimentari e i medicinali di fronte ai cancelli. Dietro le mura comandano le milizie.

All’interno vi sono spesso condizioni disumane. Anche nei tre campi interessati, che ormai devono essere chiusi, si sono verificati talvolta lavori forzati e violenze. In altri campi sono stati documentati inoltre torture, stupri ed estorsioni.

Le condizioni dall’inizio dell’attuale combattimento su Tripoli sono “peggiori come mai prima d’ora”, ha dichiarata Filippo Grandi, capo dell’UNHCR.

Unione Europea e ONU chiedono “una liberazione ordinata”
La Commissione europea aveva chiesto più volte la chiusura dei centri di detenzione in Libia. L’annuncio di chiudere subito tre di questi è “un’iniziativa gradita”, ha detto un portavoce dell’autorità allo SPIEGEL. “La delegazione dell’UE chiederà in modo mirato alle autorità libiche quali provvedimenti concreti saranno presi per lo svuotamento e la chiusura dei tre campi.” Si lavora con il governo libico anche per chiudere gli altri campi.

Viste le immagini delle vittime di tortura questo sarebbe un successo. Ma cosa accadrà dopo? Nessuno ha un piano concreto per il futuro di migranti e rifugiati. Le Nazioni Unite avevano promosso inizialmente “una liberazione ordinata”. Anche l’UE dovrebbe avere un interesse affinché le persone coinvolte non si ritrovino in strada. Dopotutto essa supporta la guardia costiera libica affinché questa intercetti in mare migranti e rifugiati e li riporti indietro nella guerra civile.

In Libia è pericoloso stare in strada per i migranti. “Con loro si possono guadagnare un bel po’ di soldi – attraverso il lavoro forzato, la prostituzione o l’estorsione ai famigliari nei Paesi di origine”, dichiara Zaccarias. Il trentaduenne lavora per un’organizzazione umanitaria internazionale e preferisce non rendere pubblico il suo cognome.

Zaccarias insieme ad altri volontari assiste continuamente giovani uomini provenienti dall’Africa occidentale, che sono stati sequestrati mentre andavano a lavoro e si sono ritrovati in una delle prigioni. “Le milizie sfruttano il fatto che l’immigrazione illegale in Libia è un reato e che molti libici hanno pregiudizi contro le persone di colore”, dice.

Cosa potrebbe accadere con i rifugiati dopo la loro liberazione
Secondo l’UNHCR ci sono due considerazioni per aiutare i migranti dopo la loro liberazione dalla detenzione. L’UNHCR e altre organizzazioni umanitarie potrebbero sostenerli in aree urbane per quanto è possibile con gli aiuti, ad esempio in un “Centro Comunitario dell’UNHCR”. Oppure il governo libico potrebbe creare dei centri per migranti aperti, in cui le organizzazioni umanitarie e gli abitanti possano muoversi liberamente.

Anche questi piani comporterebbero per queste persone una vita non sicura in una zona di guerra complicata. Tuttavia non si profilano alternative: il programma di reinsediamento delle Nazioni Unite procede lentamente. Dalla fine del 2017 l’ONU, secondo quanto dichiarato dalla stessa, ha trasferito appena 3900 persone in Niger o in Paesi sicuri, che aderiscono all’iniziativa. Anche l’aeroporto principale di Tripoli è ripetutamente sotto attacco. La via di ritorno attraverso il Sahara passa per la linea del fronte.

Molti migranti hanno affrontato finora viaggi a piedi di notte per raggiungere la frontiera tunisina. Tuttavia il campo dell’UNHCR di Médenine, nel sud della Tunisia, è pieno e il governo non vuole creare alcun centro di accoglienza più grande, probabilmente a causa della paura per il boom del turismo sull’isola di Djerba.
Per la prima volta sembra che l’esercito tunisino abbia catturato un gruppo di migranti, riportandoli indietro al confine libico e abbandonandoli a loro stessi. Così riferiscono gruppi per i diritti umani locali così come i media francesi e tunisini.

Solo pochi soccorritori marittimi privati sul posto
Resta la fuga pericolosa in mare verso l’Europa. “Questa è l’unica via per molti migranti e profughi per cambiare la loro terribile situazione”, ha detto Sam Turner, capomissione di Medici senza frontiere per la Libia.

Per finanziare la fuga i migranti devono lavorare generalmente per diversi mesi. Nonostante ciò membri della guardia costiera libica ritengono possibile un aumento dei tentativi di fuga. Così racconta perlomeno allo SPIEGEL Mustafa Abuzeid, comandante della motovedetta “Fezzan”. Lui e i suoi colleghi dispongono di oltre dodici motovedette inviate dall’Italia. Con queste devono trovare e portare indietro le imbarcazioni con i profughi.

Dato che questa guardia costiera viene sostenuta finanziariamente dall’UE, quest’ultima non si occupa più dei salvataggi.

Il capitano Mustafa Abuzeid con la sua motovedetta “Fezzan” deve intercettare migranti e riportarli indietro in Libia

Abuzeid stima che la metà delle imbarcazioni che partono dalla Libia affondano senza essere individuate e senza superstiti. “Le imbarcazioni, che non troviamo in tempo, non hanno alcuna chance”, dice. Quest’estate i trafficanti avrebbero sovraccaricato i gommoni con oltre 200 persone invece che le precedenti 120.

Nel complesso attualmente muoiono meno persone davanti alle coste libiche, perché partono meno migranti. Ma il viaggio è diventato mortale: secondo dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni quest’anno ha perso la vita durante il tragitto un migrante ogni 17.

Oltre alla guardia costiera libica sono sul posto attualmente soltanto soccorritori marittimi privati. L’area di ricerca a largo delle coste libiche è attraversata dalla “Ocean Viking”. La nave di SOS Méditerranée e Medici senza frontiere ha già salvato 356 migranti. La “Open Arms”, nave di una ONG spagnola, ha inoltre 151 profughi a bordo e staziona a largo dell’isola italiana di Lampedusa.

Il totale di 507 persone appartengono ai relativamente pochi, che hanno potuto sfuggire all’orrore in Libia. Tuttavia finora le imbarcazioni di soccorso private non hanno potuto portarli a terra. Malta e Italia negano alle navi l’ingresso in un porto.