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Dal Sudan al Mali, come le guerre climatiche si stanno scatenando nel Sahel

Kaamil Ahmed, Middle East Eye - 19 settembre 2019

In tutto il Sahel le comunità stanno entrando in conflitto per gli spazi, i diritti e le risorse (AFP)

L’autobus per Khartoum ha fornito una via di fuga dall’assedio a Maryam e alle persone del suo vicinato che sono sopravvissute insieme a lei.

Per mesi sono stati perseguitati da uomini armati a cavallo che vagavano per il loro villaggio nel Darfur centrale, costringendoli a restare chiusi in casa e lontano dai loro terreni coltivati. Fino a quando non potevano sopportare più la prigionia e lasciando le loro case hanno affrontato i loro aguzzini.

Hanno sparato e tagliato l’orecchio al fratello di Maryam, Adam. I suoi genitori sono stati uccisi.

Hanno bruciato le nostre case, hanno bruciato le nostre fattorie. Hanno ucciso mia madre perché era in sella ad un asino. Le hanno detto “tu, tu sei una schiava, questo asino non ti appartiene”. Le hanno sparato ad una gamba e poi al cuore”, ha raccontato Maryam al Middle East Eye.
Maryam è stata sfollata quando il suo villaggio è stato raso al suolo dalle milizie Janjaweed (MEE/ Kaamil Ahmed)
Da allora ha passato sette anni vivendo precariamente, vendendo tè sulle strade della capitale sudanese, impossibilitata a tornare nel suo villaggio dopo che era stato raso al suolo dalle milizie filo-governative Janjaweed, che hanno attirato nelle loro fila combattenti provenienti dalle comunità di pastori nomadi del Darfur.

Secondo l’ONU le continue violenze scoppiate in Darfur dall’inizio degli anni 2000 hanno ucciso almeno 300.000 persone, e ciò ha portato alle accuse di genocidio.

Nonostante i miliziani filo-governativi Janjaweed fossero stati schierati teoricamente contro i ribelli, le violenze contro le popolazioni civili hanno rivelato la presenza di un conflitto più ampio che sta diventando sempre più urgente ben oltre i confini del Sudan: un conflitto transnazionale tra comunità di pastori nomadi, che cercano spazio per i pascoli, e agricoltori legati alla terra.

Da quando le violenze in Darfur hanno raggiunto il loro culmine, l’intera regione del Sahel, che si estende da est ad ovest a sud del deserto del Sahara, è stata lacerata da questi conflitti tra pastori e agricoltori causati dalla diminuzione dell’accesso alla terra e alle risorse naturali.

Questo è stato spesso dipinto come un problema di sicurezza o di religione in cui gruppi come Al-Qaeda e Boko Haram hanno approfittato del risentimento dei pastori, ma gli esperti e le stesse comunità sostengono che il conflitto sia dovuto ai cambiamenti climatici e aggravato dalle politiche fallimentari del governo.
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Almeno 37 persone sono stata uccise in 25 episodi accaduti in Darfur nel 2019, secondo quanto riportato dai media locali che hanno anche messo in rilievo i rapimenti e gli stupri avvenuti durante le razzie dei miliziani.

Secondo le stime 50 persone sono state uccise ad agosto nel vicino Ciad, portando alla dichiarazione dello stato di emergenza in due Paesi e alla chiusura del confine con il Sudan.

A marzo, almeno 130 pastori fulani sono stati assassinati in Mali, mentre altri allevatori fulani sono continuamente accusati di violenze in Nigeria.

Sta diventando una questione molto seria in tutta la regione sudanese-saheliana. Credo che abbia delle ripercussioni molto serie a livello regionale. Ha anche conseguenze molto serie a livello internazionale in termini di sicurezza,” ha dichiarato al MEE Abdal Monium Osman, funzionario senior della Divisione di emergenza e riabilitazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO).

La radice del conflitto sta nell’accesso alle risorse naturali che per varie ragioni, ha detto, ha portato le comunità a competere non solo tra loro, ma anche al loro interno.

I mezzi di sostentamento dipendono fondamentalmente dalle risorse naturali e il problema sta nel controllo dell’accesso ad esse. Ogni turbamento che riguarda l’accesso alle risorse ha questo tipo di conseguenze”.

Il più grande esempio di questo tipo di turbamento è stato la grave siccità dei primi anni ’80 che ha causato la morte di più di un milione di persone in Africa orientale e ha visto le comunità del Darfur entrare in conflitto secondo modalità che furono descritte come una guerra civile.

Questo era due decenni prima che i gruppi ribelli del Darfur iniziassero a combattere i Janjaweed, nonostante alcune delle comunità coinvolte fossero le stesse.

Ci sono molte comunità che non si sono mai effettivamente riprese da quella siccità”, ha detto a MEE Alex Orenstein, un’analista freelance che usa immagini satellitari per mappare e monitorare l’ambiente in cui i pastori lavorano.

La siccità dei primi anni ’80, ha detto, è “qualcosa che tutti temono possa accadere di nuovo”.

Le precipitazioni in Africa Occidentale, Sahel e Darfur sono così precarie. Quando si verificano questi periodi senza piogge, ciò comporta costi elevati”.

L’analisi di Orenstein sulle immagini satellitari del Sahel lo ha spinto a mettere in guardia su una potenziale minaccia che si sta delineando tra il Senegal e la Mauritania a causa di una stagione povera di piogge, che rischia di tradursi in una crescita di erba insufficiente per il bestiame al pascolo.

Donne e bambini del Ciad fotografati al campo per rifugiati di Ati il 1° ottobre 1984, dopo essere stati costretti a fuggire dalle loro case a causa della carestia provocata dalla siccità (AFP).

Secondo alcuni analisti il conflitto si riduce ad un fenomeno noto come desertificazione, che descrive l’invasione del deserto nello spazio sempre più ristretto usato dai pastori, costringendoli ad entrare in conflitto con gli agricoltori con i quali competono per le risorse.

Orenstein ha affermato che in anni recenti, almeno alcune parti del Sahel hanno avuto seri problemi legati alla mancanza di precipitazioni, ma che ci sono anche altri fattori che inaspriscono il conflitto.

Ogni anno c’è una zona che non andrà bene. E per alcune zone saranno episodi ricorrenti”, ha detto.

La siccità è decisamente un fattore, la siccità peggiorerà. In Africa Occidentale e nel Sahel non esistono meccanismi che possano proteggere le persone e proteggere pastori e agricoltori dagli effetti della siccità“.

Oltre la sicurezza

Molti di questi stessi conflitti, benché radicati in tensioni e competizioni presenti da molto tempo, sono stati osservati in tempi relativamente recenti soltanto attraverso il punto di vista della sicurezza.

La violenza tra i pastori fulani e la comunità dogon del Mali viene spesso associata ad una ribellione armata che ha avuto luogo nel nord del Paese nel 2012 e che ha coinvolto gruppi accusati di avere legami con Al-Quaeda. Il conflitto che vede coinvolti i fulani in Nigeria viene allo stesso modo associato regolarmente a Boko Haram.

All’inizio di settembre, le popolazioni del Darfur, che abitavano nei campi profughi dopo essere stati costretti a lasciare i loro villaggi a partire dai primi anni 2000, hanno protestato contro il divieto di accesso ai loro terreni agricoli, sostenendo che i pastori li avevano perseguitati ed erano spesso accompagnati da uomini in uniforme su veicoli dotati di mitragliatrici – un’allusione alle Forze di Supporto Rapido (RSF) paramilitari che facevano parte dei Janjaweed.

Osman ha detto che c’è il rischio concreto che queste ostilità di lunga data causate dalla competizione per le risorse vengano militarizzate sia dai gruppi armati che dai governi, e che oltrepassino i confini.

Negli anni ’80 l’armamento dei pastori del Darfur era parzialmente connesso ad un flusso di armi provenienti dalla Libia di Muammar Gaddafi, dirette nel Darfur per supportare i ribelli del Ciad che si trovavano lì.

In tempi più recenti l’ONU ha affermato che l’instabilità della Libia dopo la caduta di Gaddafi aveva permesso ad armi avanzate di arrivare ai pastori attraverso il Sahel.
Con il passare del tempo la situazione si evolve. Inizia localmente, per l’accesso alle risorse naturali, e poi interagisce con altri attori e diventa una seria minaccia per la sicurezza regionale, nazionale e internazionale”, ha affermato Osman, suggerendo come esempio che gruppi come le RSF stavano usando il loro considerevole patrimonio per reclutare mercenari da altre comunità pastorizie.

Ha detto che ciò sta distraendo anche i politici, in quanto i fornitori di aiuti esteri si concentrano sulle questioni legate alla sicurezza che considerano più rilevanti per i loro interessi.

Ciò che vedo in termini di interventi in questa regione deriva più da una prospettiva di sicurezza piuttosto che di sviluppo”, ha aggiunto Osman.

Se guardi agli USA e all’Europa, in questo momento si stanno concentrando molto di più sulla sicurezza, in relazione al fondamentalismo islamico. A meno che non ci sia un cambio di rotta nel modo in cui si guarda a queste problematiche, non vedo una via d’uscita in questo momento”.

Le colpe ricadono sugli allevatori

Se vai su Twitter c’è caos e confusione”, ha affermato Orenstein. “In Nigeria, su Twitter, vedi le persone parlare dei pastori fulani come stranieri”.

La narrazione sul conflitto, in parte a causa del focus sulla sicurezza, spesso dà l’impressione che si debba incolpare gli allevatori aggressivi per il conflitto. La realtà è più complessa.

Anche se i pastori vengono incolpati per le violenze, loro sono allo stesso modo vittime di insicurezza quando le violenze impediscono di raggiungere i loro luoghi preferiti per il pascolo, e il governo non dà ai pastori alcun supporto per mantenere il loro bestiame, nonostante costituisca il 40 per cento dell’economia agricola nel Sahel.

I fallimenti delle politiche governative hanno aggravato inoltre i danni ambientali e la rivalità, così come la marginalizzazione delle comunità lontane dalle capitali dei Paesi coinvolti.

In altri casi, il problema non è tanto la mancanza di risorse quanto i diritti sui terreni, con i pastori che pascolano su terreni agricoli e gli agricoltori che coltivano su terre tradizionalmente usate per la pastorizia.

Uno studio del 2018 dell’Università sudanese di Gedaref ha stimato che l’area di terre comunali usate per la coltivazione in una zona orientale del Sudan è aumentata di sette volte tra il 2000 e il 2014.

Le persone colpevolizzano sempre i pastori,” ha detto Osman, che ha fatto notare che ci possono essere anche conflitti interni all’interno di queste comunità.
Dobbiamo anche guardare all’abbandono storico dei pastori e del sistema pastorizio e la marginalizzazione delle persone che dipendono da questo”.