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Intervista a Claus-Peter Reisch, capitano di LifeLine

Impresa rischiosa nel Mediterraneo centrale

Photo credit: Hermine Poschmann

traduzione di Anna Rottensteiner

Quando andava ancora a lavoro, sognava grandi viaggi in mare. Ormeggi in baie solitarie, tramonti a bordo con un bicchiere di vino rosso in mano e incontri con persone come lui, anche loro in viaggio con le loro imbarcazioni. Più tardi, in pensione, ha navigato dalla Sardegna fino all’arcipelago dell’Egeo e ha trovato tutto quello che aveva sognato.
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Ma poi”, ci dice al telefono “ci siamo confrontati per la prima volta con la realtà. In un porto della costa calabrese abbiamo visto in un angolo isolato i fragili relitti delle barche dei profughi, ex pescherecci libici – ancora la crème de la crème rispetto a ciò in cui ci imbattiamo oggi a largo delle coste libiche. Quantomeno costruite per essere idonee alla navigazione in alto mare, erano cosparse delle cose che le persone avevano lasciato con noncuranza dopo il loro arrivo: bottiglie d’acqua vuote, infradito rotte, fogli spiegazzati e giubbotti di salvataggio“.

Da allora ci siamo chiesti”, ha detto Claus-Peter Reisch, “cosa avremmo fatto se avessimo incontrato da qualche parte in mare un’imbarcazione simile, inadatta per il mare, con cento o più persone a bordo?

Ho sentito al telefono quanto ciò lo avesse scosso. “Sul First 42s7 avevamo posto per dieci, al massimo quindici persone”, ha raccontato. “Cosa accadrebbe agli altri 80 o 100 su un miserabile gommone del genere?”, si chiede. “Per loro non potremmo fare niente, se non fare una richiesta di soccorso.

In sottofondo squillava un telefono, “Sorry”, ha detto, un attimo.

La nostra conversazione è stata interrotta.

Scusa, le redazioni chiamano continuamente e vogliono parlare con me.” Ci siamo accordati per una conversazione più lunga, si spera senza interruzioni, su Whatsapp per domenica mattina. Casualmente è stato lo stesso giorno, in cui le autorità italiane hanno negato l’approdo a Lampedusa alla nave di salvataggio tedesca Alan Kurdi e alla nave italiana di 18 metri Alex, entrambe con a bordo dei profughi salvati in mare.

Al secondo tentativo la conversazione è riuscita.

La prima cosa che lui ha comunicato era una notizia che lasciava sgomenti: “Ci è stato segnalato che sono annegati 86 profughi davanti alla Tunisia. Se ne sono potuti salvare solo quattro. I cadaveri sono arrivati sulla costa. Si potrebbe essere cinici e dire”, ha urlato, “purtroppo non sono arrivati in Italia sulla spiaggia di Salvini. E purtroppo nemmeno a Bruxelles. Sa cosa voglio dire? Questo chiudere gli occhi è semplicemente catastrofico. Ogni persona che muore in mare è una di troppo.
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Claus-Peter Reisch, 57 anni, viene dall’Alta Baviera ed è un pensionato convinto, dopo aver venduto nel 2008 la sua società ben avviata. “Io sono piuttosto borghese, non un dissidente caotico, finanziariamente indipendente.

Come meccanico di auto qualificato e commerciante autonomo aveva da molti anni il brevetto per le navi sportive e dopo la sua esperienza nel porto calabrese si è offerto come volontario all’organizzazione di salvataggio Sea Eye a Ratisbona.

Dopo una formazione accurata è potuto partire presto come capitano con la Sea Eye per un totale di quattro missioni di salvataggio a largo delle coste libiche. Ha salvato molte persone da un mare quasi sempre molto mosso. Il suo quinto e sesto viaggio sono iniziati nel mese di giugno 2018 con un equipaggio di 18 persone sulla LIFELINE, una nave di soccorso di 32 metri dell’organizzazione MISSION LIFELINE di Dresda.

L’ex nave da ricerca scozzese non era inizialmente attrezzata per il salvataggio di profughi in pericolo in mare, ma è stata ristrutturata e poteva accogliere 50 persone più l’equipaggio.

Reisch e la LIFELINE sono diventati noti a livello internazionale a giugno 2018, quando la nave ha cercato per giorni un porto, come è accaduto quest’anno alla Sea-Watch della Capitana Carola Rackete.

Ma nessun Paese mediterraneo era pronto a far sbarcare i 234 profughi presi da due gommoni che stavano affondando. “Il nostro ministro dell’Interno ci ha minacciato all’epoca”, ha inveito Reisch, “che ci avrebbe portato dinanzi alla giustizia. Che a Malta potevano arrestarci tranquillamente. Oggi afferma esattamente il contrario e dà l’impressione che voglia aiutarci – hahaha.

C’era un terzo gommone sul suo radar?”, ho chiesto.

Il terzo gommone errante, nello stesso momento e nella stessa area, non lo abbiamo più trovato purtroppo. La guardia costiera libica aveva ostacolato la nostra azione di salvataggio con le prime due imbarcazioni e voleva per forza prendere le persone già salvate e portarle indietro a Tripoli, ma non ha aiutato nella ricerca della terza imbarcazione. Gli uomini ci hanno bloccato e minacciato troppo a lungo – per la terza barca siamo arrivati troppo tardi.

“È stata un’esperienza borderline sin dall’inizio?”

Esattamente. Con l’equipaggio c’erano più di 250 persone a bordo. Abbiamo attraversato il mare a ovest di Malta e non potevamo ormeggiare da nessuna parte. Dal Centro di Coordinamento per il soccorso in mare (MRCC) a Roma, con il quale durante le missioni precedenti avevamo cooperato molto bene e che avevamo conosciuto come persone amichevoli, educate e disponibili, ci hanno scagliato contro il decreto Salvini: No entrance!

Cosa dovevamo fare con così tante persone sul ponte? Nella cucina di bordo venivano cucinati 500 pasti al giorno: la mattina 150 litri di tè ben zuccherato, poi barrette energetiche da 400 calorie ciascuna. A pranzo c’era couscous con verdure e la sera verdure con riso – tutto da prodotti in scatola, che avevamo immagazzinato. Il riso veniva precotto e mantenuto caldo in contenitori chiusi posti sopra le teste dei cilindri dei motori principali.
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Ride piano: “Avevamo solo troppo poco zucchero. La prossima volta ne porterò 200 chili. Le persone a volte pesano solo 45 kg e hanno bisogno soprattutto di energie.

Sulla nave c’è un piccolo ospedale, ha raccontato poi, con tre postazioni, a bordo ci sono persino apparecchi respiratori e un ecografo – “non era possibile soltanto operare”, ridacchia Reisch. “Inoltre avevamo un impianto di desalinizzazione dell’acqua di mare, che trattava 220 litri d’acqua ogni ora e 14 tonnellate di acqua nelle cisterne.

L’acqua è essenziale a bordo”, dice il comandante esperto. “Ognuno riceveva innanzitutto una bottiglia di plastica con acqua, poi gli veniva spiegato che la bottiglia doveva essere conservata e poteva essere riempita in qualsiasi momento a due rubinetti, uno a prua e uno a poppa. Avevamo 1.500 bottiglie.

Qualcuno ha bevuto subito da due a tre litri di acqua e ha raccontato che per la prima volta dopo tre anni non aveva più sete. Nei centri in Libia, simili a campi di concentramento, c’era sempre troppa poca acqua da bere.

Ci sono esperti di navigazione”, Reisch sbuffa, “che non sanno nulla dei viaggi in mare. Recentemente uno di questi si pavoneggiava in una trasmissione televisiva, affermando che le navi di salvataggio della ONG tedesca potevano arrivare a Bremerhaven e far sbarcare lì le persone salvate.

Che assurdità!” dice Reisch. “Che razza di stupidaggine da parte di idioti ignoranti: come si fa ad andare incontro ad un mare talvolta estremamente mosso con delle persone traumatizzate, che devono stare sedute e sdraiate sul ponte della nave, dove il vento contrario soffia continuamente su di loro, perché non c’è posto sottocoperta?

L’ho sentito sbattere la mano sul suo tavolo.

Vi sono tre zone di aria perturbata, incontro alle quali dovremmo andare: la Nortada che soffia sulle coste del Portogallo e contro il quale la nave dovrebbe bordeggiare. Il tempestoso golfo di Biscaglia, che dovremmo attraversare per direttissima, lontani dalla terraferma senza la possibilità di evacuare i malati. E terzo, l’agitato Canale della Manica, per non parlare del duro Mare del Nord. Come arriverebbero a Bremerhaven queste persone spruzzate dall’acqua salata? Impensabile, che stupidaggine!
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Gli ho chiesto se non avesse avuto paura passando da uno yacht a vela relativamente piccolo al grande colosso d’acciaio come la LIFELINE?

Sai”, dice “era già la mia sesta missione, avevo già guidato altre due navi simili, anche se non proprio così grandi. Una volta che sei uscito dal porto, questo non è più un problema. Devi considerare attentamente soltanto le manovre nel porto, che sono diverse rispetto a quelle con lo yacht.”

Nessuna delle tre navi aveva l’elica di manovra a prua. Perciò doveva ricordarsi le buone vecchie pratiche marittime e agire con molta cautela. La LIFELINE pesa 300 tonnellate, una volta che questa è in movimento non si può fermare così velocemente. “Ma non ho fatto alcun bozzo alla fusoliera.” Ha riso.

Quando le cose si facevano serie, si trattava solo di prendere decisioni veloci, agire e conoscere il pericolo. In questo è stato aiutato dall’esperienza accumulata con le migliaia di miglia marittime che aveva percorso con la sua barca a vela nel Mediterraneo.

Una manovra nelle vicinanze di un gommone completamente traballante con 100 e più persone traumatizzate, che vogliamo portare a bordo, deve essere valutata attentamente. Evacuiamo sempre prima le persone con il nostro gommone stabile e poi li portiamo a bordo, la LIFELINE rimane solitamente a debita distanza.

Per prima cosa portavano i giubbotti di salvataggio – ne avevano 800 a bordo, anche di più piccoli per i bambini. Inoltre scialuppe di salvataggio per la navigazione professionale per 250 persone e 275 coperte per le notti umide sul ponte, “perché le persone devono dormire sul ponte, sottocoperta è pieno di tecnologia.

La nostra conversazione si è interrotta.

Ritorno indietro al 22 giugno di un anno fa.
Questo è stato il giorno in cui la LIFELINE con a bordo 234 persone tratte in salvo non ha potuto attraccare né in Italia né a Malta. “Devono essere stati sei giorni e sei notti estenuanti ”, ho detto.
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Quando il tempo è peggiorato”, racconta Reisch, “e ho dovuto deviare sulla parte orientale di Malta per cercare riparo da una tempesta in arrivo a nord-ovest, c’erano più di cento persone con il mal di mare e cinque erano in infermeria attaccate alla flebo perché erano sempre più disidratate. Avevamo un cardiochirurgo come medico, una anestesista-infermiera e cinque paramedici qualificati. Nonostante ciò, è stata molto dura.

Com’era la situazione dei servizi igienici, con così tante persone?

Avevamo due bagni per gli “ospiti” con docce, che ogni due ore venivano puliti con idro pulitrice e disinfettante. Le persone salvate hanno preso parte ad alcuni lavori in maniera volontaria ed autonoma.”

Il motivo del divieto di entrare in un porto italiano?”, Reisch ride e poi continua. “L’Europa ha lasciato sole troppo a lungo Grecia, Malta, Italia e Spagna.

Dublino avrebbe dovuto essere modificato da molto tempo. Questo è il motivo delle maniere forti di Salvini.” “L’Europa”, sospira, “parla sempre di valori condivisi, mentre qui fuori in mare le persone annegano in modo totalmente contrario ai principi cristiani.

La linea è disturbata. “Non fare entrare nessuno, questa è la ricetta disumana di Salvini per indebolire la Commissione. È assolutamente necessario realizzare finalmente una ripartizione equa. Se non per tutti, allora per quelli che lo vogliono.” Afferma con rabbia il capitano della LIFELINE.

Se ogni volta che una nave con delle persone salvate a bordo vuole ormeggiare da qualche parte inizia una nuova contrattazione, è una cosa patetica per l’Unione Europea premio nobel per la pace.

Questo è anche il motivo per cui i capitani sulle navi alla fine hanno detto “non me ne frega niente, io entro!”, perché altrimenti le persone crolleranno o si butteranno in mare. Che politica è quella che agisce più duramente contro il salvataggio delle vite piuttosto che contro la morte?, ha gridato al telefono.

L’UE fa più per impedire i salvataggi piuttosto che per salvare le persone”, dice citando se stesso. “Ho detto questo davanti alla corte a Malta. Ero davvero arrabbiato”, ha detto cupo, “anche se sono tutto sommato tranquillo.”
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“E come è andata dopo a bordo della LIFELINE?”
Tutto ok, siamo potuti sbarcare a Malta – finalmente! Le persone sono state distribuite in diversi Paesi, la nave è stata sequestrata ed io, il capitano, arrestato. A quanto pare perché la LIFELINE era priva di nazionalità e non aveva documenti corretti. In questo caso viaggiavamo sotto la bandiera olandese e avevamo i documenti del Koninklijke Nederlandse Watersport Verbond”, ha raccontato Reisch.

La procura maltese sosteneva che Reisch fosse entrato illegalmente nelle acque territoriali di Malta con una nave non validamente registrata. “Volevano soltanto fermarci e impedirci di uscire di nuovo in mare e tornare nuovamente con altre persone soccorse.

Tre mesi dopo la federazione olandese gli ha mandato un nuovo certificato uguale in tutti i punti – con un’unica differenza, questa volta riportava la dicitura: Homeport Amsterdam, Flag not applicated. Bandiera non applicata, vale a dire: porto di origine Amsterdam ma senza bandiera.

“L’opinione pubblica sta discutendo se lei sia un eroe o un trafficante criminale – cosa dice in proposito?”

Questa domanda mi fa arrabbiare”, ha sospirato. “Ci sono persone che mi accusano di gestire il turismo marittimo o addirittura un business di gommoni. Detto tra noi: ogni capitano di una ONG ha con sé un bancomat, con il quale può incassare prima che le persone scendano a terra – hahaha”, ride e tamburella pesantemente sul suo tavolo. “Le persone arrivano con nient’altro se non ciò che hanno addosso. Non hanno né valigie né una borsa. E da chi dovremmo prendere soldi? Come? Questo è assurdo.”

Queste accuse esistevano già da quando erano arrivate le prime ONG con le imbarcazioni private. Ma in così tanto tempo non c’è stata una sola prova che abbia dimostrato che ciò sia vero. Inoltre, consiglia caldamente ai saccenti e ai critici di farsi assumere una volta nell’equipaggio di una nave di salvataggio per vedere cosa succede lì.

Quando il piccolo Alan Kurdi, da cui prende il nome la nave di salvataggio Sea-Eye, era stato trovato morto con la sua maglietta rossa sulla subbia della spiaggia di Bodrum e la foto aveva fatto il giro del mondo, questo aveva toccato e scioccato le persone. Le stesse persone se la prendono adesso, quando noi diamo aiuti per la sopravvivenza – quanto è cinico tutto ciò?

“Cosa dicono allora le persone, quando racconta ciò nelle sue conferenze?”, chiedo.
Loro applaudono. Alla fine io lascio sempre quattro foto, ognuna rimane per 15 secondi e non dico nemmeno una parola. Il silenzio ha un impatto più forte di molte parole. Vedo alcuni asciugarsi le lacrime dal viso.
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Ma l’argomento dovrebbe essere più ampio”, dice. “Il cambiamento climatico accelera i tentativi di fuga.” La zona del Sahel continua ad estendersi e spinge le persone ad allontanarsi dai loro terreni e dal loro spazio. “Per questa cosa gli africani non possono nulla”, ha urlato. “L’impronta ecologica di un africano è uguale a zero! Gli aiuti allo sviluppo sono come aspirina per un dente cariato, una misura medica di emergenza! Ma dobbiamo effettuare una devitalizzazione. E la radice del problema è lo sfruttamento degli Stati africani da parte del cosiddetto primo mondo.”

Aggiunge inoltre: tutte le guerre, “che vengono fatte nel terzo mondo, sono combattute con armi provenienti dal primo mondo. Ne è un altro esempio il fatto che noi spediamo i nostri vecchi vestiti in Africa e in questo modo ostacoliamo la sua timida industria tessile. Così come con gli avanzi del pollo, che da noi non può essere venduto perché a noi piace solo il petto di pollo. “Noi mandiamo i rifiuti, che da noi nessuno vuole, nei paesi poveri e con prezzi estremamente bassi distruggiamo l’agricoltura e l’allevamento locali. Gli aiuti allo sviluppo per me sono diversi!” Ride con amarezza. “La guerra è ovunque un motivo per cui le persone fuggono. Ma la semplice miseria è il motivo più forte.”

Dopo una breve pausa, continua: “Dobbiamo continuare ad aiutare, questo è l’imperativo cristiano-occidentale. L’UE è perciò colpevole quando ci blocca nei porti con le nostre navi di salvataggio mentre le persone continuano ad annegare. Quanti bambini devono affogare ancora in mare, perché succeda qualcosa?

Adesso la realtà ha presentato il conto a MISSION LIFELINE e alle altre ONG, dico. Gli attivisti vengono ricoperti di ridicolo e insultati come perbenisti – o persino screditati come trafficanti irresponsabili.
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Io sopporto ogni cosa”, dice, “- cos’altro potrei dire? Naturalmente ci sono pro e contro. Non mi importa se ci sono anche persone critiche, ma non approvo quando mi si offende con dei colpi bassi. Si può discutere di tutto, ma sempre con rispetto e non in modo crudele, subdolo, velenoso e basso. Quando la gente mi insulta come uno stronzo, allora basta. Questo non è ancora successo in nessuna conferenza. Ma su Facebook e altri social network lasciamo perdere, parliamo di altre cose.”

Il suo telefono squilla, lui mette giù, poi richiama. “Volevo dire ancora questo: nel 2018 il 40% dei salvataggi sono stati effettuati dalle ONG, il 60% da parte di navi commerciali e dalle forze navali dell’UE. Ma nessuno ha insultato le compagnie commerciali e i capitani delle navi cargo. Anche delle navi della marina militare hanno tratto in salvo persone su gommoni che stavano affondando. Di questo non ci si lamenta. Solo noi veniamo insultati e attaccati. Salvini ha preso di mira le ONG perché può fare più facilmente perfida propaganda contro di noi davanti ai suoi elettori.

“Due punti ancora”, dico. “Primo il rimpatrio – che ne pensa? Secondo, la nuova nave.”

Un rimpatrio nella guerra civile libica, dalla quale le persone sono fuggite, non è ammissibile secondo la Convenzione di Ginevra (principio di non respingimento, art. 33 paragrafo 1). Parimenti nella Convenzione internazionale per la salvaguardia delle vite umane in mare (SOLAS) al paragrafo 1.1 della regola V/33 si legge che le persone salvate devono essere portate entro un ragionevole lasso di tempo in un posto sicuro. Questo Port of Safety è designato dal Centro di coordinamento del soccorso marittimo, nel nostro caso quello di Roma. Questa – al contrario di quanto pensano molti critici – non è una libera scelta del capitano.”
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Chi viene rimandato indietro in campi di prigionia libici, non ha praticamente nessuna possibilità di uscirne. “A meno che la sua famiglia possa pagare”, dice Reisch. Le donne vengono mandate a prostituirsi e gli uomini nei campi di lavoro. Dicono che a Tripoli nei mercati pubblici i lavoratori forzati vengono venduti per 300/400 dollari. E naturalmente ci sono quelli che malgrado questo hanno il coraggio di rischiare, nonostante non abbiano mai visto il mare né sappiano nuotare. Loro stanno sulla spiaggia di notte, ascoltano l’infrangersi delle onde e chi non sale sulla barca volontariamente viene costretto minacciato da un kalaschnikow. “Ho sentito cose terribili”, continua Reisch.

Non è quindi permesso riportare le persone in Libia? Ma proprio questo viene sempre rimproverato ai soccorritori marittimi privati: riportateli indietro da dove sono venuti!

Dopo il bombardamento di un centro per migranti con 50 morti e più di 100 feriti la Libia dovrebbe essere un Paese sicuro?” chiede Reisch con voce bassa. “La Libia è un Paese in guerra civile, nel quale le persone in attesa e i rimpatriati vengono sfruttati, ricattati, percossi e imprigionati, per fare incassare denaro alla guardia di frontiera dall’Europa.

Dal punto di vista giuridico non è accettabile, il capitano Reisch cita il Professor Alexander Proeßl dell’Università di giurisprudenza di Amburgo.

È esattamente il contrario: chi si astiene dal salvare vite umane si rende colpevole. Questa accusa va direttamente alla guardia costiera libica, che in questa missione ci ha minacciato con grida come “Helper, I kill you!”. Noi abbiamo registrato tutti i messaggi radio”, dice Reisch.

“La mia ultima domanda: avrà una nuova nave?”

”, adesso ride di nuovo, questa volta rilassato e contento. “La nuova nave si trova in Spagna. Non renderemo pubblico il nome e il luogo finché non saremo tornati all’opera, affinché nessun Salvini del mondo possa tenderci un’imboscata da qualche parte. MISSION LIFELINE ha comprato la nave con il denaro proveniente dalle donazioni – a questo punto il mio ringraziamento va a tutti quelli che hanno partecipato. La nuova barca è un po’ più piccola, intorno ai 20 metri e batterà bandiera europea. Al momento è ancora in fase di ristrutturazione: dissalatore, infermeria, cuccette per l’equipaggio, tutto più piccolo rispetto alla LIFELINE, dobbiamo gestire bene i soldi che ci sono stati affidati. Presto saremo di nuovo in missione. Chi abbia interesse e tempo per partecipare, contatti: [email protected].

“Del quasi un milione che Böhmermann e Heufer-Umlauf hanno raccolto per la Sea-Watch e la sua capitana Carola Rackete, non riceverà nulla?”

Questo non lo sappiano, ma abbiamo naturalmente urgente bisogno di supporto finanziario: www.mission-lifeline.de/spenden

Tutte le accuse sollevate contro di lui sono state respinte dal capitano della LIFELINE davanti al tribunale di Malta. “Le nostre sei missioni hanno finora salvato la vita a più di 450 persone – non sono colpevole di nulla e vado davanti al giudice a testa alta”, ha detto con sicurezza alla telecamere prima dell’udienza.

Il mare”, dice alla fine della nostra conversazione “è in grande pericolo. Chiunque navighi solo per il suo divertimento tra Gibilterra e Antalya, si dovrebbe aspettare di doversi confrontare con la realtà – quindi dovrà agire! Meglio che ci abbia riflettuto prima e non inizi a farlo quando è in preda al panico. Il Mediterraneo ha perso la sua innocenza”, ha detto congedandosi il capitano della LIFELINE Reisch. Una troupe televisiva lo aspettava per la prossima intervista.

Dopo mi manda ancora un breve messaggio su Whatsapp: “Che razza di mondo è quello in cui si agisce più duramente contro i salvataggi piuttosto che contro la morte?

Il 21/05/2019 il capitano della LIFELINE è stato condannato da un giudice di Malta al pagamento di una multa di 10000 euro per la presunta registrazione non corretta della nave. Lui ha fatto ricorso in appello. Il salvataggio dal pericolo in mare non dovrebbe essere riconosciuto come reato con l’attribuzione di una multa.
Sette settimane dopo questa intervista, il 2 settembre 2019, il capitano Reisch ha fatto rotta con la nuova nave ELEONORE e 100 persone salvate in mare a bordo verso il porto siciliano di Pozzallo nonostante il divieto di ingresso. Reisch aveva dichiarato lo stato di emergenza a bordo perché temeva una crisi – la nave non era equipaggiata per così tante persone.

Reisch è stato condannato al pagamento di una “multa” di 300.000 euro e la ELEONORE sequestrata. L’organizzazione di salvataggio MISSION LIFELINE ha presentato ricorso, ma ci si deve aspettare che l’atteggiamento duro dell’Italia nei confronti dei soccorritori marittimi privati non verrà cambiato nonostante il cambio di governo – nonostante l’ex Ministro degli Interni Salvini non faccia più parte del Gabinetto. Cinque Stati membri dell’UE hanno già espresso la volontà di accogliere i 104 migranti della ELEONORE. Oltre alla Germania, vi sono Francia, Irlanda, Portogallo e Lussemburgo.

Come andare avanti? “Noi non ci arrendiamo”, ha dichiarato il presidente di MISSION LIFELINE, Axel Steier. “Ci sono già state promesse donazioni per l’acquisto di una nuova nave.”