Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

La carie illegale

Valentina Angotti, El Pais - 10 settembre 2019

Photo credit: Mélodie Fontaine

Se ti chiami Luca, sei italiano, vivi a Bologna e ti fa male un dente, probabilmente cerchi d’improvvisare una diagnosi ed auto prescriverti delle pastiglie fino a che il dolore non diventa insopportabile.

Sarà solo allora che deciderai di raccogliere i tuoi nervi, il tuo boom-boom nella testa ed andare dal dentista. Durante la visita ti curano, il dolore scompare e di lì a poco tornerai a sorridere proprio come prima di intraprendere la tua piccola odissea.

Tuttavia, se ti chiami Ahmad, sei algerino, vivi provvisoriamente a Velika Kladusa, stai provando ad attraversare la rotta balcanica verso il Centro Europa ed hai una discoteca nella bocca che non ti permette nemmeno di parlare, che cosa fai?

Il Centro d’Accoglienza Temporale di Miral, il campo rifugiati a pochi chilometri dal centro di questa piccola cittadina bosniaca, accoglie solo uomini adulti migranti aventi la Carta d’Identità del campo rilasciata dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM).

Se non rispetti tutti questi requisiti non puoi entrare nel campo, non hai diritto al cibo e non hai accesso all’acqua. Però, secondo il protocollo officiale di OIM, avresti acceso all’ospedale del campo gestito da una ONG danese, la Danish Refugees Council (DRC). Tu, Ahmad, non hai un posto assegnato all’interno del campo, vivi in una fabbrica abbandonata ma hai bisogno d’attenzione medica.

All’entrata del campo di Miral, un signore in uniforme pseudo militare allunga la sua mano verso di te con fare d’attesa: vuole vedere il tuo documento – No carta, no campo – afferma minaccioso. Spieghi che non vivi lì, non hai nessuna carta ma che hai solo bisogno di vedere un medico. Lui ti osserva, cerca di leggere fin sotto la tua pelle – Di dove sei? – chiede insospettito. Gli rispondi che sei algerino, convinto che questo dettaglio sia quanto renderà possibile il tuo accesso nel campo. – Algeria? No fuori, date un sacco di problemi voi! – ed inizi a pagare le ingiustizie di un sistema politico informale, silenzioso ed indegno.

Torni al parco con le mani in tasca e il molare al punto di suicidarsi. Fra le tue dita noti un pezzettino di carta e ti ricordi del momento in cui una ragazza ti aveva lasciato il suo contatto Facebook – Se hai bisogno di cibo, vestiti o di andare in ospedale, scrivi a questo numero – disse. Afferri il telefono e titubante mandi un messaggio. Ricevi la risposta qualche ora dopo e l’appuntamento è per domani mattina all’ospedale di Velika Kladusa. Marta, la volontaria, avverte – Sarà complicato. I medici sono stanchi di avere a che fare con i migranti; bisognerà avere molta pazienta e anche un po’ di fortuna.

In ospedale il dottore in effetti insiste sul fatto che tutte le persone migranti sono prese in carico dall’ospedale del campo di Miral, anche quelle sprovviste del documento identificativo rilasciato da OIM.

Fa niente che meno di 24 ore fa ti hanno negato proprio questo diritto; il medico afferma che non è un suo problema. Spiega inoltre che nell’ospedale pubblico c’è da pagare il ticket e forse qualche cosa in più in base alla prestazione fornita. Con fare sicuro, Marta afferma che non ci sono ostacoli a riguardo ma il dottore non molla – DRC prende in carico i bisogni delle persone migranti presso l’ospedale del campo; in coordinamento con OIM.

Pare non ci sia null’altro da aggiungere. Il dottore conclude soddisfatto mentre accenna ad andarsene. Marta però non rinuncia – Dottore, lei sa bene che il sistema s’inceppa fin troppe volte. DRC ed OIM non riescono a coprire tutte le necessità.

Sono giorni che Ahmad non dorme, lui ora è qui e pronto per essere visitato. Può un dottore in un ospedale pubblico rifiutare di visitare un paziente? – domanda Marta con fare combattivo. Il medico vacilla, tituba, svia lo sguardo – Vieni – dice riferendosi a te. Un gesto di Marta ti suggerisce di seguirlo. Tu parli poco inglese, il dottore grida credendo che così, all’improvviso, imparerai una lingua che nemmeno lui padroneggia specialmente bene. Nonostante questo, vi capite. C’è da estrarre un molare e devi tornare venerdì.

Marta paga, ringrazia il dottore ed una volta fuori dall’ospedale inizia a raccontarti come è possibile per lei pagare le tue cure mediche. Ti parla di David, un ragazzo italiano che si sta facendo carico delle tue spese mediche e che da Milano partecipa al programma di salute della ONG No Name Kitchen. L’obiettivo di questa iniziativa è proprio quello di mettere in contatto persone con delle necessità mediche ed altri individui volenterosi di supportarle. Marta ti chiede se vuoi parlare con lui, David ha molta voglia di conoscerti. Prendi il telefono e sussurri – Ciao David, come va? Sono Ahmad…” e la connessione prende vita.

Le volontarie di No Nake Kitchen identificano persone con necessità mediche i cui bisogni dovrebbero spesso essere coperti da OIM e DCR ma che per diverse ragioni ne rimangono tagliate fuori. A volte è per via della negligenza del personale, politiche escludenti, o per una mera incapacità di identificare le necessità sul campo.

Alcuni pazienti ricevono un appuntamento per l’ospedale più attrezzato a circa un’ora di macchina senza la possibilità di essere trasportati per conto di un auto privata, vietato per legge in Bosnia ed Erzegovina. Nemmeno per coloro i quali vi sono fratture degli arti inferiori si attiva il servizio ambulanze, il quale è disponibile sono in caso di rischio di morte. Per tutte queste ragioni, i volontari si infiltrano all’interno di un sistema carente; identificando e supportando quei casi apparentemente senza via d’uscita.

Il 29 aprile del 2019 la Commissione Europea s’ impegnò a destinare 13 milioni di euro par rinforzare il sistema d’accoglienza bosniaco, che include anche i servizi medici.

Da giugno 2019 NNK ha registrato più di 60 casi che l’ospedale di Miral non ha preso in carico, temendo, per logica, che siano molti di più.

sostegno_medico_ita_-_algeria.jpg