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Reportage da Bolzano. Guerra ai poveri e daspo urbano alla solidarietà

A voler guardare le classifiche che ci vengono propinate dal mainstream nazionale, Bolzano risulta la città per eccellenza spiccando nelle prime posizioni tra ciclabili, verde pubblico, qualità della vita, reddito e via dicendo. Poco meno di 107.000 abitanti, una realtà scandinava, un’isola felice dove tutti, o quasi, respirano aria pulita tra boschi e verdi pascoli. Tutti, o quasi.

Tre anni e mezzo fa, dopo una serie di rocambolesche elezioni comunali, viene eletto sindaco un già anziano Renzo Caramaschi, indipendente del PD, in giunta con i Verdi e la Südtiroler Volkspartei (SVP), maggioranza di un consiglio comunale zeppo di fascisti e leghisti dell’ultima ora. Il giorno dopo l’elezione, tra giubilo e gioia, Caramaschi dichiara di voler rendere la città la più videosorvegliata d’Italia. Si sente tronfio e si appella al “mandato popolare”. Inizia così, nella città più ricca d’Italia, e questa è l’unico primato che confermiamo, una vera e propria guerra ai poveri per la sistematica espulsione delle persone “impresentabili” per una smart city a misura di borghese con quartieri studiati e progettati per l’alta aristocrazia cittadina. Il 21 aprile di quest’anno, rispondendo ad un consigliere della Lega sull’installazione di nuove telecamere, Caramaschi afferma che durante il suo mandato “abbiamo speso un milione in telecamere, siamo la città più videosorvegliata d’Italia”.

Le politiche di espulsione sistematica, collegate all’architettura (o urbanizzazione) del decoro, non sono una novità nel panorama europeo. Nelle grandi città francesi, fin dagli inizi degli anni Settanta, le banlieue sono servite proprio da contenitore per le masse più povere, e spesso migranti, liberando così la “città” da soggetti che avrebbero potuto generare degrado sociale. Esperimento ripetuto successivamente, con modalità e progettualità diverse dovute a molteplici fattori, in città come Bologna o Roma dove l’espulsione ha coinvolto spazi sociali e occupazioni (tra l’altro senza soluzioni abitative credibili). E che progressivamente, grazie ad una decennale legislazione sempre più repressiva e alla stagione dei sindaci sceriffo da Gentilini a Cofferati, ha toccato anche le città di provincia, quelle di medie-piccole dimensioni, perlopiù amministrate dal centro sinistra. Lo ha spiegato molto bene Wolf Bukowski nel suo ultimo libro “La buona educazione degli oppressi. Piccola storia del decoro” (edito da Alegre), nel quale si ripercorre come l’adesione della “sinistra” a questi dogmi abbia spalancato le porte all’egemonia della destra. Una perlustrazione dell’«abisso in cui, nel nome del decoro e di una versione pervertita della sicurezza, ci sono fioriere che contano come, e forse più, delle vite umane».

A Bolzano l’ideologia del decoro ha raggiunto l’apoteosi, in una città già percorsa da forti tensioni tra i due principali gruppi linguistici (italiano e tedesco), in un confine poroso, ma alquanto simbolico, e in una tratta di passaggio fondamentale, in particolare per chi migra verso nord.

Dalla primavera del 2017, come delinea un articolo di Antenne migranti redatto un anno fa, l’amministrazione comunale ha messo in atto un processo “che ha trasformato il volto della città, chiudendo e modificando spazi pubblici, invisibile ai più ma ben chiaro ed evidente, e ovviamente non privo di conseguenze, per le persone senza casa”.

Si è trattato di una sequela di sgomberi di piccoli insediamenti informali e di una ansiosa chiusura di spazi pubblici con posizionamento di inferriate, recinzioni e blocchi di cemento, tutte le volte anticipati e accompagnati da una grancassa mediatica che assumeva l’ideologia del decoro e della sicurezza come principale modalità di raccontare la povertà, allarmando con titoli fuorvianti (“assedio”, “guerriglia”, “degrado”, “pericolo per bambini” ecc.) 1 l’intera popolazione. Molti sgomberi hanno colpito luoghi dove vivevano richiedenti asilo, i quali sono costretti a lunghe attese prima di poter formalizzare la richiesta di protezione internazionale e così poter entrare nei progetti di accoglienza o perlomeno nei posti dell’emergenza freddo. Le operazioni della polizia o degli agenti della municipale sono effettuati nel pieno della notte o nelle prime ore del mattino con minacce e metodi violenti, gli effetti personali, i vestiti e le coperte gettati nella spazzatura. Il paradosso è che i posti liberi nel sistema d’accoglienza altoatesino ci sarebbero, ma la modalità di attesa all’addiaccio è applicata scientificamente come deterrente all’arrivo autonomo di nuovi richiedenti asilo, non cogliendo il fatto che i numeri sono bassi e facilmente assimilabili, e che le persone giungono e rimangono lo stesso in città. Che gli amministratori siano così inconsapevoli di questo cortocircuito? Difficile da credere, intanto da metà agosto, addirittura, un mezzo dell’esercito staziona nei pressi della mensa per poveri durante l’orario di cena.

L’ultimo atto di questa escalation è la panacea promossa da Minniti, ripresa da Salvini e fatta propria da Caramaschi: il DASPO urbano. Il dibattito attorno al Daspo ha tenuto banco fin da quando è stato introdotto nel febbraio del 2017 dal Decreto Minniti, fino a divenire realtà dal 16 settembre, grazie alle modifiche in termini restrittivi al regolamento di polizia urbana.

A muoversi nei luoghi “caldi” – spiega un recente articolo dell’Alto Adige – non saranno pattuglie ordinarie ma dei veri “nuclei speciali” addestrati che avranno un elenco dei casi in cui si potrà applicare la misura restrittiva. Il daspo è previsto per tutto il centro storico, il parco adiacente alla stazione e altri luoghi giudicati dall’amministrazione come “sensibili”. Sensibilità verso le centinaia di migliaia di turisti che puntualmente affollano il centro storico cittadino diventato la vetrina urbana di un cambiamento epocale, voluto e sostenuto da tutti gli amministratori locali, a prescindere dal colore politico, che vede in prima fila Airbnb e le grandi multinazionali del cibo spazzatura. Un turismo “mordi e fuggi” che devasta il genius loci, lo spirito del luogo, del paesaggio montano. Concerto di Jovanotti docet 2.

Il clima di “caccia alle streghe” ha portato altri effetti, colpendo anche quelle esperienze di solidarietà che dal basso sostengono le persone povere che vivono nei ripari di fortuna e che non avendo altri luoghi sono costrette a passare le giornate nei parchi cittadini, in particolare in quello adiacente la stazione. Qui, ad esempio, da aprile scorso un gruppo di volontari ogni domenica distribuiva del cibo e bevande ai migranti. Un’iniziativa solidale che come in altre città italiane rispondeva a un bisogno concreto e costruiva un momento di convivialità e incontro. Ma il Comune di Bolzano, a metà settembre, ha pensato bene di invitare i promotori a smettere per questioni sanitarie. In pratica, un Daspo urbano alla solidarietà.

  1. Emblematico a riguardo il caso raccontato in questo articolo: https://www.meltingpot.org/Medioevo-dentro.html
  2. https://www.wumingfoundation.com/giap/2019/09/jova-beach-party/

Stefano Bleggi

Coordinatore di  Melting Pot Europa dal 2015.
Mi sono occupato per oltre 15 anni soprattutto di minori stranieri non accompagnati, vittime di tratta e richiedenti asilo; sono un attivista, tra i fondatori di Libera La Parola, scuola di italiano e sportello di orientamento legale a Trento presso il Centro sociale Bruno, e sono membro dell'Assemblea antirazzista di Trento.
Per contatti: [email protected]

Matteo De Checchi

Insegnante, attivo nella città di Bolzano con Bozen solidale e lo Spazio Autogestito 77. Autore di reportage sui ghetti del sud Italia.
Membro della redazione di Melting Pot Europa.