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Fuoco a Samos: una catastrofe programmata

David Charles, 24 ottobre 2019 - Speciale Are You Syrious?

Isola di Samos, dicembre 2018 la popolazione del campo superava già le 4.000 persone (Photo credit: NoBorders)

Si dice che nelle isole greche il tempo si sia fermato. Le onde sulla spiaggia, il sole nel cielo, i vecchi nella piazza, le stelle. Di certo a Samos il tempo non è più fermo.

Nelle scorse due settimane, rifugiati, attivisti, volontari e cittadini del luogo sono stati sconvolti da una serie di eventi che hanno creato “le condizioni più dure che abbia mai visto a Samos”, dice un volontario di lungo corso.

Samos è uno dei cinque “hotspot” per i rifugiati individuati nell’Egeo orientale, il confine liquido tra la Turchia e l’Unione Europea. Questi hotspot (oltre a Samos, Lesvos, Chios, Kos e Lero) sono stati istituiti nel 2016 come aree di contenzione per chi vuole richiedere asilo in Europa.

Il sistema degli hotspot si basa sul trattenere i rifugiati che arrivano a Samos finché le loro domande non sono state esaminate, un processo che spesso richiede qualche anno. Ma con gli arrivi sull’isola che superano le partenze, il sistema è destinato a fallire.

Il censimento del 2011 ha contato 6.251 abitanti a Samos. I dati più recenti raccolti da Aegean Boat Report sul numero di rifugiati parlano di 6.458 persone, di cui 599 arrivate la scorsa settimana. La capienza ufficiale del campo rifugiati è di sole 648 persone (non è un refuso: seicentoquarantotto).

Con il campo che ospita dieci volte tanti migranti quanti potrebbe e una popolazione di rifugiati pari a quella locale, la vita a Samos è difficile. Tutti sono stanchi.

Il campo

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(Campo di Vathi, Samos, 6 ottobre 2019 – (Photo by RSA – Refugee Support Aegean)
Il campo profughi ufficiale e la giungla di alloggi informali che lo circonda sono in bilico sui pendii scoscesi che sovrastano il villaggio. Prevedibilmente, le condizioni di vita sono terribili: un fatto che si ripete così spesso nei campi di tutta Europa che rischia di sembrare “normale”.

Non ci sono abbastanza tende, non ci sono abbastanza bagni e docce, la sanità è carente, non c’è elettricità o illuminazione, non ci sono cucine o strumenti per cucinare, e non ci sono neanche lontanamente abbastanza rubinetti d’acqua potabile. È normale.

D’inverno, a Samos, piove più del doppio che a Londra. I rovesci trasformano il campo in una distesa di fango. C’è di peggio: fuori dal campo ci sono pochissimi bagni. Questo vuol dire che seimila persone non hanno scelta se non fare i propri bisogni dove capita. Ogni inverno, le tende da quattro soldi dei rifugiati sono trascinate via da un’onda di fango, urina e escrementi.

Giorgos Stantzos, recentemente eletto sindaco di Samos orientale, conosce bene questi problemi. Ma le persone con cui ho parlato in paese dubitano che il loro leader li stia risolvendo. Anzi, alcuni pensano che stia deliberatamente creando condizioni che condurranno a una catastrofe.

L’attacco alle ONG

A Samos, ci sono circa una dozzina di organizzazioni in supporto dei rifugiati, che si sobbarcano quasi tutto il lavoro necessario a dare loro la speranza di un futuro sulla terra, se non proprio in Europa.

Ci sono organizzazioni che offrono assistenza legale, altre che tengono corsi di lingua in greco, inglese, tedesco, francese, farsi e arabo; alcune che cucinano e servono il cibo (meglio non parlare di quello che viene servito nel campo), e altre che organizzano corsi di fitness per bambini ed adulti.

Questi volontari singoli, associazioni del terzo settore e ONG esistono solo finché le autorità locali, guidate dal sindaco Stantzos, sono disposte a chiudere un occhio.

Alle 9:30 di venerdì 11 ottobre, rappresentanti di tutte le istituzioni locali (l’ufficio del sindaco, la polizia, il servizio sanitario, i vigili del fuoco, l’autorità fiscale e quella edilizia) hanno fatto irruzione nelle cucine, negli uffici, nelle aule e nei magazzini delle organizzazioni a favore dei rifugiati.

Avete questo certificato? Avete quella fattura? Dove sono i documenti di quest’uomo?

Queste organizzazioni, finanziate da piccoli donatori come me e te, rischiano multe enormi (fino a 10.000 euro) per la più piccola infrazione: una fattura per i pomodori che non si trova o un certificato edilizio che non sapevano fosse necessario, o che è diventato misteriosamente indispensabile.

Inutile dire che il costo di tali multe sarebbe intollerabile. E poi chi insegnerà inglese, greco o tedesco? Chi aiuterà i migranti ad orientarsi nel labirinto del sistema di asilo? Chi darà da mangiare agli affamati?

È stato uno sconfortante esercizio di potere. E non, come si potrebbe pensare, l’azione di un’amministrazione che vuole garantire le migliori condizioni possibili ai rifugiati sul proprio territorio.

La catastrofe

Poi, lunedì 14 ottobre, al campo è scoppiata una rissa nella fila per il cibo. La solita storia: la frustrazione per le lunghe attese e i pasti pessimi è sfociata nella violenza. Tre uomini siriani sono stati accoltellati e portati in ospedale.

La notte stessa, alcuni rifugiati afghani e arabi hanno iniziato a tirarsi “bombe di gas” improvvisate. I vigili del fuoco sono stati chiamati, ma secondo i testimoni sono rimasti a guardare mentre il fuoco distruggeva il campo, carbonizzando tende e baracche e privando centinaia di persone di una dimora, se quella che avevano prima può definirsi tale.

La polizia ha intimato ai rifugiati di abbandonare il campo e scendere in paese, dove le ONG che solo pochi giorni prima erano state trattate così male dalle autorità se ne sono prese cura (e chi, se no?).

E il sindaco? Ha fatto chiudere le scuole in paese. Un cittadino di Samos con cui ho parlato è furioso: “Che messaggio manda una cosa del genere alle persone? ‘Abbiate paura!’”.
Il sindaco Stantzos non ha provocato la rissa né l’incendio. Ha solo ereditato questo compito erculeo, questa ingrata fatica di Sisifo a giugno, proprio mentre gli arrivi iniziavano ad aumentare di nuovo.

Il sindaco si premura di incolpare il governo greco e l’Unione Europea per il disastro. Ma chiudendo le scuole e attaccando le ONG tramite la burocrazia, sta se non altro contribuendo a creare un’atmosfera catastrofica.
E forse, dato che Atene e Bruxelles danno retta soltanto ai titoli di giornale più sensazionalistici, l’isola aveva proprio bisogno di una catastrofe.

Tutti hanno visto come lo scorso mese il terribile incendio a Lesvos ha provocato veloci trasferimenti sul continente. È davvero così sorprendente che alcuni possano vedere il caos come l’unica possibilità di avere pace?

Lo sciopero della fame e i “permessi aperti”

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(Proteste a Vathi, 18 ottobre 2019 – Photo credit: Noborders))
Nei giorni subito dopo l’incendio, i rifugiati africani hanno iniziato a sabotare la distribuzione di cibo nel campo in segno di protesta per tutta la situazione.
Sabato, il blocco è stato interrotto quando le autorità del campo hanno iniziato a rilasciare preziosi “permessi aperti” che permetteranno ad alcuni rifugiati (perlopiù donne sole e famiglie) di lasciare Samos verso Atene e il continente.
Tristemente, la catastrofe “ha funzionato”.

Il rilascio di “permessi aperti” (che in realtà sono solo timbri sui passaporti) è un passo avanti. Il segretario del ministero della migrazione Manos Logothetis ha dichiarato che entro questa settimana 1.000 persone verranno trasferite dall’isola. Lunedì, 700 rifugiati hanno effettivamente lasciato Samos, ma lo stesso giorno ne sono arrivati 200 su imbarcazioni provenienti dalla Turchia.

Queste sono buone notizie a Samos. La realtà è che anche portar via 1.000 persone riporta solo la situazione a com’era a marzo, già oltre il punto in cui le ONG preannunciavano un “disastro umanitario”.

Vivere sul continente per la maggior parte dei rifugiati è raramente un miglioramento.

Ogni volta che visito i confini dell’Unione che abbiamo creato, la mia opinione si rafforza: non può esserci soluzione a questa crisi finché l’Europa non metterà in pratica una politica sensata di frontiere aperte e libertà di movimento per tutti.

Testo di David Charles, 23 Ottobre 2019, pubblicato il 25 ottobre 2019.