Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

Introduzione al Seminario “Razzismo neocoloniale e antirazzismo decoloniale”

Intervento della professoressa Annalisa Frisina (Università di Padova)

Photo credit: Decolonize This Place (14 ottobre 2019)
Introduzione della professoressa Annalisa Frisina (UniPD)

Il movimento Decolonize this place ha organizzato negli ultimi quattro anni un “Anti-Columbus Day Tour” a New York.
La protesta parte dal Museo di Storia Naturale, perché un obiettivo fondamentale degli attivisti è costringere le istituzioni culturali a responsabilizzarsi e ripensare il modo di insegnare/rappresentare la storia da una prospettiva de-coloniale.

Rename the day. Il secondo lunedì di ottobre non può più essere dedicata a Colombo in quanto “scopritore del Nuovo Mondo” (1492), ma deve essere un tributo alla memoria delle popolazioni native americane che in seguito alla conquista hanno subito un genocidio.

Photocredits: Awen Films
Photocredits: Awen Films

Nell’immagine sopra vediamo un’attivista con un cartello in cui si afferma che Colombo “non è il suo eroe” e nell’immagine sotto altri attivisti sostengono cartelli dov’è scritto che “celebrare il Columbus day è celebrare un genocidio”, “il colonialismo è mortale” e “l’avidità è mortale”.

Photocredits: Awen Films
Photocredits: Awen Films

Remove the statue. La statua del presidente americano Theodore Roosevelt che si trova all’ingresso del museo di storia naturale di NY va rimossa, in quanto espressione del suprematismo bianco.

Respect the ancestors. Il rispetto della cultura dei nativi americani include, ad esempio, un coinvolgimento delle diverse comunità native nelle decisioni museali nord-americane (che cosa esporre dei loro artefatti e come); ma anche comporta farla finita con lo spossessamento delle terre e ascoltare le rivendicazioni di chi lotta per la giustizia ambientale.

Le immagini dell’ “Anti-Columbus day” sono destabilizzanti per molti italo-americani, che hanno fatto di Colombo il simbolo del loro orgoglio italiano. D’altra parte, interpellano anche lo sguardo di chi vive in Italia e di chi ha studiato nelle scuole italiane.
Le nostre cornici culturali attraverso le quali vediamo il mondo sono state decolonizzate? Come viene ricordato oggi Cristoforo Colombo dalle istituzioni italiane?

Nel 2004 il governo Berlusconi ha istituito il 12 ottobre come “giornata nazionale di Cristofero Colombo” per ricordare “la scoperta dell’America” da parte del “navigatore genovese”. Questa lettura nazionalista intrisa di “innocenza bianca” viene proposta anche a livello di cultura popolare, come ad esempio si può leggere in un recente articolo pubblicato su Focus Junior una rivista per ragazzi/e in cui viene spiegato cos’è il Columbus Day e perché si festeggia.

Quali sono allora le statue sulle quali si sta giocando oggi in Italia la contesa de-coloniale?
Durante la manifestazione transfemminista del 2019 le attiviste di Non Una di Meno di Milano (NUDM-M) hanno coperto di vernice rosa la statua di Montanelli presente nei giardini di Parco Venezia. In Italia c’è ancora molto lavoro da fare per decolonizzare l’antirazzismo.

Un esempio emblematico è l’uso del blackface in segno di solidarietà, usato spesso in ambito sportivo in Italia, ma anche all’interno di campagne umanitarie.
Grosfoguel (Ibid., p. 160) ci dice che, “da una visione indigena del mondo”, è “una civiltà che si espande” dal 1492 (anno della conquista dell’America), non è solo un sistema economico.

Gli fa eco Houria Bouteldja (2017, p. 94): Ci dicono 1789 (anno della rivoluzione francese, NdR.). Rispondiamo 1492! Adottiamo il punto di vista degli indiani (sic) d’America. Cosa ci dicono? Contrariamente alle sinistre bianche che spiegano il mondo a partire da quella che chiamano l’espansione capitalista dell’Europa verso le Americhe, gli indiani (sic) dicono che non è soltanto un sistema economico quello che hanno visto irrompere su di loro, ma una globalità caratterizzata dal capitale, dalla dominazione coloniale, dallo Stato moderno e dal sistema etico che loro vi associano, vale a dire una religione, una cultura, delle lingue. In altri termini, nel 1492, ciò che è stato imposto alle Americhe è meno un sistema capitalistico che una civiltà: la modernità (…). Noi siamo degli indigeni della repubblica.

Houria Bouteldja sostiene che l’antirazzismo de-coloniale è irriducibile al conflitto di classe (pur non potendone prescindere) e richiede una rottura radicale. Per mettere fine “allo sfruttamento del Sud” è infatti necessario mettere in discussione i privilegi dei bianchi e anche di quelli come lei, “non del tutto bianchi”, che “sono nello strato più basso dei profittatori” (Ibid., p. 23).

Formiamo questo gruppo di dannati dell’interno, contemporaneamente vittime e sfruttatori. Sarebbe sconveniente confonderci con il grande Sud, poiché effettivamente c’è un conflitto di interessi tra loro e noi, non soltanto per la redistribuzione del bottino, ma anche perché le nostre vite sono protette, gli eserciti stranieri non dettano legge a casa nostra e le bombe non ci cadono sulla testa (…). Noi formiamo un’unità storica e sociale nel Nord. Non ci resta che farne un’unità politica (…). Per contenere gli effetti devastanti della crisi del capitalismo che è anche una crisi di civiltà e partecipare alla transizione di un modello più umano (…) dovremo disfarci della nostra ideologia spontanea: l’integrazionismo (Ibid., p. 96-97).
Rompere la colonialità del potere” (Grosfoguel 2017) è una sfida culturale e politica che ci riguarda tutti e tutte.

Abbiamo bisogno di fare i conti con il passato coloniale, sovvertire l’amnesia e il revisionismo per conoscere da un punto di vista storico critico che cosa fu il colonialismo italiano e riconoscere quel che resta della cultura coloniale.
Assumere una prospettiva post-coloniale significa interrogarsi su un passato che non è del tutto passato, ma si è riconfigurato e influenza il presente. La mancata elaborazione critica dei crimini coloniali commessi in nome di una supposta superiorità razziale è infatti un terreno fertile per le attuali politiche europee discriminatorie e razziste verso i migranti.

Come Miguel Mellino (2019) ha sostenuto, il governo della cosiddetta crisi dei rifugiati in Europa è rivelatorio di un dispositivo di controllo e sfruttamento delle migrazioni più ampio.

Diventa necessario mettere in discussione il razzismo storico e strutturale che caratterizza il management europeo delle migrazioni e riconoscere che anche l’umanitarismo si è adattato alla logica “estrattiva” e “predatoria” del capitale neoliberale.

Rileggendo Hall, Mellino sostiene che il razzismo in Europa oggi vada interpretato innanzi tutto come un dispositivo materiale di gerarchizzazione della cittadinanza, come un elemento fondamentale nella costituzione di un nuovo Stato d’eccezione, come un riordinamento postcoloniale e neocoloniale delle gerarchie razziali della società.

Ogni interpretazione del razzismo come “deficit” di cultura o conoscenza, oppure come il prodotto di un naturale e universale atteggiamento umano (come mera xenofobia), non farà che alimentare (inconsapevolmente) la sua stessa produttività come dispositivo di governo (Mellino 2015, p. 11).

Allora, l’antirazzismo non può ridursi a un impegno “morale o pedagogico”, ma necessariamente passa per la lotta politica.

In questo seminario, i nostri ospiti ci aiuteranno a riflettere su questioni fondamentali, in primis sul razzismo degli stati europei.
Ad esempio, che cosa intendono e pretendono i poteri pubblici con ‘integrazione’?

Passo dunque la parola a Enrico Gargiulo, che ha indagato la civic integration, affermatasi in molti stati europei dalla fine degli anni Novanta, in Italia a metà degli anni duemila. Questo dispositivo si fonda su un ordine morale che distingue stranieri assimilabili e non.
La nostra proposta è di leggere questa distinzione come espressione di un razzismo post e neocoloniale in continua metamorfosi.

Annalisa Frisina