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Permesso di soggiorno stagionale: per convertirlo in lavoro all’interno del quote del decreto flussi è sufficiente aver svolto l’attività lavorativa stagionale per almeno tre mesi

​T.A.R. delle Marche, sentenza n. 688 dell'8 novembre 2019

Ai fini della conversione del permesso di soggiorno per lavoro stagionale in permesso di lavoro subordinato , l’Amministrazione non può esigere lo svolgimento di un periodo di lavoro stagionale, precedente alla richiesta di conversione, superiore al trimestre, anche nel caso in cui il titolo originario abbia durata superiore.

È quanto ha stabilito il Tar Marche in una sentenza dell’8 novembre scorso. Nella fattispecie, essendo il ricorrente beneficiario di un permesso di lavoro stagionale della durata di nove mesi, l’Amministrazione riteneva non integrato il requisito del numero minimo di giornate di lavoro svolto in quanto calcolava la media mensile con riferimento a tutto l’arco di durata del titolo.

Il quadro normativo

L’art. 24, comma 10, del D.Lgs. n. 286/1998, stabilisce che il lavoratore stagionale, che ha svolto regolare attività lavorativa sul territorio nazionale per almeno tre mesi, al quale è offerto un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato, può chiedere allo sportello unico per l’immigrazione la conversione del permesso di soggiorno in lavoro subordinato, nei limiti delle quote appositamente fissate dal decreto flussi.

La conversione è possibile a condizione che il rapporto di lavoro stagionale per il settore turistico – alberghiero sia durato almeno tre mesi o per il settore agricolo sia stato pari in media ad almeno 13 giorni mensili nei tre mesi lavorativi (per un totale di 39 giornate)

La sentenza

A parere dei giudici il quadro normativo risulta chiaro nel pretendere, quale requisito minimo di conversione, lo svolgimento di un’attività lavorativa almeno trimestrale che, a giudizio del Legislatore, costituisce periodo sufficiente per garantire la serietà del rapporto stagionale ed evitare possibili strumentalizzazioni. Non sussistono quindi giustificate ragioni logiche e giuridiche per pretendere lo svolgimento di un periodo di lavoro più lungo del trimestre (o per multipli di trimestre), anche se il titolo di soggiorno ha una validità superiore (come pretende l’amministrazione).

In coerenza con tale disciplina primaria si pongono infatti le circolari ministeriali reiterate nel tempo senza modificazioni sostanziali (cfr., da ultimo, circolare del 9/4/2019).

In esse si legge che “Con riferimento al settore agricolo, le cui prestazioni lavorative dei lavoratori stagionali sono effettuate a giornate e non a mesi, ai fini della conversione dovrà risultare una prestazione lavorativa media di almeno 13 giorni mensili, nei tre mesi lavorativi (per un totale di 39 giornate), coperti da regolare contribuzione previdenziale“.

Anche le fonti ministeriali assumono quindi, come base di riferimento, esclusivamente un solo trimestre (e non multipli di trimestre), pretendendo, in tale arco temporale, almeno lo svolgimento di 39 giornate affinché possa dimostrarsi la serietà del rapporto stagionale ed evitare strumentalizzazioni.

In conclusione, a giudizio dei giudici, il trimestre continuativo di lavoro svolto dal ricorrente nell’anno per un totale di 41 giornate, costituiva requisito sufficiente per accogliere l’istanza di conversione, ferma restando la disponibilità della quota e la sussistenza degli altri requisiti.

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​T.A.R. delle Marche, sentenza n. 688 dell’8 novembre 2019