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Storia di G. Dal lager libico al Cpr di Torino

Di Gianluca Vitale, avvocato Legal team Italia e campagna LasciateCIEntrare

G., un giovane uomo proveniente dal Gambia (ha appena 19 anni), è stato infine rilasciato dal Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Torino, dove era trattenuto da oltre due mesi. Si tratta di un giovane molto fragile, con un durissimo passato nelle carceri libiche, che pur avendo commesso alcuni reati in Italia (piccoli reati legati ad una condizione di fragilità e marginalità) aveva intrapreso e stava seguendo un percorso di inserimento sociale. Il Tribunale per i Minorenni, infatti, anche a seguito dell’intervento della Garante dei diritti delle persone private della libertà di Torino Monica Cristina Gallo (che seguiva da tempo G.), aveva riconosciuto che, pur essendo diventato maggiorenne, il giovane adulto necessitava ed era meritevole di un ulteriore periodo di accompagnamento, disponendo per tale motivo il c.d. prosieguo amministrativo sino ai 21 anni (una misura introdotta dalla Legge Zampa del 2017 proprio per consentite la prosecuzione dei percorsi di inserimento dei minori stranieri non accompagnati, al compimento del diciottesimo anno di età quando questo risulti necessario).

Il giovane, collocato in una comunità di accoglienza dai servizi sociali, avrebbe avuto diritto al rilascio di un permesso di soggiorno vista la sua regolarità, il provvedimento del Tribunale per i Minorenni, il progetto dei servizi sociali; nonostante l’intervento di questi ultimi egli non riusciva però ancora a chiedere il permesso, perché non aveva e non ha un passaporto. Proprio mentre aspettava di ottenere l’identificazione dalle autorità del suo Paese al fine di poter chiedere il permesso di soggiorno, gli veniva notificata un’espulsione perché privo di permesso, e veniva portato al CPR di Torino. Qui i giudici di pace, ignorando le sue richieste e i documenti che venivano prodotti e che dimostravano la sua condizione (di soggetto che pur essendo irregolare aveva diritto al rilascio di un permesso di soggiorno), convalidavano e prorogavano il suo trattenimento.

Il suo rimpatrio era stato organizzato per il 3 dicembre: l’identificazione (da parte delle Autorità del suo Paese), la cui mancanza gli aveva impedito di chiedere il permesso di soggiorno cui aveva diritto, era finalmente stata effettuata, e veniva utilizzata per eseguire la sua espulsione. Il suo rimpatrio avrebbe definitivamente interrotto il suo percorso di inserimento sociale, vanificando il lavoro sino ad oggi fatto dai servizi sociali e pregiudicando ogni possibilità di dargli un futuro.

Poche ore prima di essere imbarcato il giudice di pace che dovrà decidere del suo ricorso contro l’espulsione ha infine sospeso il provvedimento, anche grazie all’intervento della Garante Monica Cristina Gallo, che ha fornito al giudice gli elementi utili alla sua valutazione, ricostruendo il percorso effettuato dal giovane.

Il caso del giovane G. dimostra una volta ancora la necessità di un approfondito esame delle singole posizioni dei soggetti destinatari di provvedimenti di espulsione e trattenuti al CPR per tale motivo, ciò che a volte non viene fatto adeguatamente dalle varie autorità coinvolte nel procedimento. La stessa Direttiva 2008/115/CE, che detta le regole comuni dei procedimenti di allontanamento, prescrive un approfondito esame caso per caso, sancisce che la detenzione amministrativa a fini espulsivi deve essere l’ultima ratio, e consente il rilascio di un permesso di soggiorno ai cittadini stranieri pur irregolari quando sussistono motivi umanitari o di altra natura che sconsiglino l’allontanamento.