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L’Europa chiude gli occhi e il popolo di Lesbo soffre

Ernesto Milanesi, La Difesa del popolo - 5 gennaio 2020

Photo credit: Massimo Sormonta (progetto SenzaConfini) Campo di Moria dicembre 2019

05/01/2020

La Turchia sta lì, all’orizzonte. Un braccio di mare da colmare. In gommone, sopra onde di acqua salata: magari con lacrime di puro terrore. Sbarcano a centinaia lungo la costa di Skala Sikamineas, ogni giorno, perfino a dicembre. Li avvistano i volontari di Lighthouse relief e Refugee rescue, pronti a soccorrere e garantire la prima accoglienza.

Photo credit: Massimo Sormonta (progetto SenzaConfini) Campo di Moria dicembre 2019
Photo credit: Massimo Sormonta (progetto SenzaConfini) Campo di Moria dicembre 2019

L’isola di Lesbo nel mar Egeo per chi fugge da guerre, fame, violenze, equivale – in linea teorica – alla salvezza per aver messo piede in Europa. In realtà, è diventata il lager post-moderno dove galleggiano all’infinito persone abbandonate al loro destino dalle anime belle della nostra Unione Europea.

Si chiama Moria, l’incubo rimosso dal Vecchio Continente che è calamita naturale di ogni nuovo esodo. Ovviamente, i migranti hanno (quasi) tutti il cellulare: conserva la loro memoria sotto le nuvole di Grecia. È evidente che il tempo non passa mai: sono prigionieri in un campo, metà filo spinato e metà giardino del Getsemani. Lo stereotipo del profugo resta impresso negli occhi, anche se a ben vedere si tratta di uomini, donne, vecchi e bambini. Persone letteralmente in gabbia, come quando ritirano i pasti o fanno la fila per le pratiche burocratiche.

Photo credit: Massimo Sormonta (progetto SenzaConfini) Campo di Moria dicembre 2019
Photo credit: Massimo Sormonta (progetto SenzaConfini) Campo di Moria dicembre 2019

Moria è una città a cielo aperto con 20 mila invisibili nell’isola che conta 90 mila residenti. Una sconfinata tendopoli nelle colline di ulivi con troppe discariche di rifiuti e l’odore acre dei fuochi che consumano qualsiasi materiale bruci, riscaldi o illumini. C’è anche il mercatino diffuso: frutta e verdura, coperte sintetiche a 20 euro, bancali indispensabili ad “alzare” le tende, spine elettriche, bollitori, utensili e bevande. Nel campo si sono “attrezzati”: più di un barbiere, forni in stile tandoor per il pane, spazi per i giochi dei più piccoli.

42.421 migranti nelle isole egee

Nella “fortezza Europa”, la Grecia rimane sempre l’anello debole lungo la rotta che dall’Afghanistan e dal Medio Oriente punta verso nord. Il rapporto ufficiale (datato 27 dicembre 2019) del Centro di coordinamento del controllo dei confini contabilizza 42.421 migranti nelle isole del mar Egeo: 21.268 soltanto a Lesbo, dove Unhcr ne segue appena 672 rispetto agli oltre 19 mila censiti nel “centro di identificazione”, sulla carta capace di accoglierne 2.840.

È l’arcipelago della vergogna, dove i diritti umani più elementari evaporano insieme alle identità, alle radici, alle speranze. Altri 7.955 migranti sono a Samos, dove prima di Natale è esplosa una rivolta; 6.144 quelli confinati a Chios, 4.113 a Kos, 2.713 a Leros più altri 228 nelle isole più piccole. La bilancia soppesa la realtà incontrovertibile di una giornata come troppe altre: 229 sbarcati e 42 trasferiti nel “continente”.

Photo credit: Massimo Sormonta (progetto SenzaConfini) Campo di Moria dicembre 2019
Photo credit: Massimo Sormonta (progetto SenzaConfini) Campo di Moria dicembre 2019

Tuttavia, a Mitilene si prova comunque a restare umani. Grazie a Mosaik support center for refugees and locals che dall’estate 2016 è attivo con i migranti: corsi di lingua (inglese e greco, ma anche arabo e farsi), sei corsi di chitarra, un paio di workshop dedicati ai video e un altro allo storytelling. Mosaik è stato visitato anche dal segretario generale di Amnesty international, Kumi Naidoo. In un anno ha aiutato oltre 4 mila persone con le procedure di asilo, le traduzioni e le domande ai servizi sociali. Il bilancio 2018 rendiconta come sono stati spesi 282.640 euro e 4 centesimi, frutto soprattutto delle donazioni.

Umanità dimenticata

Sempre alle spalle del lungomare di Mitilene, dove attraccano i traghetti turchi e le corvette della Guardia costiera greca, gli uffici del Lesvos legal center sono un vero e proprio presidio di difesa dei migranti che con la nuova legge approvata dal governo di Atene ora rischiano la detenzione, il rimpatrio forzato o di essere “regalati” a Erdogan.

«Sono passati due anni da quando sono qui, nel container. Mia moglie e mia figlia hanno ottenuto protezione, ma le hanno trasferite in un’altra isola. Eravamo una famiglia stretta nella morsa delle bombe e dell’incubo di Daesh. Ma ora il nostro futuro è eternamente sospeso, incerto, nero» confessa sconsolato il curdo.

«Vengo dalla striscia di Gaza. Ora sono qui e non è cambiato niente» sospira l’anziana palestinese che condivide le tende con le giovani famiglie siriane, irachene e curde.

«Ho un sogno: poter avere una vera macchina fotografica tutta mia» sorride la ragazzina afgana appena scesa con l’amica del cuore dal bus che fa la spola fra il campo e la città.

Con il buio nel campo di Moria si allunga lo spettro di ogni notte. Donne che tengono il coltello sotto il cuscino. Uomini che temono le bande senza scrupoli. Minori non accompagnati che diventano prede. Bambini che non dormono più, perché muoiono di paura.

Lontano dalle spiagge di Lesbo si può scomparire senza lasciare traccia. Perfino dentro il campo, dove un incendio scatenato da un cortocircuito elettrico non si sa quante vittime abbia provocato. Di certo, un bambino è morto travolto da un camion in manovra. Le voci sussurrate in inglese sono l’eco di risse, violenze, regolamenti di conti. E un profugo dalla zona di Baghdad preferisce nascondere l’immagine votiva che ricorda le persecuzioni subìte in patria.

Photo credit: Massimo Sormonta (progetto SenzaConfini) Campo di Moria dicembre 2019
Photo credit: Massimo Sormonta (progetto SenzaConfini) Campo di Moria dicembre 2019

A 2.577 chilometri da Bruxelles, la catastrofe umanitaria di Moria sembra non far vergognare l’Europa. Cristos Christiou, presidente internazionale di Medici Senza Frontiere (che ha la sua clinica pediatrica), ha gridato: «Quello che ho visto sulle isole greche è comparabile a ciò che accade in zone di guerra o colpite da catastrofi naturali. È scandaloso. Frutto della politica deliberata di punizione collettiva inflitta a persone che cercano la loro salvezza in Europa».

Paradossalmente, i volontari internazionali rischiano processi e galera. Il 10 dicembre la Grecia ha arrestato Salam Kamal Aldeen, nonostante abbia in tasca il passaporto della Danimarca. Ha fondato Team humanity, che fin dal 2015 è in prima linea nel soccorso dei gommoni che approdano a Lesbo. Un tribunale greco lo aveva condannato a 10 anni, insieme a tre vigili del fuoco spagnoli; tutti assolti in appello. Ma ora deve rispondere della nuova accusa, cioè di rappresentare «un pericolo per la pubblica sicurezza». Rischia di essere espulso.

Un pertugio diverso lo mantengono i corridoi umanitari promossi dalla Comunità di sant’Egidio, dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e dalla Tavola Valdese. In 43 erano approdati a Fiumicino: giovani e famiglie con figli e anziani dell’Afghanistan insieme a donne del Camerun e del Togo. Papa Francesco li ha ricevuti alla vigilia di Natale, nella stanza in cui campeggiava il crocifisso con il giubbotto arancione di salvataggio simbolo dell’esodo biblico nel Duemila.

Intanto al campo di Moria continua il “pellegrinaggio” di giovani, attivisti, volontari, studenti che anche qui a Nordest rispondono come possono alla chiamata dei migranti.

Meltingpot Europa

Sono tornati in una trentina a cavallo dell’epifania. I giovani attivisti della campagna umanitaria Lesvos calling hanno risposto all’appello della solidarietà con i circa 21 mila profughi del campo di Moria nell’isola greca dell’Egeo.
Hanno incontrato molte delle 90 decine di ong che operano a Lesbo, partecipato alle assemblee con i migranti, verificato la situazione lungo la costa degli sbarchi a Skala Sikamineas, fatto il punto dei diritti negati con il Legal center Lesvos.
Ma soprattutto la “spedizione” è servita a distribuire il kit per le donne del campo: assorbenti igienici biodegradabili, detergenti e biancheria intima.

Un’iniziativa del progetto Meltingpot Europa, realizzata con la raccolta fondi gestita da Banca Etica: i furgoni sono partiti da Padova per la doppia tappa in traghetto fino al porto di Mitilene. Una volta scaricato il materiale, giorno dopo giorno è arrivato fino al cuore del campo profughi negli zainetti delle ragazze che hanno dialogato – nelle tende e nei container – con le donne che rappresentano oltre un terzo di chi vive a Moria.

Per informazioni: www.meltingpot.org

Ernesto Milanesi

#Lesvoscalling

Una campagna solidale per la libertà di movimento
Dopo il viaggio conoscitivo a ottobre 2019 a Lesvos e sulla Balkan route, per documentare e raccontare la drammatica situazione sull'isola hotspot greca e conoscere attivisti/e e volontari/e che si adoperano a sostegno delle persone migranti, è iniziata una campagna solidale lungo la rotta balcanica e le "isole confino" del mar Egeo.
Questa pagina raccoglie tutti gli articoli e il testo di promozione della campagna.
Contatti: [email protected]