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Trasferimento in Lettonia: annullato il provvedimento dell’Unità Dublino nei confronti di un cittadino pakistano

Tribunale di Roma, ordinanza del 17 ottobre 2019

Il trasferimento del ricorrente causerebbe allo stesso un ulteriore trauma esistenziale e lo esporrebbe a situazioni in cui è sicuramente presente il rischio di subire trattamenti inumani e degradanti.

Nella più recente Giurisprudenza Europea “La Corte di Lussemburgo, adita dal Vrhovno sodišče (Corte Suprema della Slovenia), ribadisce che le norme del regolamento Dublino III, come tutte le altre norme di diritto derivato, devono essere interpretate ed applicate tenendo in dovuta considerazione i diritti fondamentali garantiti dalla Carta e, tra questi, l’articolo 4 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) di cui viene riconosciuto il carattere assoluto.

La novità della pronuncia in esame è dovuta al fatto che la Corte, pur riconoscendo che nella sua precedente giurisprudenza ed in particolare nella sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. c.Secretary of State for the Home Department, si era espressa nel senso che solo in caso di carenze sistemiche nel sistema di asilo dello Stato membro competente si corre il rischio di violare l’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali, supera tale posizione. In questo la Corte giustamente non accoglie l’opinione dell’Avvocato generale, Tanchev, che nelle sue conclusioni afferma che «la Corte non è affatto tenuta a seguire la posizione della Corte EDU in sede di applicazione della Carta» (punto 53 delle Conclusioni) e sottolinea come anche per quanto riguarda le modalità dei trasferimenti, il regolamento in parola è molto preciso e dettagliato, richiedendo precise garanzie nell’intento di evitare che lo stesso possa comportare un rischio reale che l’interessato subisca trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali. La Corte sostiene, inoltre, che sarebbe incompatibile con il carattere assoluto del divieto derivante dall’art. 4 della Carta consentire agli Stati membri di ignorare i rischi concreti di trattamenti inumani o degradanti solo perché questi non derivano da carenze sistemiche nel sistema di asilo dello Stato membro competente. Quindi lo Stato che deve effettuare il trasferimento deve accertarsi, non solo dell’inesistenza di carenze sistemiche, ma anche farlo precedere da precise precauzioni ed ottenere informazioni che possano assicurare che l’individuo ottenga adeguata protezione.” (sentenza del 16 febbraio 2017 nel caso C.K. e al. c. Slovenia, avente ad oggetto il rinvio pregiudiziale riguardo l’interpretazione dell’art. 3 par. 2 e dell’art. 17 par. 1 Reg. n. 604/2013 (c.d.Regolamento Dublino III) e dell’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali con Commento prof. Lina Panella).

Per altro verso risulta in atti che il ricorrente in Italia ha ricevuto cure mediche ed ha iniziato un percorso di integrazione documentato in atti, consistente nella frequenza di corsi della lingua italiana, in un tirocinio per l’avviamento ad una attività lavorativa.

Nel caso di specie pertanto risulta dalla documentazione in atti che il trasferimento del ricorrente causerebbe allo stesso un ulteriore trauma esistenziale e lo esporrebbe a situazioni in cui è sicuramente presente il rischio di subire trattamenti inumani e degradanti con violazione dell’art.3 comma due e dell’art.17 Reg.n.604/2013 UE.
In tale contesto sono senz’altro configurabili i presupposti per l’accoglimento del ricorso.

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Tribunale di Roma, ordinanza del 17 ottobre 2019