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Covid-19 nei Balcani: “Nessuno è al sicuro finché non lo siamo tutti!”

Lettera aperta dal Gruppo di solidarietà Transbalcanica

Photo credit: Martina Perrone (Stazione di Tuzla, Lesvos calling)

In questo momento nella regione dei Balcani si trovano alcune decine di migliaia di rifugiati e altri migranti. Una parte è accolta nei centri d’accoglienza ufficiali, mentre un gran numero di persone si trova fuori dal sistema, sopravvivendo grazie all’aiuto della popolazione locale e al sostegno dei volontari e delle volontarie nell’intera regione. Eppure, con la diffusione del virus COVID-19, la già difficile situazione in cui si trovano sta diventando ancora più grave e richiede l’urgente intervento delle autorità responsabili – attori locali e internazionali – e la solidarietà di tutti noi.

Lo Stato di Emergenza, oggi in vigore in molti paesi della regione, sta venendo usato come leva per mantenere e rafforzare le disuguaglianze sociali, diventando presto fattore scatenante di ulteriore stigmatizzazione e repressione dei più vulnerabili tra noi. Questa emergenza non può diventare un pretesto per continuare con politiche di esclusione, detenzione ed espulsione, che provocano sofferenza e disagio.

La paura che affrontiamo in questi giorni, per le nostre vite e le vite degli altri attorno a noi, per molti rappresenta una realtà quotidiana che ormai va avanti da molto più tempo. L’incertezza attuale ci porta a mettere in discussione in modo radicale quel sistema di gerarchie geopolitiche che attraverso divisioni razziali e di classe ci divide e classifica, producendo una popolazione di persone indesiderate e respinte in tutto il mondo e nei nostri paesi. In queste condizioni non ci resta altro che impegnarci e lottare per l’eliminazione delle differenze imposte in base allo status sociale o di cittadinanza.

Chiediamo quindi l’abolizione di pratiche discriminanti e disumanizzanti, ufficiali e non ufficiali, la cessazione dell’uso della violenza ai confini e la legalizzazione dell’esistenza di tutte e tutti, la chiusura di tutte le strutture detentive e campi sovraffollati che limitano la libertà di movimento e non assicurano basilari condizioni igieniche e umane. Da singole cittadine e singoli cittadini chiediamo l’affermazione dei valori di uguaglianza e libertà, rivendicando e chiedendo a tutti voi di attivarci in azioni di cura e solidarietà.

Allo stesso tempo, nell’ambito delle misure d’emergenza, chiediamo ai governi dei paesi membri dell’Unione Europea, ai governi della regione e a tutte le istituzioni e le organizzazioni responsabili, di garantire che tutti coloro che sono costretti a vivere per strada, in strutture improvvisate prive di condizioni igieniche, o in campi sovraffollati e inadeguati, ricevano sistematicamente alloggi con condizioni umane e sicure anche dal punto di vista sanitario. Chiediamo che siano garantite condizioni di vita adeguate e sane per tutti, che gli edifici pubblici e privati non in utilizzo, comprese le strutture turistiche, vengano utilizzati a tale scopo. In piena pandemia, occuparsi in maniera adeguata di tutti i casi a rischio dovrebbe essere la priorità di ogni politica pubblica ed ogni governo responsabile.

In tal senso, sottolineiamo che l’Unione Europea, specificatamente la Commissione Europea hanno una responsabilità particolare nei confronti dei rifugiati e degli altri migranti “bloccati” nei nostri paesi. Come hanno dimostrato apertamente con le loro recenti azioni sul confine greco-turco e su altri confini, vogliono mantenere rifugiati e migranti fuori dal loro territorio a tutti i costi e con ogni mezzo, anche se queste azioni si traducono in ulteriori violenze e sofferenze.

Chiediamo che nell’ambito delle misure previste e organizzate dalle autorità locali e statali, come di organizzazioni internazionali quali IOM (International Organization for Migration) e i loro partner, che in alcuni paesi della regione hanno assunto un ruolo chiave nel lavoro con la popolazione migrante, con urgenza organizzino e rendano attive squadre mobili per la distribuzione di acqua e cibo, materiale per la disinfezione e per l’igiene, a tutte le persone che ne hanno bisogno e che vivono fuori dai campi. In questo processo devono essere coinvolti anche cittadini e cittadine, senza alcun limite e su base volontaria, seguendo tutte le indicazioni sanitarie di esperti ed esperte, ed epidemiologi ed epidemiologhe.

Chiediamo a cittadine e cittadini, a volontarie e volontari internazionali presenti nella regione e che desiderano aiutare, di rispettare le indicazioni di esperti ed esperte e di epidemiologi ed epidemiologhe al fine di ridurre la possibilità di mettere a rischio se stessi, se stesse, e le persone che vengono aiutate. Facciamo appello affinché tutti lavorino in maniera collaborativa e coordinata. Solo così infatti sarà possibile contenere la pandemia della paura e ridurre seri rischi dei meno protetti.

Inoltre, chiediamo che alle persone che vivono già nei centri di accoglienza nell’intera regione, vengano forniti adeguata protezione e alimentazione di qualità, nonché il soggiorno in condizioni igieniche che garantiscano la dignità umana. Tra di loro vi sono molte persone che rientrano in categorie a rischio, come malati cronici o persone immunodepresse, alle quali è necessaria una cura maggiore. I centri di accoglienza in Bosnia Erzegovina, gestiti da IOM, sono probabilmente tra i peggiori, con condizioni ben al di sotto di ogni livello dignitoso. La maggioranza dei campi è sovraffollata, senza adeguate condizioni che permettano una regolare igiene personale, la regolare fornitura di acqua calda e di acqua potabile, materiali di base per l’igiene personale e disinfezione. I responsabili dovrebbero assicurare queste risorse di base in ogni momento, non solo in una situazione di pandemia.

Chiediamo che vengano coinvolti tutto coloro che hanno risorse e responsabilità per agire: dalle agenzie delle Nazioni Unite e i loro partner, soprattutto IOM che possiede la maggiore autorità, Medici Senza Frontiere (MSF), la Croce Rossa Internazionale (CRI) e le loro commissioni locali, il Consiglio danese per i rifugiati (DRC), Merhamet, Caritas e tutte le altre organizzazioni e gruppi che sono coinvolte nell’assistenza alle persone migranti.

Infine, chiediamo che a tutte le persone senza distinzione venga garantito l’accesso al sistema sanitario senza restrizioni, che le persone migranti non vengano discriminate, e dunque che anche a loro vengano assicurate concrete tutele nell’ambito delle misure di protezione previste per la popolazione. Chiediamo che si renda loro possibile l’accesso alle informazioni, nelle lingue da loro conosciute, affinché sappiano che cos’è e come si propaga questo virus nel micro contesto, come le modalità di contagio e le misure da attuare per tutelarsi. Nella lotta contro una pandemia, escludere una parte della popolazione nelle misure di protezione annulla ogni sforzo fatto per limitarne la diffusione.

I nostri governi sono obbligati per legge ad assicurare le condizioni affinché questo avvenga per tutte le persone a prescindere dal loro status sociale e di cittadinanza, nel caso di cura e prevenzione del COVID-19 si tratta di cure di pronto soccorso.

Pertanto, chiediamo inoltre che il governo renda possibile il regolare trattamento sanitario gratuito per questa popolazione e soprattutto in caso di contagio da virus o in caso di dubbio di contagio. Allo stesso tempo, questa situazione richiede cautela e apertura, mantenendo un sostegno organizzato ai rifugiati, i migranti e tutte le persone a rischio.

Questo ci viene richiesto da principi di elementare umanità e dalle logiche di base della salute pubblica, perché nessuno è al sicuro finché non lo siamo tutti!