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Storie ai margini in tempo di Coronavirus

Alberto Biondo, Borderline Sicilia - 27 marzo 2020

Photo credit: Borderline Sicilia

Tra quelli che in questo momento stanno pagando il conto più salato, vi sono tanti ambulanti, italiani e non, che hanno grossissime difficoltà a tirare avanti. Come ci dice Munir: “Non stavamo bene economicamente neanche in condizioni normali, pensa adesso… Se riusciamo a mangiare è perché ci sono amici che ci sostengono e perché ci sono le mense per i poveri, altrimenti non saprei come comprare il latte, il pane e la pasta, e quando finirà, spero presto, non immagino come sarà il futuro: abbiamo tanta paura”.

La stessa situazione la vivono tantissimi, italiani e non, privi di un contratto di lavoro che fino a prima dell’emergenza andavano avanti con lavori saltuari che gli permettevano di portare a casa quei soldi necessari per sfamare la famiglia e che oggi si ritrovano senza il minimo per vivere. Oggi come ieri, nessuna misura di sostegno a queste persone.

“State a casa”, può farlo solo chi una casa ce l’ha.

Paradossalmente, in questi giorni sono proprio coloro i quali una casa non ce l’hanno, che prendono più sanzioni, come ci ha raccontato Michela, una senza dimora che da anni vive per strada a Palermo: “Mi hanno fermata chiedendomi l’autocertificazione, ma figurati, neanche sapevo che cosa era. Mi hanno detto di tornare a casa e io ho detto al poliziotto più vecchio che potevo andare a casa sua se mi ospitava, perché non ho una casa. Hanno continuato a dirmi di andare a casa fino a quando mi hanno fatto la multa, che è finita nell’immondizia, perché non ho nulla e la mia casa è la strada. Magari mi arrestassero, così dormirei in un letto”.

Piovono denunce anche su alcuni braccianti migranti di Campobello di Mazara, che, fermati mentre andavano nei campi, sono stati portati in caserma, per poi essere rilasciati poche ore dopo con una denuncia. Hanno fatto ritorno all’ex cementificio dopo che lo sgombero è stato bloccato, ma senza che i comuni interessati o altre istituzioni abbiano previsto interventi seri. Gli unici che hanno fatto qualcosa sono stati la Croce Rossa che ha donato del cibo e i volontari del presidio di Libera di Castelvetrano che si sono occupati della sua distribuzione.

E non dimentichiamo le badanti: in tantissime licenziate perché adesso non c’è più bisogno di loro, visto che molti familiari sono dentro casa. Come ci racconta Faria: “Mi hanno detto di non andare più – dopo due anni che stavo da loro – perché hanno paura che li contagio, visto che per mezza giornata a settimana tornavo a casa per vedere mio figlio”.

Ci chiediamo poi come sia possibile in questo momento in cui è obbligatorio restare a casa, fare uscire le persone dal CPR senza che venga data una “ospitalità emergenziale”, buttandole in strada e lasciandole vagare senza meta. “Ho chiesto aiuto, ho detto di non avere un posto dove andare dopo 12 mesi chiuso ‘in carcere’ senza motivo, senza un soldo. Spero che mi beccheranno presto in strada, così magari mi riportano al CPR che sì fa schifo – il letto è qualcosa di vergognoso, ho più probabilità di prendermi il virus dentro le celle che in strada – ma almeno non muoio di fame”. Queste le parole di Keba, un altro numero che non conta niente in questo momento.

La situazione nei centri

La stessa sorte è capitata ad alcuni ragazzi che avevano concluso l’iter dell’accoglienza nei CAS e, dopo aver ritirato il permesso di soggiorno, sono stati messi alla porta dalle prefetture e lasciati per strada.

Soltanto tre giorni fa la prefettura di Palermo, a seguito della direttiva del Ministero dell’Interno, ha inviato una nota a tutti i responsabili dei CAS, in cui si determina la necessità di assicurare la prosecuzione dell’accoglienza anche a coloro che non hanno più titolo a permanere nei centri. Nota che altre prefetture non hanno neanche provveduto ad inviare ai centri, generando molta confusione e creando molta tensione fra i pochi operatori rimasti e gli ospiti. “O vi calmate e non protestate oppure chiudiamo e restate in mezzo ad una strada”, queste, secondo il racconto di alcuni ragazzi, sono state le parole di un responsabile di un CAS, dopo le loro richieste di cibo, visto che scarseggia, e di mascherine e guanti per la loro sicurezza.

CAS in cui mancano i presidi, e dove ospiti e operatori sono lasciati in balia degli eventi. Enti gestori che molto spesso non hanno stampato le autocertificazioni che devono avere sempre coloro i quali escono per lavorare. Un abbandono totale, in cui il peso e le responsabilità sono lasciate agli operatori di buona volontà come Massimo, che lavora da anni ad Agrigento: “Non ricevo uno stipendio da 15 mesi, e non penso che la mia cooperativa non prenda soldi da così tanto tempo. Non abbiamo guanti e mascherine, a malapena abbiamo il detersivo scadente per il pavimento e io, pur di continuare a stare con queste persone e tenermi il lavoro, ho deciso di affittare un b&b, perché ho paura di infettare la mia bambina e la mia compagna, se dovessi prendere il virus. Così al momento ci vediamo dal balcone”.

L’emergenza Covid -19 consolida la prassi dell’accoglienza in deroga

In questo momento si stanno aprendo centri in emergenza, ossia senza bando. Dopo l’apertura dell’albergo a Porto Empedocle per la quarantena dei migranti arrivati a Lampedusa (dato in affidamento alla cooperativa Acuarinto, la stessa che gestiva da tempo Villa Sikania tramite la controllata associazione Cometa, e che continuerà ad operare fino a nuove disposizioni), altri CAS verranno aperti in vista della fine della quarantena delle 26 persone rinchiuse all’hotspot a Lampedusa, così come dei migranti arrivati a Pozzallo. La prefettura di Palermo, per esempio, ha chiesto la disponibilità alle cooperative convenzionate di aprire altri centri.

Nel frattempo succede anche che dei centri chiudano a causa delle dimissioni di tutti gli operatori, come successo ad una comunità per minori stranieri a Palermo. Il Comune ha dovuto fare i salti mortali per ricollocare i ragazzi che, in questo momento, non tutti hanno voluto accogliere per paura del virus.

Per fortuna, ogni tanto, oltre alle telefonate piene di angoscia ci arriva qualche nota di speranza che viene sempre da posti inaspettati. Vogliamo riportare le belle parole che ha scritto Amadou, ospite in un centro per minori in provincia di Agrigento:

O mia bella Italia, terra della speranza.

Sei venuta in mio soccorso nel profondo mare blu quando la mia speranza era completamente persa e le barche stavano affondando, la gente stava annegando e la morte era vicina.

Improvvisamente, una nave si presentò con la bandiera italiana.

Ci hai salvato tutti nella tua terra di latte e miele, ci hai dato riparo, vestiti e cibo.

Hai dato lavoro ad alcuni e l’opportunità ad altri di fare qualunque cosa li nutra.

Ogni volta che mettiamo in atto o violiamo le tue Leggi, hai sempre provato giustizia con misericordia.

Non c’è da stupirsi che ti chiamano la terra madre.

La tua semplicità come paese ha portato luce e felicità per così tante case in Africa, in Gambia e in tutto il mondo.

Mi spezza il cuore vederti giù, perdendo i tuoi cittadini ogni giorno e notte.

L’Italia è il mio argento e oro che non devo dare in cambio…

Hai fatto tanto per me e per i miei compagni africani, voglio stare con voi in questo momento difficile del vostro sobrio riflesso…

Questa tempesta sarà presto finita…

Il vostro dolore potrebbe durare tutta la notte, ma la vostra gioia deve essere ripristinata nel buongiorno…

Vi amo tutti italiani. Prego per l’Italia. Sto con l’Italia. L’Italia deve superare tutto questo.

Il mio paese è Italia”.

Alberto Biondo, Borderline Sicilia