Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
//

No, i richiedenti asilo di Pisa non pretendono di andare al ristorante

La storia emblematica di una protesta raccontata dai media in maniera inesatta, incompleta e pretestuosa

Una storia perfetta per giocare sugli equivoci e sparare qualche bel titolone ad effetto, oltre che xenofobo e razzista, sulle prime pagine dei giornali. Così è stata raccontata nei giornali italiani la protesta dei richiedenti asilo di Pisa “in rivolta in strada in barba a pandemia e decreti perché non vogliono la spesa a domicilio”, come titola il Secolo d’Italia del 9 aprile. E, per buona misura, apre con un bel “Paura a Pisa” e correda l’articolo con una foto falsa. O meglio, decontestualizzata, perché non riguarda la vicenda in questione e non è neppure stata scattata nel pisano, ma si sposa perfettamente con le solite fake news cavalcate dalla destra che vuole i migranti tutti in buona salute, eleganti e… viziati come figli unici.

I migranti accolti nel Belpaese si ribellano alle restrizioni imposte a loro, come a tutti gli italiani, per l’emergenza coronavirus” scrive il Secolo. “Le regole da prevenzione epidemiologica non valgono solo per i cittadini italiani ma per ‘chiunque’ si trovi in Italia” sottolinea il commissario della Lega Giovanni Frullano al cronista de Il Giornale: “Se questi sono i risultati dell’integrazione, dobbiamo certamente preoccuparci e non avere speranza”. Il quotidiano Libero addirittura si appella alla democrazia e all’uguaglianza per spiegarci che i richiedenti asilo di Pisa non hanno nessun diritto di lamentarsi: ”Gli uomini sono tutti uguali ed anche la legge vale per chiunque senza nessuna distinzione tra gli uomini”. E continua invocando pene severe per i trasgressori perché “il blocco stradale in Italia è un reato. E le leggi non valgono solamente per gli italiani”. Facciamo grazia dei commenti dei lettori sotto gli articoli che spaziano allegramente tra espulsione immediata, pena di morte e forni crematori.

Ma cosa è successo davvero a Pisa? Ce lo raccontano gli stessi immigrati in una nota inviata ai giornali per invitarli a raccontare le cose in maniera completa e non pretestuosa. Nota che, peraltro, non ci risulta sia stata ripresa da qualche media.

“Il giorno 1 aprile, come conseguenza della grave emergenza dovuta alla pandemia, la Prefettura di Pisa ha deciso di sostituire l’abituale erogazione dei buoni spesa con un servizio di consegna di generi alimentari a domicilio. Pur comprendendo i motivi di eccezionalità che l’avevano imposta, ci siamo opposti a questa decisione per i seguenti motivi: molto prima dell’arrivo del Covid-19, come conseguenza del Decreto Sicurezza, ci sono state tolte le ‘carte’ (ticket spesa) per l’acquisto di vestiti e medicinali. Ricordiamo che senza il ticket i medicinali non possiamo acquistarli autonomamente in farmacia, ma dobbiamo necessariamente andare in ospedale e questo impatta in maniera grave sulle nostre vite”.

“Poi è iniziata l’emergenza sanitaria e le conseguenti misure restrittive decise dal governo. Tutti noi siamo preoccupati per la nostra e la altrui salute e cerchiamo di osservare correttamente le norme ma incontriamo grandissime difficoltà. Abbiamo ricevuto le mascherine solo pochi giorni fa, ma non indicazioni precise tradotte nelle nostre lingue, cosa indispensabile per chi tra noi ancora non capisce bene l’italiano (ricordiamo che, sempre in seguito al DL sicurezza, l’apprendimento della lingua italiana non è più assicurato all’interno dei centri). Nei centri di accoglienza non abbiamo gli spazi per mantenere la distanza di sicurezza, alcune strutture ospitano 50, 100 o anche più persone e se una persona fosse contaminata, lo saremmo tutti. A fronte di queste condizioni, la Prefettura ha deciso, per garantire la sicurezza, di toglierci i buoni per la spesa. Siamo pronti ad accettare questa misura di prevenzione, ma allo stesso tempo chiediamo che vengano messe in sicurezza le strutture in cui viviamo”.

La protesta dei migranti quindi va proprio nella direzione chiesta dall’emergenza sanitaria perché chiedono che a loro, come a tutti gli italiani, venga data la possibilità di evitare di contagiarsi o di diffondere il contagio. I buoni spesa? I migranti hanno solo chiesto che la loro rimozione sia limitata all’emergenza, dicendosi più che disposti a ricevere i pasti già confezionati o i generi alimentari a casa, fintanto che il Coronavirus costituirà un pericolo. “Non vogliamo che l’emergenza sia strumentalizzata per mettere in atto la loro rimozione permanente così come è successo con i buoni per i medicinali e i vestiti eliminati da tempo”. Cosa che la Prefetture di Pisa si è già impegnata a fare, dichiarando in una nota ufficiale inviata alle cooperative che gestiscono centri, che la sostituzione dei buoni con la spesa a domicilio è da intendersi come una soluzione temporanea legata alle disposizioni emergenziali. Tutto qua. Il resto è solo malafede.

La strumentalizzazione che certi giornali hanno fatto della vicenda è evidente anche dall’uso di certe parole – spiega Renata Longo, attivista della scuola di italiano Idansè Benvenuti di Pisa -. Molti media hanno usato il termine ‘buoni pasto’ invece che ‘buoni spesa’, lasciando intendere che i migranti, alla faccia degli italiani costretti a rinchiudersi a casa, protestavano perché volevano continuare ad andarsene in giro per la città a pranzare e cenare nei ristoranti!”.

Riccardo Bottazzo

Sono un giornalista professionista.
La mia formazione scientifica mi ha portato a occuparmi di ambiente e, da qui, a questioni sociali che alle devastazioni dei territori sono intrinsecamente legate. Ho pubblicato una decina di libri tra i quali “Le isole dei sogni impossibili”, edito da Il Frangente, sulle micronazioni dei mari, e “Disarmati”, edito da Altreconomia, che racconta le vice de dei Paesi che hanno rinunciato alle forze armate. Attualmente collaboro a varie testate cartacee e online come Il Manifesto, Global Project, FrontiereNews e altro.
Per Melting Pot curo la  rubrica Voci dal Sud.