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Speciale di AYS da Lesbo: COVID-19 e un’isola che sta per scoppiare

Joel Hernàndez, Are You Syrious? - 29 marzo 2020

Un residente di Moria indossa una mascherina ricavata da una coperta dell’UNHCR a fine marzo. Foto: Milad Ebrahimi, ReFOCUS Media Labs

Sabato 7 marzo, dopo settimane di tensioni crescenti contro le ONG sull’isola greca di Lesbo, è scoppiato un incendio al centro comunitario One Happy Family, che ha distrutto la School of Peace e danneggiato la sala principale dell’OHF.

Le settimane successive all’incidente sono trascorse in un lampo. Il COVID-19 ha preso d’assalto il mondo intero, minacciando le persone in tutto il pianeta ma soprattutto coloro che vivono in luoghi insalubri, come ghetti urbani o campi per rifugiati, dove il sovraffollamento e le carenti condizioni igieniche rendono praticamente impossibile il lavaggio frequente delle mani e il mantenimento della distanza di sicurezza. In più il 16 marzo, mentre a Lesbo cresceva la paura per il COVID-19, un altro incendio scoppiato nel campo rifugiati di Moria ha ucciso un bambino.
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La School of Peace la mattina dopo l’incendio. Foto: Douglas F. Herman

Il COVID-19 ha raggiunto la Grecia e Lesbo è al punto di rottura. Di fronte a questa pandemia è essenziale che le autorità, le comunità locali, i richiedenti asilo e le ONG, lavorino a stretto contatto per contenere il rischio di contagio. Se non ci sarà una collaborazione produttiva, l’epidemia causerà danni incalcolabili sull’isola.

Escalation

Dall’inizio del 2020 le tensioni sono cresciute in maniera drammatica a Lesbo.
Dopo aver promesso di rivedere le politiche di immigrazione del paese e alleviare la pesante situazione delle isole greche, il nuovo governo greco ha faticato a portare a termine la parola data. Aveva promesso 10.000 trasferimenti in un anno ma ne ha effettuate meno di 500. Aveva promesso di decongestionare le isole, ma sotto la sua direzione il numero dei richiedenti asilo è raddoppiato da 20.000 a 42.000.
Aveva promesso maggiore solidarietà da parte dell’UE, ma dopo mesi di ostruzionismo ha ricevuto solo proposte di trasferimenti, insignificanti e alla fine annullati.
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I richiedenti asilo colpiti con gas lacrimogeni fuori da Mytilene durante una manifestazione il 3 febbraio. Foto: Douglas F. Herman

Alla fine cinque anni di frustrazioni sono scoppiate a Lesbo nel febbraio 2020, con le autorità greche, gli abitanti delle isole, i richiedenti asilo e le ONG che rilevavano gli stessi problemi ma richiedevano soluzioni diverse ed incompatibili.

Alla fine del mese la Turchia ha soffiato sul fuoco annunciando che avrebbe aperto i suoi confini ai richiedenti asilo che volevano arrivare in Europa. Quando gli arrivi hanno raggiunto il picco nei territori e ai confini della Grecia, anche la tensione ha raggiunto quota massima.
Gli abitanti locali hanno innalzato barricate a Lesbo, bloccando l’accesso a Moria ai volontari, giornalisti e anche alle autorità greche.
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Membri della comunità che manifestano a Sappho Square durante uno sciopero generale alla fine di febbraio. Foto: Douglas F. Herman

Anche se le persone che presidiavano le barricate erano diverse e alcune avevano presentato rimostranze comprensibili, le loro resistenze sono state velocemente dirottate da gruppi estremisti che hanno preso di mira volontari e giornalisti con spaventosi atti di violenza.

Nelle settimane successive le persone ai checkpoint festeggiavano per aver ripreso il controllo, sperando che le ONG se ne sarebbero andate e i richiedenti asilo smesso di arrivare.
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Ferita alla testa di un giornalista attaccato mentre lavorava a Lesbo all’inizio di marzo. Foto inviata in forma anonima dalla vittima. Auto noleggiata da volontari a Lesbo danneggiata a fine febbraio. Foto inviata in forma anonima dalla parte lesa.

Questo genere di violenza è stata tutt’altro che universale o totalmente rappresentativa di Lesbo. Infatti, con l’aumentare delle tensioni, il consiglio municipale di Skala Sikaminea nel nord di Lesbo e l’Unione dei medici professionisti di Lesbo hanno denunciato il clima di paura e violenza che aveva invaso l’isola. Tuttavia il danno era stato fatto. Temendo per la loro sicurezza, molte ONG hanno lasciato Lesbo a fine febbraio. Anche se OHF e la School of Peace sono rimaste, poco dopo hanno dovuto chiudere a causa delle preoccupazioni per il COVID-19.

One Happy Family e la School of peace

One Happy Family è uno dei centri comunitari presente da più tempo a Lesbo. Negli ultimi anni centinaia di richiedenti asilo hanno usufruito di moltissimi servizi offerti dal centro. Il barbiere, il giardino comune, la palestra, l’asilo, la libreria, la clinica legale, lo spazio dedicato alle donne, il bar. La School of Peace da parte sua si è messa al servizio di migliaia di bambini ed adulti a partire dalla sua fondazione a febbraio 2017, offrendo educazione linguistica, matematica e educazione alla pace.
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Cena dell’Ifthar all’OHF durante il Ramadan a maggio 2019. Foto: Mohammed Hennawi, ReFOCUS Media Labs

Mentre offre supporto vitale ai richiedenti asilo, nel corso degli anni OHF e la School of Peace hanno anche assorbito le pressioni provenienti dal resto dell’isola. Questo ha prodotto un valore numerico specifico per Lesbo: ogni giorno da 500 a 100 richiedenti asilo trascorrono la loro giornata a OHF senza ripercussioni in altre parti dell’isola. Ogni giorno da 100 a 150 bambini imparano, guariscono e si preparano a passare all’educazione formale mentre il loro percorso di richiesta asilo va avanti.
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Lezioni di inglese presso la School of Peace. Foto: @ s.ahmad_ebrahimi, ReFOCUS Media Labs

È improbabile che la School of Peace, una struttura semplice senza connessione elettrica ad alto voltaggio o rete del gas, sia potuta andare a fuoco accidentalmente. Infatti sabato 21 marzo le autorità hanno confermato che l’incendio è stato doloso. Tuttavia, a causa dei frenetici aggiornamenti sul COVID-19, questa notizia ha avuto pochissimo risalto nei media.
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Un quaderno per bambini tra le ceneri della School of Peace. Foto: Douglas F. Herman

Covid-19 arriva in Grecia

Il primo caso di COVID-19 è stato registrato in Grecia il 26 febbraio a Thessaloniki. Con l’aumento della diffusione le autorità greche hanno velocemente limitato gli spostamenti e imposto misure di distanziamento sociale. Queste includono misure per isolare i campi per rifugiati dalle comunità locali: dal 18 marzo solo 100 dei 20.000 residenti di Moria hanno il permesso di uscire dal campo, e solo tra le 7:00 alle 19:00. Le ONG e tutto il personale non necessario non hanno il permesso di entrare nel campo fino a ulteriore avviso.
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Alloggio di fortuna nel campo di Moria negli uliveti adiacenti. Foto: Ahmad Rezai, ReFOCUS Media Labs

Dal 27 febbraio i casi in Grecia hanno superato i 1.000. Questo numero include due casi a Lesbo: un impiegato di un supermercato nella città di Plomari e un residente locale recentemente tornato da una vacanza in Tailandia. Se il COVID-19 dovesse scoppiare a Moria la sua propagazione nel campo sarebbe quasi certa. Nonostante le rinnovate richieste da parte di ONG, medici ed esperti di salute pubblica di evacuare Moria per prevenire un focolaio, al momento della stesura di questo documento tali misure non sono ancora state annunciate.
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Una residente di Moria che cammina attraverso l’Oliveto alla fine di marzo. Foto: Ahmad Rezai, ReFOCUS Media Labs.

Moria ospita circa 20.000 persone in un’area di circa un miglio quadrato – all’incirca la stessa densità di popolazione di Singapore – in condizioni terribili. A gennaio 2020 i ricercatori sul campo hanno contato 90 servizi igienici e 90 docce all’interno di Moria e altre 30 unità di servizi igienico-sanitari nei campi adiacenti.

Le razioni alimentari distribuite non soddisfano le esigenze caloriche, compromettendo la crescita e il sistema immunitario dei suoi residenti. Per anni i medici di Moria hanno lottato per contenere una serie di problemi di salute legati all’ambiente: malattie respiratorie, scabbia, pidocchi. Il campo di Moria era dannoso prima del COVID-19 e rimarrà pericoloso anche se il COVID-19 lo colpirà.
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Immondizia accumulata in un’insenatura del campo di Moria. Foto: Ahmad Rezai, ReFOCUS Media Labs.

Il 16 marzo, mentre Moria si preparava al COVID-19, è scoppiato un incendio nella tenda di una famiglia, bruciando due container e diverse tende e uccidendo una bambina di 6 anni. I pompieri hanno lottato per raggiungere il posto non potendo manovrare i loro veicoli attraverso il campo sovraffollato. È stato il secondo incendio mortale a Moria in meno di sei mesi.
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I residenti di Moria spengono le ultime tracce dell’incendio del 16 marzo. Foto: A.L., ReFOCUS Media Labs

Il 28 marzo le autorità locali di Lesbo hanno dichiarato che un afgano di 20 anni, che viveva a Moria da poco più di un anno, è deceduto per overdose di sedativi. Al momento di questa pubblicazione le autorità non hanno ancora stabilito se la sua morte sia stata intenzionale o accidentale. È la quinta morte prematura a Moria quest’anno, dopo due ferimenti mortali a gennaio, un apparente suicidio nella struttura di detenzione pre-respingimento di Moria a fine gennaio e l’incendio mortale del 16 marzo.
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Un residente di Moria cammina attraverso il sito dell’incendio del 16 marzo. Foto: M.A., ReFOCUS Media Labs

Se il COVID-19 arriva a Moria, raggiungerà una comunità la cui salute fisica e mentale è completamente compromessa, la cui resilienza non potrebbe prolungarsi.

Un’isola che sta per scoppiare

Per anni gli operatori umanitari, le agenzie di sanità pubblica, le autorità locali e i funzionari dell’UE hanno denunciato le condizioni degli “hotspot” delle isole greche. Per anni hanno chiesto di decongestionare le isole, di accelerare le procedure di determinazione dello status di rifugiato, di ricevere maggiore supporto per il Servizio di asilo greco e di trasferire i richiedenti asilo in tutta Europa.

Per anni i leader dell’UE non sono intervenuti, lasciando il compito di occuparsi dei richiedenti asilo alle autorità greche colpite dall’austerità e ad una coalizione libera di ONG. In caso di epidemia di COVID-19, interlocutori capaci ed esperti saranno più che mai necessari. La cooperazione tra autorità e comunità locali, ONG e richiedenti asilo, sarà cruciale.

Tuttavia, COVID-19 minaccia Lesbo in un momento in cui è già piena zeppa.
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Affollamento al campo di Moria. Foto: Ahmad Rezai, ReFOCUS Media Labs

L’epidemiologia corrente ci dice che solo il 20% di coloro che si ammalano di COVID-19 avrà bisogno del ricovero in ospedale. Il tasso di mortalità di COVID-19 non dipende solo dalla malattia stessa, ma anche dalla salute pregressa di coloro che contraggono il virus e dalla disponibilità di letti ospedalieri e di respiratori per coloro che necessitano di ricovero.

I servizi sanitari a Moria tuttavia sono totalmente insufficienti per fronteggiare un focolaio di COVID-19. Il campo è servito da 3 cliniche ambulatoriali diurne, con funzione emergenziale di notte e nei fine settimana. Ci sono solo sei letti di terapia intensiva a Lesbo. Già in tempi normali, i servizi ospedalieri e le ambulanze di Mitilene difficilmente riuscivano soddisfare le esigenze sanitarie della popolazione di Moria.
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Un residente di Moria che cammina attraverso il campo. Foto Ahmad Rezai, ReFOCUS Media Labs

Questa situazione è pericolosa non solo per i residenti di Moria, ma per l’intera Lesbo. Se il COVID-19 dovesse scoppiare a Moria, da lì potrebbe facilmente estendersi alla popolazione dell’isola man mano che i dipendenti della direzione del campo o gli agenti di polizia che impongono limiti di mobilità entreranno in contatto con i contagiati.
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Un rubinetto aperto a Moria, da dove però non esce acqua. Foto: Mustafa Nadri, ReFOCUS Media Labs

Sebbene le ONG stiano distribuendo i prodotti per l’igiene come meglio possono – al momento della stesura di questo articolo Because We Carry, in collaborazione con Movement on the Ground ed EuroRelief, stanno distribuendo sapone a tutti a Moria, mentre Attika Human Support sta preparando una distribuzione aggiuntiva di 20.000 saponette – la fornitura di acqua a Moria è insufficiente e i rubinetti disponibili non funzionano correttamente. Se il COVID-19 infestasse Moria, il tempo necessario alla popolazione complessiva di Lesbo per superare un focolaio potrebbe prolungarsi.
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Affollamento in fila per la distribuzione di cibo a Moria. Foto: Mustafa Nadri, ReFOCUS Media Labs

Per quanto riguarda coloro che vivono a Moria, i potenziali scenari sono spaventosi.

Sebbene qualsiasi focolaio sarebbe una sfida, la sua portata cambierà a seconda che il focolaio a Moria si riproduca su una popolazione di 20.000 il tasso di mortalità del ~ 1% dell’Irlanda o il tasso del ~ 10% dell’Italia.

Mettere un punto e andare avanti

La situazione a Lesbo era già terribile prima dell’arrivo del COVID-19. Sull’orlo di una pandemia potrebbe diventare catastrofica. Se il COVID-19 raggiunge Moria, sarà assolutamente essenziale una stretta collaborazione tra le ONG sull’isola e i servizi medici locali – motivo per cui è essenziale riflettere sui motivi delle recenti tensioni e violenze sull’isola.
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Un residente di Moria cuce una maschera di fortuna con le coperte dell’UNHCR alla fine di marzo. Foto: Yaser A., ​​ReFOCUS Media Labs

Se due mesi di tensioni crescenti ci hanno insegnato qualcosa, è che non possiamo né condannare, né denunciare la grave situazione di Lesbo. Invece, dobbiamo cercare di capire come uscirne. È comprensibile che le comunità di Lesbo si sentano abbandonate dall’Unione Europea. È comprensibile che desiderino ardentemente tornare a quella sicurezza e prevedibilità che le loro vite avevano prima del 2015.

Tuttavia incanalare questo abbandono e desiderio nelle intimidazioni agli operatori umanitari – l’unico collegio elettorale europeo che non ha abbandonato queste comunità – non porta a nulla. Risolvere la crisi migratoria europea non è mai stato lo scopo dell’OHF o della School of Peace. Le ONG con le loro risorse limitate non possono fornire le soluzioni che l’UE deve a Lesbo. Possono solo alleviare la sofferenza dei richiedenti asilo e alleggerire il loro impatto sulle comunità locali.
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Residenti di Moria protestano fuori dal campo il 3 febbraio. Foto: Douglas F. Herman

In effetti se i volontari se ne andassero tutti in una volta, i richiedenti asilo non avrebbero nessuno a cui rivolgersi per ricevere supporto se non le comunità locali – e nessun interlocutore esperto per moderare lo scambio. Nel breve periodo la caccia alle ONG di Lesbo potrebbe soddisfare la rabbia dei più combattivi dell’isola. A lungo termine tuttavia finirà solo per aumentare il già pesante onere che sopportano, in un momento in cui il COVID-19 minaccia di moltiplicare il peso di questo onere.
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Membri della comunità locale protestano durante uno sciopero generale di febbraio. Foto: Douglas F. Herman

Se il COVID-19 scoppierà a Moria le conseguenze saranno gravi. Se le ONG di Lesbo saranno escluse o private del potere di gestire il focolaio, le conseguenze saranno inimmaginabili. Se la necessità è la madre dell’invenzione, ora è il momento di inventare ciò che solo poche settimane fa sembrava impossibile: le autorità di Lesbo, le comunità, i richiedenti asilo e le ONG devono trovare un terreno comune per contenere insieme il COVID-19.

#Lesvoscalling

Una campagna solidale per la libertà di movimento
Dopo il viaggio conoscitivo a ottobre 2019 a Lesvos e sulla Balkan route, per documentare e raccontare la drammatica situazione sull'isola hotspot greca e conoscere attivisti/e e volontari/e che si adoperano a sostegno delle persone migranti, è iniziata una campagna solidale lungo la rotta balcanica e le "isole confino" del mar Egeo.
Questa pagina raccoglie tutti gli articoli e il testo di promozione della campagna.
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