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Imed Soltani: “Nessuno sa che l’Europa uccide i migranti perché tiene sotto controllo i media”

Carlos Soledad, El Salto - 18 maggio 2020

Imed Soltani, attivista e presidente dell'Associazione La Terre pour Tous

Il 27 marzo è scoppiato uno sciopero della fame nel CETI (Centro de Estancia Temporal de Inmigrantes n.d.R.) di Ceuta (enclave spagnola in Marocco n.d.R.) di cui la delegazione governativa “non era a conoscenza“. Gli ospiti chiedevano un urgente trasferimento nella Penisola e la concessione dell’asilo politico da parte dello Stato spagnolo per motivi umanitari già all’inizio della pandemia del coronavirus ma, con la dichiarazione dello stato di emergenza, decisero di sospendere la loro protesta. Poco o nulla si sapeva di questo sciopero della fame nei media spagnoli.

Un mese dopo, il 27 aprile, è scoppiato un altro sciopero della fame per le stesse ragioni, ma nel CETI di Melilla. Questo sciopero continua ancora oggi, e sette persone si sono cucite la bocca per chiedere l’attenzione delle autorità, dei media e del pubblico. Attraverso i social network, diverse organizzazioni sociali hanno svelato gli avvenimenti, ma lo sciopero e le sue immagini non hanno avuto alcuna ripercussione. Tuttavia, lo sciopero della fame ha raggiunto una certa notorietà grazie alle iniziative del Difensore civico, alla Proposta No de Ley per il trasferimento dei rifugiati nella penisola fatta da Esquerra Republicana de Catalunya (ERC) e alle dichiarazioni di sostegno delle organizzazioni per i diritti umani e del movimento #RegularizacionYa.

Imed Soltani, attivista e presidente dell’organizzazione La Terre pour tours, che negli ultimi mesi ha indetto diverse manifestazioni in Tunisia per sostenere i suoi connazionali nella richiesta di trasferimento nella penisola, approfondisce la situazione del CETI a Melilla.

Cosa ha portato alla creazione di La Terre pour tours?

Terre pour tours – Terra per tutti – nasce con l’obiettivo di difendere il diritto alla libertà di circolazione, affinché tutti possano spostarsi e risiedere dove vogliano, il diritto di migrare e non migrare.
Dal 2011 alcuni miei parenti sono scomparsi in Italia e da quell’anno sono coinvolto in questa lotta assieme alle madri delle persone scomparse durante il viaggio verso l’Europa. Più di 500 famiglie hanno manifestato davanti al Ministero degli Affari Esteri, Sociali e Interni tunisino. Siamo anche in contatto con le autorità italiane, con gli avvocati e con le persone dei movimenti sociali per trovare la verità. Vogliamo sapere dove sono i nostri figli e le nostre figlie, cogliamo avere la prova che siano arrivati in Italia o meno. Abbiamo istituito un comitato di lavoro e abbiamo anche presentato un fascicolo all’Unione europea.

Lei sostiene anche le mobilitazioni del CETI a Melilla, cosa sta succedendo lì?

Il CETI è un Centro di Permanenza Temporanea per immigrati e quindi la sua gestione, in linea di principio, non dovrebbe essere la stessa di quella di un Centro di Internamento per Stranieri (CIE): il CETI è uno spazio pubblico che serve ad accogliere gli immigrati che chiedono di essere accolti di propria volontà, mentre nel CIE i rifugiati sono stati precedentemente perseguitati a causa del loro profilo razziale e vengono rinchiusi perché clandestini, con l’obiettivo di rimpatriarli, successivamente, nei loro paesi di origine.

Pertanto, il fatto che i rifugiati del CETI non siano autorizzati ad uscire è di per sé una gravissima violazione da parte dello Stato del loro diritto alla libertà di circolazione. I detenuti devono poter uscire come qualsiasi altra persona, naturalmente rispettando le misure di sicurezza stabilite dall’emergenza sanitaria.

Questo sta accadendo anche nel CETI di Ceuta. Non solo non possono uscire ma diverse organizzazioni sociali hanno denunciato le terribili condizioni in cui si trovano i rifugiati. Anche il Difensore civico Fernando Francisco Marugán ha inviato una segnalazione al Ministro dell’Interno, Fernando Grande-Marlaska, per facilitare il trasferimento urgente delle persone più vulnerabili che sono presenti nel CETI di Melilla.

Come sostiene i detenuti del CETI di Melilla che fanno lo sciopero della fame?

In questo momento stiamo seguendo il più possibile i nostri connazionali ingiustamente rinchiusi nel CETI di Melilla. Queste persone non vogliono entrare in Spagna, in Italia o in Europa in modo irregolare. Sia l’Italia che la Spagna, tramite le loro politiche, hanno proibito loro di muoversi non lasciando loro altra alternativa che imbarcarsi su “i barconi della morte” per entrare finalmente nel CETI. Ci stiamo battendo per permettere loro di circolare e di essere trasferiti nella penisola spagnola. I rifugiati tunisini vogliono l’asilo politico per ottenere i documenti.

La società sa cosa sta succedendo?

No, nessuno sa che l’Europa uccide i migranti perché esercita un controllo sui media. Qui in Africa c’è un “effetto chiamata” che si chiama lavoro. In questa pandemia è stato dimostrato che l’Europa ha sempre bisogno di immigrati. Nessuno ha il diritto di bloccare le persone per più di un mese, senza alcun rispetto dei diritti umani. Ci sono bambini, donne e anziani. L’Europa ha spinto la gente in questa direzione, quindi chiediamo ai media: “lasciate che la gente veda cos’è l’Europa.”

“L’Unione Europea ci spinge nelle braccia della morte perché non offre soluzioni sicure e ne trae profitto, ci getta sui “barconi della morte” e in mano alla polizia più violenta”.

Ci costringono perché, anche se hanno bisogno di noi, non ci danno mai il visto, quindi prendiamo il barcone per l’Europa. La nostra lotta è dire basta a questa “politica di morte“. Non possiamo vivere in un mondo dove il Mediterraneo diventa una fossa comune. Oggi è il mare più pericoloso del mondo. Ogni giorno la gente muore nel tentativo di attraversare le frontiere a causa delle vostre politiche, non possiamo rimanere indifferenti.

Cos’altro sapete di queste politiche?

Abbiamo video e foto dei nostri connazionali emigrati con i barconi per andare in Italia e in Europa, o per andare a Melilla. Perché i visti che hanno chiesto alle ambasciate sono stati negati.

“Non è che le persone si trovino in una condizione di illegalità, è la politica dell’Unione europea a renderla illegale e a vietarne la circolazione.”

La gente non è pazza, non vuole finire in un centro come il CETI, è la politica dell’Unione Europea a non lasciare alternative.
Ho parlato con diversi ospiti del CETI di Melilla, hanno chiesto i visti e sono stati loro negati, ma intanto chiedono il versamento di una tassa per ottenerli. Si tratta di un furto, all’interno del CETI li fanno pagare circa 160 euro e poi negano loro il visto. Ho delle foto che lo dimostrano.

Chi è responsabile di tutto questo?

La situazione dei ragazzi (che stanno facendo lo sciopero della fame n.d.T) è di competenza dello Stato spagnolo e dell’Unione Europea, va detto ad alta voce. La morte delle persone in questi centri sarà responsabilità politica di ciò che lo Stato spagnolo e l’Unione Europea fanno. Se succede qualcosa a questi ragazzi durante lo sciopero della fame, sarà responsabilità del Presidente spagnolo Sánchez, del vicepresidente Iglesias e del Ministro dell’Interno Grande-Marlaska. I ragazzi si battono per la libertà di movimento. Non vogliono tornare in Tunisia. Vogliono un futuro.