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Caso Dublino – Le autorità italiane hanno l’obbligo di effettuare una valutazione autonoma della situazione nel paese di origine per escludere il rischio reale di un respingimento a catena

Tribunale di Roma, decreto del 16 aprile 2020

L’Unità Dublino aveva ritenuto competente per l’esame della domanda di protezione internazionale, ai sensi dell’art. 18.1 lett. b) Reg. 604/2013, altro Paese dell’Unione Europea, che aveva accettato la ripresa in carico.
In realtà, già dalla documentazione presentata nell’atto di costituzione dell’Unità Dublino, emergeva che la presa in carico veniva accettata ai sensi dell’18.1 lett. d).
Infatti, la domanda di protezione internazionale nel Paese di rinvio non era in corso di esame, ma era conclusa (il Paese aveva deciso in maniera negativa).

Il difensore presentava documentazione che attestava la chiusura della domanda di protezione internazionale nel Paese di rinvio, unitamente alla documentazione che provava il rischio di persecuzione in caso di rimpatrio, chiedendo l’applicazione dell’art. 17 del Regolamento e della clausola discrezionale.

Il Collegio concludeva a favore del ricorrente. Il Collegio richiama le informazioni sul Paese di origine, evidenziandone l’instabilità, nonché il rischio al quale sarebbe esposto il ricorrente in caso di rimpatrio.
Ed a tale proposito risulta significativo il passaggio della sentenza della CEDU nel ricorso n. 47287/15 del 14 marzo 2017 (Ilias e Ahmed c. Ungheria), secondo il quale, nel caso di domande di asilo basate su un rischio generale ben noto, accertabile in una serie considerabile di fonti, l’articolo 3 impone agli Stati di avviare di propria iniziativa una valutazione sul rischio in parola; in altre parole, gli obblighi convenzionali richiedono alle autorità nazionali di effettuare una valutazione autonoma di tale rischio: sotto questo profilo, di fronte alla prospettiva di un trasferimento, è necessario poter escludere “il rischio reale di un respingimento a catena” verso un paese dove non possa ragionevolmente escludersi un rischio di violazione dell’art. 3 CEDU”.

Inoltre, il collegio ritiene possa farsi uso della discrezionalità accordata a ciascuno Stato membro dall’art. 17 del regolamento, disponendo che l’ Italia prenda in carico la posizione del richiedente e proceda al relativo esame.
A tal proposito la Corte di giustizia nella pronuncia già sopra citata e richiamando la sua precedente giurisprudenza (sentenza 5 aprile 2016, Aranyosi e Caldararu, causa C-404/15 e C-659/15 PPU, punti 85-86), esordisce affermando che le norme del regolamento Dublino III, come tutte le altre norme di diritto derivato, devono essere interpretate ed applicate tenendo fermo il rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta, tra i quali l’articolo 4 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) riveste un carattere assoluto. Ancora la Corte richiama i considerando 32 e 39 del regolamento Dublino III, secondo i quali gli Stati sono vincolati, nella applicazione di quest’ultimo, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e dall’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Ed inoltre, rileva che sarebbe incompatibile con il carattere assoluto del divieto derivante dall’articolo 4 della Carta consentire agli Stati membri di ignorare i rischi concreti di trattamenti inumani o degradanti solo perché questi non derivano da carenze sistemiche nel sistema di asilo dello Stato membro competente.
E’ poi importante ribadire che secondo la Corte tali conclusioni non violano o pongono in discussione il principio di fiducia reciproca fra gli Stati membri o la presunzione del rispetto dei diritti fondamentali in ciascuno di essi, ma intervengono al fine di assicurare che la singolarità di alcuni casi sia debitamente considerata.
Ed è opinione del collegio che la concreta possibilità che il rinvio in […] dia luogo ad un successivo rinvio in un luogo ove si registra una conclamata situazione di rischio per i diritti fondamentali e per l’ incolumità personale, possa rivestire il carattere di eccezionalità cui presiede l’attivazione della clausola discrezionale
“.

Neppure, a detta del Collegio, era sufficiente l’eccezione dell’Unità Dublino, che si rimetteva al principio generico della reciproca fiducia, che non risulta violato dall’applicazione della clausola discrezionale, che segue ad un bilanciamento svolto dai singoli Stati membri.

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Tribunale di Roma, decreto del 16 aprile 2020