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Chiamiamo le cose con il loro nome: Anti-blackness*

di Kihana Miraya Ross*, The New York Times - 4 giugno 2020

Photo credit: Yunghi Kim/Contact Press Image

Il Dottor Ross è professore di studi afroamericani.

Quando i neri vengono uccisi dalla polizia, “razzismo” non è la parola giusta.

  • blackness, noun [ U ]= Il fatto o lo stato di appartenenza a qualsiasi gruppo umano che abbia la pelle di colore scuro: la qualità o lo stato di essere nero. (Oxford English Dictionary).

La parola “razzismo” è ovunque. E’ usata per spiegare tutto ciò che causa sofferenza e morte tra gli afroamericani: accesso inadeguato all’assistenza sanitaria, al cibo, all’alloggio e al lavoro, un proiettile, un manganello o un ginocchio della polizia. Ma il concetto di “razzismo” non riesce a catturare pienamente ciò che i neri di questo paese stanno affrontando.

Il termine giusto è “anti-blackness“.

Per essere chiari, “razzismo” non è una parola senza senso. Ma troppo spesso finisce per inglobare tutto, dai neri a cui viene negato un accesso equo ai mutui ipotecari, agli studenti asiatici etichettati come “minoranza modello”.

Molti americani, risvegliati dalle immagini di Derek Chauvin che uccide George Floyd tenendogli il ginocchio premuto sul collo, si domandano perché viviamo in un mondo in cui la morte dei neri si ripete come una sceneggiatura tragica, segnata da lamenti di madri a cui hanno strappato i figli e la pretenziosa indifferenza degli assassini. E la comprensione dell’anti-blackness è il punto da cui partire.

Quello dell’anti-blackness è uno dei concetti elaborati da alcuni intellettuali neri per tentare di spiegare che cosa significa essere bollati come persone di colore in un mondo che è contro i neri. Si tratta di qualcosa di più del semplice razzismo; “razzismo” semplifica e indebolisce il concetto. Quando si parla di anti-blackness ci si riferisce piuttosto ad una cornice teorica che riguarda l’incapacità della società di riconoscere la nostra umanità, lo sdegno, il disprezzo e il disgusto che prova per la nostra esistenza.

Il professore di studi afroamericani Frank B. Wilderson, che ha coniato il termine “Afro-pessimismo”, sostiene che il concetto di anti-blackness plasma la realtà, cosicché nella società più ampia l’esser nero viene indissolubilmente legato alla schiavitù. In questo modo il sistema di schiavitù degli Stati Uniti, tecnicamente finito oltre 150 anni fa, continua a segnare la posizione ontologica delle persone di colore. Così, nella mente di molti, il rapporto tra umanità e l’esser nero è inconciliabile.

L’anti-blackness descrive l’incapacità di riconoscere l’umanità nera. Dimostra che il tipo di violenza che satura la vita nera non si basa su un atto specifico compiuto da una persona di colore (o per meglio dire “una persona che è stata razzializzata come nera”). La violenza che sperimentiamo non è legata ad alcuna trasgressione particolare. È gratuita e inarrestabile.

L’anti-blackness nasconde il fatto che l’odio della società contro l’esser nero, e anche la sua violenza gratuita contro i neri, è complicato dal bisogno della nostra esistenza.

L’abietta disumanità del nero rafforza il candore, l’umanità, il potere e il privilegio dei bianchi (ancora una volta meglio descritti come coloro che sono stati razzializzati come bianchi), che essi ne siano consapevoli o meno. I neri sono allo stesso tempo da disprezzare, e un utile strumento che i bianchi possono usare per esaltare la loro umanità. In altre parole, a prescindere dalle difficoltà che una persona si trova a dover sopportare, almeno ha la fortuna di non essere nero.

Così, quando cerchiamo di capire come un agente di polizia bianco abbia potuto tenere con calma e noncuranza il ginocchio e tutto il peso del corpo premuto sul collo di un uomo di colore, un uomo che ha pregato per la sua vita per più di otto minuti fino a quando non aveva più aria con cui supplicare, dobbiamo capire che non c’è mai stato un momento nella storia di questo paese in cui un trattamento del genere non ha rappresentato la realtà dei neri.

Dalla frusta alle armi, i pattugliatori di schiavi del diciottesimo secolo sono gli antenati dei moderni dipartimenti di polizia. E’ stato un caso che l’assassino di Mr. Floyd abbia fatto notizia, un caso che siano saltati fuori filmati che documentano le urla disperate di aiuto rivolte alla madre defunta. L’uccisione brutale del signor Floyd non è un’eccezione, ma piuttosto è la regola in una nazione che ha letteralmente trasformato i neri in oggetti.

I neri sono stati comprati e venduti come proprietà, hanno costruito questo paese, letteralmente versato sangue, sudore e lacrime nel terreno da cui mangiamo, nell’acqua che beviamo e nell’aria che respiriamo. L’oggettificazione dei neri è una componente fondamentale dell’identità di questa nazione.

Fare i conti con questa realtà è significativamente più difficile che lottare contro pregiudizi, razzismo e persino contro il razzismo istituzionale o strutturale. E ci aiuta più di qualsiasi altro concetto a dare un senso a oltre 400 anni di sofferenza nera, al nostro interminabile dolore, rabbia e sfinimento.

La morte di Mr. Floyd è la storia dei nostri bambini, dei numerosi bambini neri che crescono letteralmente o metaforicamente sotto il tallone d’acciaio di uno stivale della polizia. È la storia delle nostre famiglie, che fin dal periodo della tratta hanno dovuto subire l’inimmaginabile.

Uccidono i nostri figli, le nostre madri e i nostri padri e si aspettano da noi il perdono, si aspettano che restiamo tranquilli di fronte a un’orribile violenza. Ci viene chiesto di rispettare una legge che non riconosce la nostra umanità, che non può fornire alcuna compensazione. E quando di volta in volta la legge dimostra che non ci proteggerà mai, che non riterrà mai responsabili gli individui e i sistemi che ci danneggiano, si aspettano che noi porteremo avanti la narrazione che il sistema funziona, che la giustizia alla fine a prevarrà.

Il fratello del signor Floyd ha dichiarato: “non capisco cos’altro dobbiamo sopportare nella vita”. La gente è per le strade oggi perché anni fa abbiamo marciato in modo pacifico e abbiamo fatto risuonare gli spiritual sperando che riconoscessero la nostra umanità. Abbiamo indossato pettinature afro come corone per celebrare la nostra bellezza. Abbiamo alzato i pugni in aria dimostrando la nostra forza. Abbiamo dichiarato che le nostre vite contano in ogni splendida dimensione, chiedendo che smettano di ucciderci impunemente nelle strade e nelle nostre case.

La gente è oggi nelle strade perché nonostante le vite stroncate, letteralmente e figurativamente, in questa battaglia per la vita nera, la lotta continua.

Quindi smettiamo di dire che il razzismo ha ucciso George Floyd, o peggio ancora, che un agente di polizia razzista ha ucciso George Floyd. George Floyd è stato ucciso perché l’anti-blackness è un fenomeno endemico, ed è la base attraverso la quale tutti noi interpretiamo la dimensione sociale, economica, storica e culturale della vita umana.