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Condizione dei bambini “talibè” costretti in schiavitù nelle scuole coraniche del Senegal. Riconosciuta la protezione sussidiaria al richiedente asilo

Corte di Appello di Potenza, sentenza del 6 marzo 2020

Foto tratta da Nigrizia

La sentenza della Corte di Appello di Potenza riconosce la protezione sussidiaria ad un richiedente asilo del Gambia proveniente da una famiglia musulmana e avviato alle scuole coraniche in Senegal.
La Corte territoriale potentina afferma:
Sotto il profilo della coerenza esterna, la Corte osserva che la difesa del richiedente si è fatta carico di allegare una serie di documenti (un articolo tratto dal quotidiano “La Repubblica” ed un articolo tratto dalla rivista “Deportate, esuli, profughe” della Prof. Elisa Pellizzari) che dimostrano come sia del tutto frequente, in Senegal, che gli allievi di scuole coraniche sono costretti a mendicare. Tale situazione trova puntuale conferma nel rapporto sul Senegal del 1 ottobre 2018 della Commissione Nazionale per il diritto di Asilo“.
Il rapporto riferisce che “In tutto il Senegal, circa 50.000 bambini talibé che vivono a Daaras sono costretti dai loro insegnanti coranici ad elemosinare giornalmente denaro, riso o zucchero. I talibé vivono spesso in condizioni di estremo squallore, in molti casi soggetti ad abusi fisici o psicologici che equivalgono a trattamenti inumani e degradanti”.

Il rapporto di Human Rights Watch riferisce ancora di “centinaia di talibi che vivono in squallide daaras e implorano in bella vista le città di Dakar e Saint-Louis. I bambini – in molti casi senza scarpe, sporchi, vestiti a brandelli, affetti da infezioni della pelle, e apparentemente malnutriti – spesso imploravano davanti alla polizia e ai gendarmi, vicino a edifici governativi e lungo autostrade trafficate”.

La Corte, inoltre, si sofferma sulla credibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente affermando:
Ove poi si volesse obiettare che appare poco plausibile che il richiedente sia stato mandato in una scuola coranica in Senegal, anziché nel suo paese, è agevole osservare che, data la situazione geografica del Gambia e la vicinanza della sua città di provenienza (Bahau) dal confine con il Senegal, ciò non può costituire un elemento che scardini la credibilità interna del racconto. Non è possibile affermare, inoltre, che la non veridicità del suo racconto sia conseguenza di una insufficienza di dettagli, giacché da un lato il richiedente ha risposto adeguatamente alle domande poste dalla Commissione, dall’altro è del tutto possibile che abbiano inciso sul ricordo una molteplicità di elementi: il contesto in cui sono avvenuti i colloqui, il grado di istruzione, la cultura, le difficoltà di traduzione, etc.,
Sotto il profilo della coerenza interna, il racconto appare congruo, giacché non è dato riscontrare contraddizioni o altri elementi discordanti con la logica interna del racconto (neanche su dati marginali o di dettaglio) che inficino la genuinità della narrazione
“.

La Corte evidenzia altresì “non risulta che, dopo il cambiamento alla guida del governo del 2017, la situazione sia sostanzialmente mutata. Risulta in tal modo confermato che, per le inefficienze endemiche del suo sistema giuridico, il Gambia non sia in grado di offrire protezione, individuando, perseguendo penalmente e punendo gli atti che costituiscono danno grave”.

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Corte di Appello di Potenza, sentenza del 6 marzo 2020