Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
///

Respingimenti illegali e violenze ai confini: un rapporto di Border Violence Monitoring Network

Balcani, aprile/maggio 2020

schermata_da_2020-06-29_11-20-19.png

Sommario

Nel seguente rapporto sono raccontate le storie di 736 persone che sono state soggette a respingimenti nei Balcani occidentali e in Grecia. Il Border Violence Monitoring Network (BVMN) ha continuato a registrare elevati livelli di espulsioni transfrontaliere illegali durante tutto il periodo di lockdown per il COVID-19 e di allentamento delle misure di sicurezza. I resoconti diretti di queste azioni – condotte dalla polizia, dalle forze armate statali e da Frontex – provengono da confini diversi che vanno dal fiume Evros tra Grecia e Turchia fino al confine italo-sloveno.

Questa pubblicazione fornisce aggiornamenti sul campo relativi ai mesi di aprile e maggio, dando testimonianza della situazione lungo le frontiere esterne dell’UE e della violenza persistente.

L’analisi si concentra su alcune delle violenze più sorprendenti che si sono verificate negli ultimi mesi, in particolare sull’utilizzo da parte della polizia croata della vernice spray per marchiare gruppi di migranti. Le testimonianze delle persone prese di mira confermano le pratiche di frontiera croate come atti di tortura, trattamento disumano e degradante.

Nel frattempo, dall’altra parte del confine in Bosnia-Erzegovina sono emerse prove concrete della violenza sistemica nei campi finanziati dall’UE con percosse da parte della polizia e dalla sicurezza filmate dalle telecamere. Inoltre a causa dei nuovi respingimenti effettuati dall’Italia nell’ambito di un processo di “riammissione informale” con la Slovenia, ancora più persone sono sottoposte a questo ciclo di violenze ai confini e nei campi.

In Grecia l’entità dei respingimenti – avviati sia dal continente che dalle isole dell’Egeo – continua ad essere al centro dei resoconti sul campo. In questa relazione sono riportati dodici incidenti separati, che riguardano quasi 600 persone, con attenzione al trasferimento, alla detenzione e all’espulsione violenta in Turchia. Gli intervistati sono numerosi e sono stati sequestrati da una serie di siti urbani, campi, centri di detenzione e zone costiere, denotando il modo sistematizzato in cui la Grecia sta effettuando respingimenti di massa.

La relazione esamina anche i respingimenti in territorio greco dalla vicina Albania, mettendo in evidenza gravi illeciti e violenze da parte della missione Frontex che opera al confine. Queste prove coinvolgono senza dubbio l’agenzia europea nelle pratiche illegali ai confini e nella violenza contro i migranti. Anche gli sviluppi più recenti, come i procedimenti giudiziari contro l’Ungheria e la Croazia, sono oggetto di analisi.

A questo si affiancano altri approfondimenti, come gli aggiornamenti dalla Serbia, dove la presenza dell’esercito, i centri di accoglienza recintati e gli attacchi fascisti hanno segnato un forte aumento della violenza contro le comunità in transito. Il rapporto riguarda anche un’indagine su una sparatoria da parte dell’esercito greco, la presenza delle autorità croate sul confine verde, la questione degli alloggi nel cantone di Una-Sana, un’analisi dei respingimenti “a catena” dalla Serbia, e gli aggiornamenti sugli sfratti abitativi tra Atene e Salonicco.

Sommario generale
Tendenze nelle violenze al confine
Uso della vernice spray da parte della polizia croata
I respingimenti di Frontex dall’Albania
I respingimenti a catena disaggregati
Espulsioni a livello nazionale in Grecia
Aggiornamenti sulla situazione
Croazia: La CEDU richiama la Croazia alla responsabilità
Croazia: Deforestazione del confine croato
Bosnia-Erzegovina: Violenze nel campo di Miral
Bosnia-Erzegovina: Chiusura dei campi e pressioni sul lavoro di solidarietà
Serbia: Attacchi fascisti al campo di Obrenovac
Serbia: Dispiegamento dell’esercito e campi recintati
Grecia: Militare greco identificato per un un’uccisione
Grecia: Sfratti di massa
Italia: Abusi nelle riammissioni in Slovenia
Ungheria: Due zone di transito ungheresi chiuse
Glossario dei report, aprile/maggio 2020
Strutture del Network e contatti

Network di segnalazione BVMN
È un progetto collaborativo tra più organizzazioni di base e ONG che lavorano lungo la rotta dei Balcani occidentali e la Grecia, documentando le violazioni perpetuate ai confini contro i migranti. I membri delle organizzazioni utilizzano un database comune come piattaforma per raccogliere testimonianze di respingimenti illegali collezionate attraverso interviste.

Terminologia
Il termine pushback è una componente chiave della situazione che si è avuta lungo i confini dell’UE (Ungheria e Croazia) con la Serbia nel 2016, dopo la chiusura della rotta balcanica. Pushback descrive l’espulsione informale (senza giusto processo) di un individuo o di un gruppo verso un altro paese. È in contrasto con il termine “deportazione”, che è condotta all’interno di un quadro giuridico. I pushback sono diventati una parte importante, anche se non ufficiale, del regime migratorio dei paesi dell’UE e di altri paesi.

Metodologia
Il processo metodologico delle interviste sfrutta lo stretto contatto sociale che i nostri volontari indipendenti hanno con rifugiati e migranti per monitorare i respingimenti ai confini. Quando gli individui ritornano con lesioni significative o storie di abusi, uno dei volontari addetti alla segnalazione delle violenze si siede con loro per raccogliere una testimonianza. Anche se la raccolta di testimonianze in sé si rivolge di solito ad un gruppo non più grande di cinque persone, i racconti possono riguardare anche gruppi di 50 persone. Le interviste hanno una struttura standardizzata che unisce la raccolta di dati reali (date, geo-localizzazioni, descrizioni degli agenti di polizia, foto di lesioni / referti medici, ecc.) con narrazioni aperte delle violenze.

Abbreviazioni
BiH – Bosnia-Erzegovina
HR – Croazia
SRB – Serbia
SLO – Slovenia
ROM – Romania
HUN – Ungheria
ITA – Italia
MNK – Macedonia del nord
ALB – Albania
GRK – Grecia
TUR – Turchia
EU – Unione Europea

Tendenze nelle violenze ai confini

Uso della vernice spray da parte della polizia croata

In aprile sono emerse prove dell’uso della vernice spray da parte degli agenti di polizia croati come mezzo di trattamento degradante, per marchiare le vittime di un regime di frontiera sistematicamente violento. Una serie di fotografie mostra croci arancioni disegnate sulla testa dei migranti dalla polizia durante i respingimenti in Bosnia. Le violenze sono state esaminate per la prima volta da No Name Kitchen, e ciò ha condotto a un rapporto del Guardian che tratta diversi incidenti in cui è stata utilizzato questo tipo di marchiatura. Amnesty International è andata oltre nel definire questi atti come “tortura“, una grave accusa, evidenziata per diversi anni dal lavoro di documentazione di BVMN.

Attraverso il divisorio trasparente che separa la cabina di guida dalla zona posteriore l’intervistato ha visto gli agenti uscire per comprare della birra da un negozio“.

Informazioni fornite da chi si trovava sul posto e fonti provenienti dall’interno del campo di Miral confermano abusi avvenuti in diverse località (vicino a Poljana e Sturlic), contro gruppi diversi di migranti. In seguito sono state sollevate domande sulle ragioni degli incriminati e sulle varie responsabilità. Rifiutando di rispondere, il Ministero degli Interni croato (MUP) ha negato di essere a conoscenza di questi eventi, accusando invece gli attivisti e i giornalisti di diffamazione. Eppure BVMN ha parlato con una vittima di questi attacchi, un migrante che può testimoniare in dettaglio di essere stato spinto da agenti di polizia croati ubriachi che lo deridevano e ridevano mentre gli dipingevano la testa con la vernice (vedi 4.2).

Il testimone ha raccontato che il gruppo di cui faceva parte, dopo essere stato catturato vicino al confine sloveno dalla polizia croata, è stato portato in una stazione di polizia dove gli è stato negato il diritto di asilo, nonostante fossero state avanzate richieste verbali. Il gruppo è stato poi caricato su alcuni furgoni e portato via. Durante il viaggio gli ufficiali croati si sono fermati a comprare alcolici:
Attraverso il divisorio trasparente che separa la cabina di guida dalla zona posteriore, l’intervistato ha visto gli ufficiali uscire per comprare della birra da un negozio“.
960.jpg?width=1920&quality=85&auto=format&fit=max&s=762973eec07b8ae10be2bff943646a06
Croce disegnata sulle teste del gruppo di migranti espulso (Fonte: Guardian)

Un certo numero di casi registrati da BVMN contiene riferimenti ad agenti ubriachi durante il traffico transfrontaliero illegale eseguito dalla polizia croata, e questa pratica è messa in luce anche da un incidente denunciato a maggio (cfr. 4.5). In questo caso gli agenti hanno guidato sotto effetto dell’alcol fino a un tratto di fiume vicino a Poljana, hanno derubato il gruppo detenuto, lo hanno picchiato, hanno preso vestiti e scarpe e usato bombolette spray per disegnare croci sulle teste e sulle facce dei migranti. Nonostante l’ubriachezza degli agenti, le prove che mostrano le violazioni dei diritti alle frontiere croate suggeriscono che l’alcol non sia il fattore trainante di questi attacchi, ma solo un catalizzatore per la loro esecuzione. Il recente report di Amnesty sostiene che la marchiatura con spray è congruente con i violenti respingimenti e torture effettuate dalla polizia croata di routine alla frontiera. Inoltre un rapporto di BVMN sui respingimenti dalla Croazia nel corso del 2019 ha rilevato che in 12 mesi di dati, oltre l’80% dei casi registrati riguardava “trattamenti di tortura o crudeli, disumani e degradanti“. Quindi l’uso dello spray è solo l’ultimo sviluppo di una lunga serie di pratiche di tortura, alcune delle quali includono:
– Forza eccessiva e sproporzionata
– Armi elettriche (EDW)
– Obbligo di spogliarsi
– Minacce o forza eccessiva con armi da fuoco
– Trattamento disumano all’interno dei veicoli della polizia
– Detenzione senza servizi di base

Clare Daly, eurodeputata per la Sinistra unitaria europea / Sinistra verde nordica, ha denunciato gli abusi nella commissione LIBE del Parlamento europeo, in particolare il modo in cui i gruppi sono stati “marchiati“: una descrizione che corrisponde alle azioni disumanizzanti riportate da un testimone. Egli ha riferito che gli agenti ridevano, e afferma che la verniciatura della testa è stata usata per farli sembrare “delle scimmie“.

Il trattamento evidenzia le azioni perverse della polizia croata, che esprime la sua posizione razzista e islamofoba attraverso una crescente gamma di violenza fisica e psicologica. Il modo in cui i segni di vernice vengono conferiti ai corpi, oltre alle lesioni con manganelli e pugni, ha tutte le caratteristiche del tipo di marchio utilizzato dai governi fascisti per identificare coloro che sono ritenuti sub-umani.

Questo trattamento disumanizzante, in particolare contro le persone di colore e i musulmani, pone poi le basi per il tipo di ultra-violenza a cui si è assistito anche in quest’ultimo incidente; i componenti di una famiglia contrassegnata con vernice arancione hanno riferito al Guardian di essere stati:
costretti a mettere la testa tra la carrozzeria e la porta di un veicolo della polizia, mentre gli agenti prendevano a calci la porta del veicolo

Tali atti – in particolare contro i genitori e i loro figli – non si verificherebbero senza la presenza di un razzismo strutturale, un sistema ben sviluppato di anonimato per gli agenti colpevoli e uno Stato che sostiene fermamente l’uso della tortura come forma di controllo dei confini. Per rimediare all’assenza di responsabilità, il Centre for Peace Studies, membro della rete, ha presentato una denuncia penale all’ufficio del procuratore statale sulla base delle prove di pratiche di tortura e di respingimento illegale. Ma mentre la pressione crescente intorno a questo caso sembrava aver arginato l’uso dello spray, pratiche più violente continuano ancora oggi, direttamente per volere dello Stato croato e non controllate dai paesi dell’UE.

I respingimenti Frontex dall’Albania

A maggio BVMN ha ricevuto testimonianze di prima mano di respingimenti avvenuti lungo il confine terrestre dell’Albania con la Grecia. Questo confine è diventato gradualmente un’alternativa per coloro che percorrono la pericolosa rotta dei Balcani occidentali verso l’Europa. Le statistiche dell’UNHCR per l’Albania mostrano che dal 2018 gli arrivi sono quintuplicati ed evidenziano un aumento di 14 volte delle richieste di asilo. In risposta, nel maggio 2019 Frontex ha lanciato la sua prima missione sul territorio sovrano di uno Stato membro non UE.

50 agenti di Frontex sono stati dispiegati per rafforzare la sicurezza delle frontiere in Albania e le prime relazioni hanno mostrato il “successo” di queste operazioni, segnalando arresti quotidiani di coloro che attraversavano il confine dalla Grecia. Ciò è sostenuto da informazioni del dipartimento delle frontiere e delle migrazioni che conferma che 11.344 migranti irregolari sono stati trattenuti alla frontiera albanese tra gennaio 2019 e febbraio 2020. Mentre la Germania ha ritirato i propri agenti Frontex dall’Albania durante il culmine della pandemia di COVID-19, la missione ha continuato a effettuare pattugliamenti e trasferimenti in Grecia, messi in luce dalla testimonianza pubblicata di recente da BVMN (vedi 8.1).

L’ultimo caso riguardava la violenta espulsione di alcuni uomini marocchini trovati da una pattuglia di Frontex nel sud-est dell’Albania. Gli agenti – che indossavano delle maschere – hanno usato una forza sproporzionata per catturare il gruppo e hanno picchiato in modo eccessivo con manganelli metallici coloro che cercavano di eludere la cattura. Descrivendo il fatto, un uomo ha detto che gli agenti erano: grandi, forti e non si vergognavano di picchiare.

Gli agenti di Frontex sono stati collegati a questo caso a causa di un’identificazione visiva delle uniformi fatta dal gruppo intervistato. Quando sono di stanza in una missione Frontex gli agenti indossano l’uniforme del loro stato di invio, ma contrassegnata specificamente con una fascia blu con i simboli dell’agenzia europea. Il gruppo credeva che gli agenti provenissero dall’Ungheria e dalla Germania (gli agenti Frontex di stanza in Albania provengono da 15 diversi stati di invio).

In particolare, i gruppi di migranti ricordano di essere stati portati in una stazione di polizia a Bilisht, dove sono stati interrogati dai funzionari di Frontex sulle loro origini e su come erano arrivati in Albania. Bilisht è una città di confine nei pressi di Korçë, che ospita parte della missione Frontex in collaborazione con la base di Gjirokaster nel sud-ovest. Il gruppo è stato poi rimandato a Trestenik, dove l’anno scorso Frontex si è vantata del numero di arresti di persone che provavano ad attraversare a piedi il passaggio montuoso dalla Grecia.

Meno declamato da Frontex è il fatto che i respingimenti transfrontalieri siano spesso il risultato di questi arresti, e che ampi tratti del confine verde vengano utilizzati per rimpatriare illegalmente le persone in Grecia.

Certamente l’Albania condivide la responsabilità per il trattamento delle comunità in transito, trattamento sottolineato da un articolo recente di Balkan Insight che parla di strutture di accoglienza sovraffollate, con bande violente, cibo insufficiente, e condizioni terribili.

Tuttavia, lo sviluppo di un’operazione Frontex, che sta svolgendo pratiche sistematicamente illegali, posiziona l’UE e la sua strategia di migrazione, come attore principale nella creazione di un passaggio sicuro attraverso questo confine. In un modo che potrebbe essere considerato intrinsecamente neo-coloniale, Frontex sta svolgendo un ruolo strumentale nell’incorporare modelli di violenza e negligenza dei mandati di protezione internazionale: come visto nel violento pushback registrato di recente da BVMN.

Inoltre ciò avviene con l’impunità da parte del sistema giudiziario albanese, caratteristica dei nuovi accordi che Frontex ha firmato con vari Stati non membri dei Balcani occidentali, più recentemente Serbia e Montenegro.
schermata_da_2020-06-29_08-23-18.png
Agenti di Frontex sloveni che indossano la fascia blu dell’agenzia (Fonte: Frontex)

I respingimenti a catena disaggregati

Da aprile BVMN ha osservato una crescita dei pushback a “catena” disaggregati dalla Serbia, attraverso la Macedonia del Nord, fino alla Grecia. I respingimenti “a catena” sono espulsioni transfrontaliere che coinvolgono tre o più territori nazionali. Nei nuovi casi, che hanno avuto un impatto su almeno 49 persone, i respingimenti provenivano da campi in Serbia (tre da Preševo e uno da Tutin). Le autorità serbe hanno ingannato i residenti del campo, promettendo nuove carte da campo o un trasferimento a causa del COVID-19, ma hanno invece usato la forza per espellerli attraverso il confine meridionale verso la Macedonia del nord, alcuni sotto minaccia delle armi (vedi 1.1).

Queste violente espulsioni collettive operano in maggiore silenzio, con l’attenzione globale preoccupata per la pandemia e gli osservatori dei diritti umani che non sono in grado di fare monitoraggio sul campo a causa delle restrizioni sanitarie”.

schermata_da_2020-06-29_08-41-03.png
Lesione del cranio a causa di un pushback (Fonte: BVMN)

La caratteristica a “catena” di queste espulsioni è stata completata quando i gruppi sono stati infine arrestati dalla polizia della Macedonia del nord ed espulsi in Grecia, negli 11 giorni dopo il respingimento iniziale. Questi respingimenti sequenziali differiscono nella loro organizzazione dai pushback a catena “tradizionali” effettuati dalle autorità slovene in collaborazione con la Croazia, che si traducono in espulsioni in Bosnia o in Serbia.

Questi infatti vengono avviati attraverso accordi bilaterali di riammissione, e i funzionari sloveni utilizzano un quadro giuridico (anche se pesantemente abusato) al fine di trasferire i gruppi di migranti in Croazia attraverso i valichi ufficiali di frontiera.

All’interno dei pushback a catena disaggregati avvenuti di recente non sono state rilevate segnalazioni di contatto diretto tra agenti serbi, macedoni o greci. Le autorità serbe hanno condotto i suddetti respingimenti nella regione di Lojane (MKD), approfittando del vicino confine verde (cfr. 1.2), mentre le autorità macedoni li hanno condotti in punti non ufficiali sulla recinzione di confine con la Grecia nella regione di Gevgelija (MKD), utilizzando piccoli cancelli indicati dagli intervistati comunemente come “la porta” (vedi 3.2).

Allo stesso modo gli agenti sloveni sono stati ripetutamente descritti nell’atto di consegnare gruppi di migranti arrestati alle autorità croate, come evidenziato da un incidente avvenuto il 16 febbraio 2020. Il membro della rete, InfoKolpa, ha esaminato in modo approfondito queste pratiche, dimostrando come la Slovenia attui illegalmente l’accordo di riammissione ignorando le richieste di asilo. Ciò evidenzia il fatto che questi pushback formali a “catena” non sono meno illegali delle loro controparti ad hoc e sono regolarmente accompagnati da gravi negligenze amministrative come quella di identificare i minori come adulti.

Poiché i respingimenti a “catena” sono cresciuti come parte istituzionalizzata, e ora informale, della gestione della migrazione nei Balcani occidentali, sta cominciando ad emergere una preoccupante tendenza geografica. Un effetto a catena giocato con gruppi in transito che rischiano non solo di essere espulsi da un territorio all’altro, ma finiscono per essere violentemente respinti attraverso diversi paesi. Un intervistato recentemente rinviato dalla Macedonia del nord in Grecia (vedi 3.4), ha fatto eco a questa situazione chiedendo alla polizia: “Se vado in Grecia forse la polizia mi manda in Turchia?

Questa legittima preoccupazione è scaturita da prove provenienti dalla Grecia, che dimostrano che le persone sono a grave rischio di espulsione in Turchia, in particolare a causa dei poteri straordinari ottenuti dal governo greco durante il periodo COVID-19. Sono già emersi casi che documentano espulsioni dalla Romania, attraverso la Serbia e la Macedonia, fino in Grecia (cfr. 1.1), con alti livelli di violenza. Fino a che punto queste catene possano allungarsi dipende dalla permanenza del regime di frontiera illegale supportato dall’UE e da altri Stati.

Gli ultimi collegamenti di questi cicli di violenza alle frontiere includono paesi come l’Italia, che hanno iniziato un’applicazione intensiva e illecita delle missioni di riammissione verso la Slovenia. I dati di aprile e maggio suggeriscono che i respingimenti, attuati attraverso azioni organizzate e disaggregate, stanno avendo un grande impatto sulla vita delle persone che cercano di attraversare la Grecia e la rotta dei Balcani occidentali.

Espulsioni a livello nazionale in Grecia

Ora che il lockdown nazionale si sta allentando e le frontiere della Grecia si aprono ai viaggiatori internazionali, il governo ha anche anticipato un aumento degli arrivi attraverso la regione di Evros. Mentre i piani originali per l’invio di 400 nuove guardie di frontiera nella zona sono stati temporaneamente sospesi, la scorsa settimana altre 14 unità antisommossa della polizia sono state inviate per rafforzare la sicurezza. L’ELAS (polizia greca) prevede inoltre di inviare altri 125 agenti di polizia di vari dipartimenti di tutto il paese per rafforzare i dipartimenti locali di polizia di frontiera; e ci sono state nuove promesse da parte del Ministro degli Esteri Dendias per estendere la recinzione di confine attraverso il fiume Evros.

Nei mesi di aprile e maggio, BVMN ha pubblicato testimonianze che raccontano il respingimento di quasi 600 persone dalla Grecia alla Turchia, una cifra che rappresenta solo una frazione delle violente espulsioni che si verificano ogni giorno.

È chiaro che negli ultimi mesi le pratiche di respingimento sono state notevolmente intensificate. Un altro sviluppo preoccupante per i lavoratori sul campo, e per i sostenitori dei diritti umani in senso più ampio, è la crescente frequenza di espulsioni collettive violente dall’interno del territorio greco. All’inizio di maggio BVMN ha pubblicato testimonianze di prima mano e prove fotografiche che documentano espulsioni collettive da centri a conduzione statale vicine al centro urbano di Salonicco.
schermata_da_2020-06-29_09-00-32.png
Lividi da percosse durante il pushback (BVMN)

Non molto tempo dopo hanno cominciato a verificarsi respingimenti di grandi gruppi anche a Igoumenitsa, sulla costa occidentale della terraferma.
La prima testimonianza (vedi 6.9) riporta che 17 persone sono state prelevate dalla “giungla“, un insediamento informale vicino al porto, e sono state trasportate per circa 10 ore in un furgone della polizia “con celle separate da cui non si può scappare… non si può vedere fuori“.

Il secondo caso (cfr. 6.12) che riguarda un gruppo di 15 persone, descrive lo stesso tipo di trasporto, ed entrambi i resoconti riportano l’uso di violenze eccessive da parte degli agenti. Una vittima e testimone di quest’ultimo caso era stato registrato dall’Ufficio greco per l’asilo e dall’UNHCR ed era in attesa di un appuntamento per ricevere la sua carta di richiesta di protezione internazionale; anche i respingimenti di individui registrati rappresentano un nuovo preoccupante sviluppo.

La dimensione dei pushback, e il numero dei luoghi in cui le persone sono a rischio di espulsione sembrano essere cresciuti drasticamente negli ultimi mesi. Queste ultime relazioni mostrano che le persone che vivono dall’altra parte del paese possono essere rimandate violentemente in Turchia entro 24 ore, indipendentemente dal loro status in Grecia. I nuovi sviluppi nell’attuale prassi greca includono:
1. L’arresto e il successivo respingimento di gruppi da località urbane
2. Incursioni mirate della polizia in siti umanitari
3. Membri delle comunità di migranti utilizzati dalla polizia per guidare le barche durante i respingimenti
4. Pushback effettuati su gruppi sempre più grandi
5. Aumento degli attacchi contro gruppi di senzatetto in strada
6. Respingimenti di persone registrate, tra cui richiedenti asilo
7. Agenti di polizia che promettono la regolarizzazione del soggiorno prima del respingimento

Purtroppo questi cambiamenti non sono confinati solo alla terraferma. I gruppi di monitoraggio sulle isole greche hanno osservato che i respingimenti nell’Egeo hanno raggiunto un nuovo livello di gravità. Il membro della rete, Mare Liberum, ha documentato i respingimenti di coloro che erano già sbarcati sulle rive di Chios, così come di persone in possesso di documenti. Nonostante tutte queste prove, la polizia greca continua a negare l’esistenza di respingimenti.

Un caso particolarmente scioccante registrato a maggio è una chiara prova del regime di frontiera punitivo che sta emergendo in Grecia. Un testimone riporta di essere stato arrestato e rinviato in Turchia da Salonicco (cfr. 6.7). Dopo essere tornato in Grecia una seconda volta è stato investito da un pirata della strada greco che è poi scappato dopo avergli rotto la gamba (vedi 6.11). Nell’ospedale di Xanthi, la gamba è stata fissata con un bullone metallico che avrebbe poi dovuto essere rimosso, e le ferite sono state medicate.

Una volta ritenuto “adatto al trasferimento“, è stato immediatamente rimandato in Turchia, nonostante non fosse in grado di camminare. Ora il paziente è essenzialmente costretto a letto e sta lottando per ricevere delle cure adeguate a Istanbul. La dimissione precoce dall’ospedale lo ha messo a grave rischio di infezione, rischiando di fargli contrarre la sepsi. Questo caso dimostra due cose: in primo luogo il disprezzo per la vita umana che caratterizza questo tratto della frontiera esterna dell’UE, in secondo luogo la precarietà dell’esistenza delle persone che attraversano la Grecia e che sono sempre in pericolo di essere respinte verso la Turchia, anche se si trovano in cura in un reparto di emergenza.

Aggiornamenti sulla situazione

Croazia: La CEDU richiama la Croazia alla responsabilità

La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) è ora coinvolta in due cause mosse contro la Croazia per aver effettuato respingimenti illegali dal suo territorio. I querelanti stanno cercando di determinare i responsabili della loro violenta espulsione in Bosnia durante l’autunno 2018.

Una causa riguarda l’espulsione di tre siriani, tra cui una minore, con tre gravi violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Le ultime testimonianze provenienti dalla frontiera croata dimostrano che gravi violazioni rimangono una parte sistematica del rafforzamento dei confini, a supporto della risoluzione di queste due cause storiche.

Il team legale che coordina le cause, il Centro europeo per i diritti costituzionali e umani con sede a Berlino, evidenzia chiare violazioni dell’“articolo 4 del Protocollo 4 (divieto di espulsioni collettive) e dell’articolo 13 (diritto a un rimedio efficace)“, insieme all’articolo 3 (trattamento disumano o degradante)” per il respingimento sommario in Bosnia, dove i ricorrenti erano soggetti a condizioni di vita disumane e alla impossibilità di accesso all’asilo.

BVMN accoglie con favore queste sfide legali contro i respingimenti alle frontiere croate, soprattutto alla luce dei lunghi sforzi compiuti dal MUP per distruggere le prove e negare gli illeciti di fronte alle molteplici accuse di violazione dei diritti umani.

Purtroppo la corte di Strasburgo ha in precedenza sostenuto gli Stati membri dell’UE nell’applicazione di espulsioni collettive illegali.

Le
Espulsioni forzate in Bosnia-Erzegovina. Condizioni che violano l’articolo 3 della Cedu (Fonte:
BVMN)

Croazia: Deforestazione del confine croato
schermata_da_2020-06-29_09-29-57.png
Deforestazione effettuata al confine tra Croazia e Bosnia-Erzegovina (Fonte: CrnaHronika)

Recinzioni e ostacoli creati dall’uomo sono elementi fissi dei confini esterni dell’UE, utilizzati per rendere il passaggio insicuro e ferire le persone mentre attraversano i sempre più duri confini. Meno comune è la deforestazione di intere sezioni di pineta per rilevare gli attraversamenti “irregolari“. Tuttavia, questo è stato il recente approccio adottato dallo Stato croato, che ha commissionato ai lavoratori forestali l’abbattimento degli alberi da un tratto di confine di otto chilometri con la Bosnia.

Questa azione è stata avviata per “controllare meglio la zona di confine“, creando linee di visibilità in cui le operazioni di sorveglianza manuale e tecnologicamente assistita possano individuare gruppi di migranti che entrano nel paese. Tuttavia, le discrepanze tra le mappe utilizzate dai taglialegna e l’amministrazione geodetica hanno causato uno scandalo di incursione in territorio sovrano, dato che lavoratori croati sono stati visti tagliare alberi sul lato bosniaco. Non è la prima volta che tali questioni vengono sollevate; nell’agosto 2018 la polizia croata ha sparato dei colpi nei terreni agricoli bosniaci vicino a Glinica. Molti intervistati sostengono anche di essere stati inseguiti in territorio bosniaco dalla polizia croata con manganelli per essere violentemente espulsi al confine.

Come si è visto con l’ultimo scandalo del disboscamento, è il paesaggio fisico piuttosto che il quadro dell’accesso all’asilo o la creazione di un passaggio sicuro, ad essere attualmente in fase di rimodulazione, con l’obiettivo di rafforzare i confini.

Con quest’ultima disputa, l’uso della geografia di confine come arma contro le persone in movimento torna in prima pagina. BVMN ha osservato in passato come gli alberi siano stati utilizzati dalla polizia croata per effettuare pushback violenti; ostacoli fatti con tronchi e percosse con manganelli improvvisati fatti di grandi rami di alberi. Inoltre, fiumi e fossati vengono regolarmente utilizzati come postazioni per scagliare attacchi violenti durante la notte; cadere in acqua può causare ipotermia e i pendii ripidi possono provocare cadute e conseguenti lesioni da impatto. Come si è visto con l’ultimo scandalo del disboscamento, è il paesaggio fisico piuttosto che il quadro dell’accesso all’asilo o la creazione di un passaggio sicuro, ad essere attualmente in fase di rimodulazione, con l’obiettivo di rafforzare i confini.

Bosnia-Erzegovina: Violenze nel campo di Miral

Ulteriori gravi violenze fisiche sono state scoperte nei campi finanziati dall’UE in Bosnia-Erzegovina. Nel precedente rapporto BVMN ha seguito un incidente verificatosi nel centro di accoglienza temporaneo di Usivak a Sarajevo, dove un uomo è stato ucciso in una rivolta; la sua famiglia ha riferito che questo è stato il risultato di un attacco mortale da parte di una guardia di sicurezza del campo. Recenti filmati dimostrano senza dubbio che tale violenza sta avvenendo, e viene effettuata all’unisono dalla polizia e dai dipendenti con contratto privato nel sistema di accoglienza temporanea. Pubblicato da Transbalkanska Solidarnost, il video mostra come la polizia bosniaca e la sicurezza privata, assunte per lavorare nel centro di Miral gestito dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), “entrino nei container e picchino le persone“.

Come commenta Transbalkanska Solidarnost: “Negli ultimi due anni le autorità di questo Cantone [Una-Sana] hanno sistematicamente violato i diritti umani dei popoli migranti e hanno agito in violazione dei trattati internazionali firmati dalla Bosnia e della costituzione bosniaca“. Il filmato è la prova di queste accuse di lunga data, e mostra colpi di manganello utilizzati per ferire le persone indiscriminatamente.

Nel mese di febbraio i residenti del campo di Miral hanno condotto una protesta contro le condizioni in cui erano detenuti, condividendo slogan come “smettete di picchiarci“, sia in riferimento alla polizia croata, ma anche alle stesse autorità del campo. Le condizioni di Miral, come quelle di tutti gli altri centri, sono state disastrose in particolare durante il periodo COVID-19. La violenza strutturale è una realtà quotidiana per i residenti dei campi, che hanno accesso a cibo e assistenza sanitaria limitati, dormono in container sovraffollati e sono sottoposti a controlli di coprifuoco sproporzionati.

È anche importante notare che le violenze psicologiche e fisiche inflitte all’interno di centri come quello di Miral sarebbero evitabili.

Accanto a questo, il livello di grave violenza fisica ha raggiunto un picco intollerabile negli ultimi mesi. Ciò è stato evidenziato dalla morte di un uomo che aveva cercato di scalare la recinzione perimetrale durante la notte a causa del sovraffollamento. Oltre alle percosse mirate, decessi come questo sono un chiaro promemoria della realtà che si vive all’interno del sistema di campi della Bosnia.

È anche importante notare che le violenze psicologiche e fisiche inflitte all’interno di centri come quello di Miral sarebbero evitabili. Ma piuttosto che anomalie, queste sono le condizioni volutamente messe in atto dalla politica migratoria guidata dall’UE, che ha appaltato la violenza ad attori locali come la polizia e la sicurezza privata, che incarnano l’esternalizzazione moderna delle frontiere.

schermata_da_2020-06-29_09-45-05.png
L’ingresso al centro di accoglienza temporaneo di Miral. (Fonte: FenaNews)

Bosnia-Erzegovina: chiusura dei campi e pressioni sul lavoro di solidarietà

I funzionari hanno accettato congiuntamente di trovare una soluzione per chiudere i Centri temporanei di Bira e Miral a Bihae e Velika Kladusa.

Secondo il Danish Refugee Council (Consiglio danese per i rifugiati) e i media locali, l’OIM è tenuto a preparare il nuovo sito di Lipa per l’accoglienza dei residenti di Bira, e il Consiglio comunale di Velika Kladusa è invitato a cooperare con la Task Force e le agenzie delle Nazioni Unite per determinare la posizione per la creazione urgente di un campo temporaneo al di fuori della città e trasferire le persone dagli alloggi di fortuna. Ciò avviene dopo le notizie di interventi violenti da parte della polizia bosniaca e delle azioni di dispersione degli insediamenti abusivi culminati il mese scorso in un incendio in un rifugio informale.

In base al nuovo ordine i proprietari di edifici residenziali e abbandonati in cui soggiornano i gruppi di migranti sono anche tenuti a prendere misure per proteggere fisicamente gli edifici, aumentando così il livello di pressione sulla gente del posto che continua a sostenere le persone in transito. Le attività negli insediamenti informali sono inoltre vietate a tutte le organizzazioni e agli individui non autorizzati dalle agenzie delle Nazioni Unite, dai loro partner o dalla Croce Rossa locale. La convergenza dei monopoli delle ONG internazionali e la criminalizzazione della solidarietà a livello locale è un modello rilevante nei Balcani occidentali. I diritti di accesso esclusivo testimoniano gli sforzi per prevenire il monitoraggio indipendente degli sfollamenti interni e della violenza della polizia.

Il sito di Lipa, dove molti sono sospettati di subire trasferimenti, mantiene ancora inalterate cattive condizioni di vita per i residenti. I trasferimenti forzati continuano nonostante il sito superi la capacità massima, facendo sì che spesso più di 150 persone rimangano al di fuori del campo in attesa di poter entrare. All’interno, BVMN ha parlato con personale anonimo che lavora per ONG e che dichiara che l’accesso all’acqua è perennemente limitato. Con l’aumento del numero di residenti, questa mancanza è destinata solo a peggiorare e pone un diretto rischio di igiene. Un altro problema è l’isolamento dei gruppi dai centri urbani a causa della posizione remota di Lipa, che si trova a circa 25 km dalla città di Bihac.

Anche il ministro del governo locale Nermin Kaljic ha riconosciuto che le persone “vogliono risiedere nel centro della città perché ci sono negozi e stazioni di servizio dove poter acquistare carte telefoniche“. Con la negazione dell’accesso ai servizi di base, questo avanti e indietro è destinato a continuare, e le nuove restrizioni introdotte in materia di alloggio e lavoro di solidarietà finiranno solo per sottoporre le persone a violenze cicliche.

Serbia: attacchi fascisti al campo di Obrenovac

Il 7 maggio 2020 un attivista di estrema destra ha sferrato un attacco mirato al centro di accoglienza temporaneo di Obrenovac, alla periferia di Belgrado. Filip Radovanović, un membro del movimento fascista “Leviatano“, ha guidato il suo veicolo a tutta velocità nel campo profughi. Fortunatamente nessuno è rimasto ferito, anche se l’assalto è stato filmato dallo stesso Radovanović e l’audio lo mostra chiaramente dichiarare i sentimenti violenti, razzisti e islamofobici che lo hanno spinto ad agire. Nonostante i posti di blocco dell’esercito installati a causa dell’epidemia di COVID-19, Radovanović è stato in grado di sfondare una sezione della recinzione perimetrale, rischiando di falciare i residenti in piedi vicino al cancello principale.

Il movimento Leviatano è emerso come un gruppo di protezione per gli animali, ma ha rapidamente superato questo fronte, dedicando i mesi scorsi a provocazioni razziste e attacchi come quello di Obrenovac. Recentemente il Leviatano è stato al centro di uno scandalo che riguardava la registrazione dei candidati per le prossime elezioni generali, ma l’analista politico Luka Božović dice di loro che “si rendono visibili soprattutto per inseguimenti contro attivisti, attacchi ai Rom, attacchi alla comunità LGBT“.

I membri del gruppo sono stati anche ritratti con insegne naziste in un memoriale di guerra a Novi Sad, simboli fascisti presenti negli attacchi guidati dai gruppi cetnici contro i migranti e i volontari di No Name Kitchen nella città occidentale di Šid.

L’ultimo attacco anti-migrante è stato rapidamente approvato dal movimento ed è stato organizzato un raduno il giorno seguente da attivisti del Leviatano fuori dal campo di Obrenovac. Purtroppo, non sono solo le azioni urbane a mettere le persone a rischio di violenza fascista. Il leader del gruppo, Pavle Bihali, ha recentemente pubblicato filmati su Twitter di attivisti del Leviatano che pattugliano il confine vicino alla Romania e molestano le persone che soggiornano in alloggi informali.

In un video intimidiscono un uomo afghano, chiedendo il suo passaporto e dicendogli che lui e gli altri non sono autorizzati a rimanere nell’edificio abbandonato che stanno usando come riparo. Il giorno seguente sono tornati sul posto armati di manganelli improvvisati e si sono vantati dell’assenza di residenti abusivi, dichiarando di aver collaborato con la polizia nello sfrattare il gruppo. Queste azioni ben pubblicizzate stabiliscono un precedente preoccupante e si sposano con l’escalation degli attacchi nei centri urbani contro la popolazione di migranti della Serbia.

Serbia. Dispiegamento dell’esercito e campi recintati

Nel mese di maggio l’esercito serbo è stato schierato nella zona di confine occidentale con la Croazia, ed è ora di stanza intorno ai campi di Adaševci, Šid e Principovac. Questo si affianca alla notizia che l’esercito si è procurato circa 2,5 tonnellate di filo spinato per costruire perimetri intorno a diversi centri di accoglienza temporanei in Serbia.

Rados Djurovic, del Centro serbo per la protezione dell’asilo, ha detto a Balkan Insight che proteggere i campi e scoraggiare il transito informale non è “in alcun modo il ruolo dell’esercito“. Tuttavia, durante l’ascesa della pandemia di COVID-19, le forze di sicurezza lungo la rotta balcanica – come in Slovenia – sono stati gli attori principali nella gestione dei flussi migratori. Questa tendenza era già iniziata con l’installazione della Polizia Speciale nel mese di febbraio, azione inquadrata dal Ministero dell’Interno serbo come una mossa per garantire “la sicurezza dei nostri cittadini“.

Questa narrazione è stata convogliata nelle ultime settimane nella preparazione delle elezioni generali in Serbia. Una linea dura e conservatrice sulla migrazione è stata una via elettorale affidabile per l’attuale presidente Vučić, che è destinato a correre incontrastato con il partito progressista serbo che boicotta le urne.

Contrariamente alla narrazione diffusa che dipinge le comunità in transito come una “minaccia alla sicurezza“, la maggior parte degli incidenti violenti registrati nell’area di Šid è stata compiuta da gruppi di estrema destra e divisioni di polizia, come dimostrato in precedenza dai rapporti BVMN. Eppure questa falsa retorica intorno alle popolazioni in transito ha posto le basi per politiche più draconiane, e le precondizioni per la recinzione dei campi: siti che sono andati ad assomigliare sempre più a prigioni durante il periodo di blocco del COVID-19. Una dichiarazione congiunta di Women in Black, A11 – The Initiative for Economic and Social Rights, e Info Park evidenzia che questi ultimi sviluppi stanno “militarizzando la tragedia dei rifugiati in Serbia“.
schermata_da_2020-06-29_10-03-32.png

Grecia: Militare greco identificato in un’uccisione

schermata_da_2020-06-29_10-05-54.png
Abbigliamento di Gulzar (Fonte: Bellingcat)

Un’indagine open source condotta da Bellingcat, Lighthouse Reports, der Spiegel e Forensic Architecture ha rilasciato una sintesi dei suoi risultati in maggio, coinvolgendo le autorità greche nell’uccisione di Muhammad Gulzar. L’indagine riguarda il periodo all’inizio di marzo, quando migliaia di persone hanno tentato di raggiungere la Grecia, credendo che il leader turco Recep Erdogan avesse “aperto” il confine. Gulzar, ferito a morte il 4 marzo 2020, è stata una delle otto persone che l’indagine ha identificato come vittime di arma da fuoco e che sono state ferite mentre le autorità greche sparavano oltre il confine.
BVMN, tra gli altri, ha riferito degli eventi dell’epoca, intervistando persone che erano state colpite nel valico di frontiera di Kastanies-Pazarkule.

Attraverso l’analisi di una grande quantità di filmati ripresi il 4 marzo 2020, l’alleanza investigativa è stata in grado di ricostruire con successo gli eventi che hanno portato all’uccisione di Gulzar. Sono stati fatti dei collegamenti tra i vestiti recuperati sulla scena e il filmato del corpo ferito di Gulzar che veniva rimosso. Nel frattempo, una mappatura schematica dei movimenti catturati su più fotogrammi di riprese è stata in grado di illuminare i movimenti di Gulzar sul lato turco del confine, compresi il punto in cui le autorità greche hanno colpito e ferito lui e altri mentre si trovavano nella zona agricola a sud del valico di frontiera. La balistica post-mortem effettuata su Gulzar indica che nell’uccisione è stato usato un proiettile da 5,56 mm. Questa sparatoria, anche se saldamente negata dallo stato greco, è sostenuta da prove audio di quel giorno. Gli investigatori hanno richiesto un’analisi dell’esperto di audio-forense Steven Beck che ha identificato “la firma acustica distintiva dei colpi dal vivo” in filmati girati al momento dell’omicidio.

La polizia e l’esercito greci avevano entrambi fucili d’assalto automatici e mini-mitragliatrici durante lo stallo al confine. In particolare, l’uso di queste armi da fuoco si estende ai respingimenti segnalati dal confine di Evros (cfr. 6.2). In questi casi le armi sono spesso usate più come intimidazione che per sparare perché la polizia greca cerca di evitare di fare rumore mentre espelle le persone attraverso il fiume Evros per non allertare le forze turche. Tuttavia, la presenza di queste armi nei rapporti di BVMN sui respingimenti “regolari” sostiene le conclusioni dell’indagine: vale a dire che le autorità greche armate pattugliano con armi cariche, e all’inizio di marzo le hanno rivolte su gruppi di migranti disarmati provocando la morte di Muhammad Gulzar.

Grecia: sgomberi di massa

La posizione delle comunità di migranti e dei gruppi di richiedenti asilo stabiliti in Grecia è stata profondamente influenzata dalle decisioni prese dal governo di destra Mitsotakis dal 2019. I respingimenti e il ristretto accesso alla protezione internazionale sono cresciuti sotto la sua guida. In linea con questo, anche quella degli alloggi è una questione contestata in cui il governo ha compiuto recenti sforzi per eliminare quelle che erano già disposizioni limitate.

Nel mese di maggio il governo ha annunciato il trasferimento di oltre 11.000 persone dai loro siti di alloggio sovvenzionati e strutture di accoglienza. Anche se inquadrato come un “trasferimento” dal ministro della migrazione Notis Mitarakis, l’atto è stato ampiamente visto come uno sfratto sottilmente velato di una vasta fascia della popolazione rifugiata e richiedente asilo in Grecia. La gente è scesa in piazza ad Atene per denunciare questa mossa, vista come un chiaro tentativo di costringere la popolazione rifugiata alla povertà e a diventare senzatetto, dato che molti migranti non dispongono di risorse finanziarie per sostenersi in alloggi in affitto privato.

BVMN ha registrato quasi 600 persone illegalmente trasferite in Turchia dalla Grecia in aprile e maggio.

Il governo Mitsotakis ha ridotto il mandato dell’alloggio da sei a un mese per coloro che ricevono lo status di protezione. Le ultime chiusure e sgomberi sono in linea con questa mossa, che mira a eliminare i servizi di alloggio di base in Grecia, e a rendere più difficile per le persone rimanere nel paese. I senzatetto forzati rischiano anche di essere respinti in Turchia. BVMN ha registrato quasi 600 persone che sono state illegalmente trasferite in Turchia dalla Grecia in aprile e maggio. In particolare, la stragrande maggioranza è stata prelevata dalla polizia dalla strada, da siti abusivi o insediamenti informali vicino ai campi ufficiali. Altre 11.000 persone rischiano ora questo destino.
schermata_da_2020-06-29_10-13-24.png
Una famiglia di Idlib, Siria. Una delle tante soggette ai nuovi sfratti (Fonte: EdnHub)

Italia: Abusi nelle riammissioni in Slovenia

Nel corso dell’ultimo mese un gran numero di persone è stato espulso dall’Italia, attraverso la Slovenia e la Croazia, in Serbia o Bosnia. Le autorità italiane, che stanno rapidamente diventando l’anello finale della “catena” del fenomeno del respingimento sulla rotta dei Balcani occidentali, hanno espulso illegalmente i nuovi arrivi arrestati nella zona di confine, in base a un accordo di “riammissione informale” con la Slovenia. Le violazioni hanno colpito anche coloro che si trovano nelle zone urbane del centro di Trieste, in particolare i richiedenti asilo che hanno già registrato la loro richiesta di protezione internazionale.

Secondo i media, circa 30 persone sembrano essere state inviate in Slovenia in un solo giorno.

Non è la prima volta che vengono registrati casi del genere al confine italo-sloveno. Nell’agosto dello scorso anno, BVMN, attraverso la sua organizzazione partner No Name Kitchen, ha registrato il pushback di un gruppo dalla zona vicino a Fernetti, soggetto a un pari livello di negligenza e scortato dalle forze di polizia. Tuttavia questa pratica è aumentata molto durante il periodo COVID-19.

I respingimenti sono giustificati da un vecchio accordo stipulato nel 1996 che consente alla polizia italiana di rimandare in Slovenia coloro che sono stati trovati vicino al confine (in precedenza erano 5 km, ora entro 10 km) entro 24 ore dal loro arrivo. Uno dei motivi utilizzati per espellere le persone dall’Italia è il loro diritto a chiedere asilo in Slovenia, paese che hanno attraversato.

Questa motivazione, che BVMN, attraverso la sua organizzazione partner InfoKolpa, ha dimostrato essere costantemente falsa, è stata combattuta anche da una recente sentenza del tribunale di Genova, dove un giudice italiano ha sospeso un ordine di espulsione ai sensi dell’accordo di Dublino. Il giudice ha riscontrato “le condizioni per l’accoglienza dei rifugiati in Slovenia e le carenze sistemiche nella procedura di asilo” motivi sufficientemente forti per fermare l’allontanamento, sollevando interrogativi su come le autorità della zona di confine possano ora effettuare tali riammissioni impunemente.

Il Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS) e la Caritas Trieste hanno contestato questo abuso dell’accordo bilaterale con la Slovenia, sostenendo che “le riammissioni o altre forme di rifiuto al confine di coloro che intendono chiedere asilo sono illegali“.
schermata_da_2020-06-29_10-26-44.png
I volontari medici curano i nuovi arrivi dalla rotta balcanica (Fonte: Daniele Cappelletto)
Polizia italiana che pattuglia il centro di Trieste (Fonte: Linea d’Ombra)

Eppure le autorità italiane sono rimaste fermamente a sostegno delle violazioni, il vicesindaco di Trieste ha dichiarato:
Dobbiamo espellere come tutti gli altri Stati che si preoccupano della propria protezione interna. Dobbiamo dare l’ordine di respingere, in modo che non una sola persona possa attraversare i nostri confini. L’unica politica giusta nei confronti di questo problema è l’uso dei pushback“.

Tali dichiarazioni fanno eco al livello di collaborazione transnazionale tra Italia, Slovenia e Croazia al fine di respingere violentemente le persone con questo “effetto domino“. Volontari di Trieste – Linea d’Ombra e La Strada Si.cura – hanno parlato con alcune persone colpite da questo processo, che hanno condiviso la loro esperienza in un video online.

L’incidente riguardava una persona di 34 anni che ha fornito impronte digitali in Italia il 19 maggio 2020 e a cui è stato chiesto dalla polizia di recarsi alla stazione la mattina seguente. Tuttavia è stato preso più tardi quel giorno dalla polizia italiana, insieme ad altre 20 persone, e rimandato in Slovenia. La Slovenia ha poi effettuato una rimozione a catena in Croazia dove il gruppo è stato derubato ed ha ricevuto minacce di morte dagli agenti. Infine il gruppo è stato espulso in Serbia, completando la terza espulsione consecutiva della catena, nonostante in diverse occasioni siano state avanzate richieste di asilo.

Un video pubblicato di recente afferma che le forze di polizia italiane continueranno queste espulsioni in collaborazione con la Slovenia (altri 40 agenti di polizia di Roma sono stati inviati alla frontiera a indicazione di ciò). Da questo aumento dei controlli alle frontiere, il numero di arrivi è rimasto costante, con la differenza che quasi tutti vengono intercettati al confine e che quindi il numero di persone che raggiungono le strade di Trieste è diminuito. Non si sa se saranno accettati o espulsi, ma la minaccia di respingimenti è accresciuta dopo questo nuovo ordine. Nel frattempo, da parte slovena, le recenti notizie di personale in uniforme militare che molesta individui che camminano sulle colline vicino al confine suggeriscono che le autorità richiedono un approccio del tipo “se vedete migranti chiamateci“. In sintesi, i controlli al confine italo-sloveno sembrano spostare la gestione della faccenda sempre più verso gli omologhi più a sud sulla rotta balcanica.

Ungheria: Due zone di transito ungheresi chiuse

Gli ultimi due mesi hanno gettato in subbuglio il sistema ungherese di asilo. Come esposto nei rapporti precedenti, la Corte di giustizia europea (ECJ) ha stabilito che la prassi dell’Ungheria di respingere quasi tutti i richiedenti asilo sulla base dell’irricevibilità se il richiedente ha transitato attraverso un paese “sicuro“, è incompatibile con il diritto europeo.

In un secondo caso la Corte di giustizia ha deciso che i centri di transito alla frontiera ungherese, l’unico punto di ingresso al sistema ungherese di asilo, costituiscono detenzione illegale. Con queste decisioni la Corte di giustizia ha rovesciato alcuni degli elementi più importanti del sistema di asilo disumano dell’Ungheria.
schermata_da_2020-06-29_10-41-44.png
Zona di transito di Rozke dove le persone sono state recentemente rilasciate dalla detenzione illegale (Fonte: GlobalDetentionProject)

I politici ungheresi hanno seguito a malincuore le sentenze della Corte di giustizia in maggio. Mentre i politici senior hanno dichiarato che credono ancora nella legalità dei criteri di inammissibilità dell’Ungheria e sottolineano le implicazioni di “sicurezza” delle sentenze della Corte di giustizia, l’Ungheria ha chiuso i centri di transito a Röszke e Tompa.

Più di 300 richiedenti asilo, alcuni dei quali sono stati incarcerati illegalmente per più di un anno, sono stati di conseguenza liberati. Chiaramente, BVMN accoglie con favore la chiusura di Röszke e Tompa, che segnano la fine di alcune delle più scandalose violazioni dei diritti umani all’interno dell’Unione.

L’Ungheria sta sostituendo il suo sistema di asilo illegale con un sistema di asilo inesistente.

Allo stesso tempo c’è da preoccuparsi in quanto l’Ungheria sta sostituendo il suo sistema di asilo illegale con un sistema di asilo inesistente. In risposta alle sentenze della Corte di giustizia, i portavoce del governo ungherese hanno annunciato che tutti i richiedenti asilo dovranno chiedere protezione presso le ambasciate dei paesi circostanti – una chiara violazione della Convenzione di Ginevra. Se l’Ungheria attuerà effettivamente questa politica, diventerà praticamente impossibile ricevere lo status di asilo in Ungheria. In questo contesto seguiranno sicuramente altre controversie.

Glossario dei report, aprile/maggio 2020

La rete ha seguito il respingimento di 736 persone in 30 incidenti separati in aprile e maggio. Le relazioni rappresentano un’ampia demografia di persone, tra cui uomini, donne e minori, coloro che si trovano in alloggi ufficiali nei campi e altri in insediamenti informali. Gli intervistati provengono anche da un’ampia serie di paesi, tra cui: Siria, Egitto, Afghanistan, Pakistan, India, Bangladesh, Sri Lanka, Marocco, Algeria, Tunisia, Iran, Kurdistan, Iraq, Siria, Palestina, Eritrea e Somalia.
I casi coinvolti:
– Dodici respingimenti verso la Grecia (tre respingimenti a catena dalla Serbia, sei respingimenti diretti dalla Macedonia settentrionale, due diretti dall’Italia e uno direttamente dall’Albania).
– Un respingimento diretto dalla Serbia alla Macedonia settentrionale.
– Quattro respingimenti diretti dalla Croazia alla Bosnia.
– Un respingimento diretto dalla Croazia alla Serbia.
– Dodici respingimenti diretti dalla Grecia alla Turchia.
schermata_da_2020-06-29_10-42-43.png
schermata_da_2020-06-29_10-45-07.png
Tutti i rapporti nel database qui

Strutture del Network e contatti

BVMN è un organismo volontario, che agisce come un’alleanza di organizzazioni nei Balcani occidentali e Grecia. BVMN si basa sugli sforzi dei partecipanti e di organizzazioni che operano nel campo della documentazione, dei media, della difesa e legale. Finanziamo il lavoro attraverso sovvenzioni e fondazioni caritatevoli, e non riceviamo denaro da nessuna organizzazione politica. Le spese riguardano le sovvenzioni ai trasporti per i volontari sul campo e quattro posizioni retribuite. Controllate il nostro sito web per l’intero archivio testimonianze, precedenti rapporti mensili e notizie di routine. Per seguirci sui social media, cercateci su Twitter, handle@BorderViolence e su Facebook. Per ulteriori informazioni sul presente report o su come essere coinvolti si prega di mandare una e-mail all’indirizzo [email protected]. Per richieste di stampa e media si prega di contattare: [email protected]

Border Violence Monitoring Network (BVMN)

Border Violence Monitoring Network (BVMN) è una rete indipendente di ONG e associazioni con sede nella regione dei Balcani e in Grecia. BVMN monitora le violazioni dei diritti umani ai confini esterni dell'UE e si impegna per mettere fine ai respingimenti e alle pratiche illegali. Il network utilizza un database condiviso per raccogliere le testimonianze delle violenze subite da chi transita sulla rotta dei Balcani.
In questa pagina trovate le traduzioni integrali dei rapporti mensili curati da BVMN.