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Isola di Lesvos: attacco fascista nel campo di Moria

di Diego Saccora - APS Lungo la rotta balcanica

Lesvos – Venerdì 21 agosto in tarda mattinata, mentre la presidente greca Katerina Sakellaropoulou stava inaugurando una nuova clinica anti-covid nei pressi di Moria, un gruppo di estremisti di destra è riuscito a penetrare nel campo picchiando numerose persone, appiccando un incendio e lanciando una sassaiola contro la clinica di MSF, dove erano presenti 50 operatori e numerose donne e bambini bisognosi di cure.

MSF stessa, tramite le parole del capo progetto Marco Sandrone, ha diramato un comunicato nel quale ha denunciato e condannato l’accaduto, ultimo di una lunga serie di attacchi all’organizzazione e al lavoro di chi si occupa della salute delle circa 15 mila persone stipate nell’area del campo.

Noi, che proprio in questi giorni ci trovavamo nell’isola di Lesbo, abbiamo osservato la scena da pochi metri di distanza: polizia schierata in assetto anti-sommossa, persone che scappavano impaurite, il fumo che si alzava in aria e urla.

Nelle ultime settimane già vi erano state accese proteste da parte di cittadini di diversi paesi dell’isola di Lesbo. “Moria non può vivere nella minaccia” recita uno degli striscioni tutt’ora esposti tra le vie del villaggio a un paio di chilometri dal campo da cui prende il nome.
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Secondo uno dei tanti tassisti ogni giorno appostati all’uscita, la vita è completamente cambiata per chi basava il proprio sostentamento su turismo, agricoltura e allevamento attorno alla zona.

Lui è di un altro paese più a nord dove si percepisce meno il problema, ma sentir parlare di un ampliamento ufficiale del campo come dichiarato dai piani di governo, non ha fatto che scatenare ancor più la rabbia. Inoltre la situazione legata al Covid ha iniziato a farsi sempre più strada nella retorica mediatica e, prendendo spunto dal lockdown deciso la settimana scorsa per il campo di Vial nella vicina isola di Chios, il passaggio verso il migrante untore è stato breve. Una becera narrativa ad alimentare odio che in Italia, purtroppo, conosciamo bene.
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Eravamo in fila per il cibo, quando ci sono arrivati addosso alle spalle e ci hanno picchiato” ci ha raccontato Ahmad, al campo di Moria ormai da dieci mesi. “Arrivano sempre da dietro la collina. E lo capisci che non sono sprovveduti ma organizzati ad attaccare, dal modo in cui si muovono sempre in gruppo a mirare singoli o quando si è in numero inferiore. Stavolta, è successo qualcosa di mai accaduto prima, sono riusciti a entrare all’interno, dove ci sono tende con famiglie, donne, bambini appena nati. Perché la polizia li ha fatti passare, perché solo dopo si è schierata a fermarli?”.

Negli scontri che ne sono seguiti, il capo della polizia stessa è rimasta ferita per mano di uno dei manifestanti, questo fa quantomeno sperare in un maggiore controllo per la tutela di chi vive nel campo prima che la situazione degeneri ulteriormente.

Ma è chiaro come tra chi attende la risposta alla propria domanda di protezione non ci sia tranquillità e si respiri un’aria sempre più di perenne minaccia.